Amore Unico e Prezioso

Una pioggia sottile le frustava il viso, entrandole negli occhi. Bianca camminava a fatica, sognando di arrivare presto a casa. La mente annebbiata, i pensieri che si sfaldavano come un lenzuolo logoro. Evitando una pozzanghera, scivolò sul fango molle ai bordi del marciapiede. *”Basta con i tacchi. Non sono più una ragazzina. È ora di passare a scarpe comode.”*

Finalmente, l’edificio. Bianca digitò il codice del portone. Un odore di polvere e tepore asciutto le avvolse il naso—il riscaldamento, acceso a piena potenza nonostante la primavera. *”D’inverno non lo accendono mai abbastanza.”* L’ascensore la portò lentamente al sesto piano. *”Mi sto ammalando? Sono esausta.”* Si appoggiò alla parete, affaticata.

Nel corridoio, cadde sul pouf, la schiena contro il muro, le palpebre pesanti. *”Finalmente. A casa.”* Si abbandonò al buio, senza suoni, senza odori.

“Mamma, perché sei al buio? Stai male?” La voce di Matteo la fece sussultare, ma non aprì gli occhi.

“No, tesoro. Solo stanca,” sussurrò, la lingua impastata.

Sentì che il figlio la fissava. Con sforzo, sollevò le palpebre, ma Matteo non c’era. La luce in cucina era accesa. Si tolse le scarpe, muovendo le dita libere, e si alzò. Un capogiro la fece barcollare verso l’attaccapanni.

“Mamma!” Matteo la afferrò prima che cadesse.

“Mi è girata la testa.”

Lui la aiutò a raggiungere il divano. Bianca vi si lasciò cadere, le gambe distese. *”Che sollievo.”* Gli occhi si chiusero da soli… Poi, un sussulto. Riaprì gli occhi, incrociando lo sguardo preoccupato del figlio.

“Mamma, tutto bene?”

Bianca annuì e chiese una tazza di tè caldo. Matteo esitò, ma andò in cucina.

Le tornò in mente quel giorno in ufficio, quando si era ritrovata a terra senza ricordare come. *”Mi sento un’anziana, e ne ho solo trentanove. Forse è davvero qualcosa di grave. Domani vado in ospedale.”* Con un sospiro, raggiunse la cucina.

“Sei pallida. Mal di testa?” Matteo le porse la tazza fumante.

Lei sorrise a fatica.

“Solo stanchezza, questo tempo umido…” Bevve un sorso. “Hai mangiato?”

“Sì, mamma. Devo finire i compiti.”

“Vai, tranquillo.” Sorseggiò il tè, poi indossò l’accappatoio consumato e sbirciò nella stanza di Matteo. Lui era chino sui libri. Un’ondata di tenerezza le strinse il cuore. *”Il mio unico, il mio amore.”* Chiuse piano la porta.

“Dottore, cosa ho? Forse delle vitamine?” Il giorno dopo, Bianca era nell’ambulatorio. Aveva dormito, ma si sentiva ancora spezzata.

“Vediamo. Ecco gli esami e la risonanza. Torni subito con i risultati. E non aspetti. In famiglia ci sono casi di tumore o ictus?”

“Sì. Mio padre è morto di cancro, mia madre di ictus. Allora… Ho un figlio quindicenne. Sono tutto ciò che ha. Non posso morire!” Il suo urto rimbalzò sulle pareti, tornandole in gola come un nodo.

“Niente conclusioni affrettate. C’è predisposizione, ma è giovane… Torni con gli esami. Intanto, le do un congedo per riposare.”

“Mamma, sei andata in ospedale? Cosa ha detto il dottore?” Al ritorno da scuola, Matteo la trovò a cucinare.

“Niente, mi ha mandato a fare esami. Domani non svegliarmi.”

Lo osservò mangiare. *”È già grande. E se avessi qualcosa di serio? Un tumore? Meglio non pensarci.”*

“Mamma, tutto ok? Sei di nuovo persa.”

Lei trasalì.

“Ultimamente sei sempre strana,” disse Matteo.

“Ero distratta.”

La notte, il sonno non venne. Come dormire, con quei pensieri? Bianca rivisse l’infanzia, i genitori che se n’erano andati uno dopo l’altro mentre era all’università. Poi aveva conosciuto Luca, che l’aveva sostenuta. Vivevano insieme in un monolocale.

Quando rimase incinta, lui propose subito il matrimonio. Senza festa: i suoi genitori erano morti, la madre di lui lontana. Poi ci furono litigi. Luca non tornava, finché un giorno confessò: “Amo un’altra. Me ne vado.”

Lei lo supplicò, lo afferrò per la camicia. Lui la spinse via e se ne andò. Bianca riprese a lavorare, facendo lavoretti. Soldi mai abbastanza. Chiamò l’ex marito solo una volta, quando Matteo era malato e servivano medicine costose. Le mandò duecento euro, chiedendole: “Dove finiscono gli alimenti?”

Quando Matteo chiese del padre, lei fu sincera. Lui un giorno lo aspettò fuori dall’ufficio, ma il padre, preso da una donna alta e elegante, non lo notò.

“Perché non ti trucchi, mamma? Perché non vesti come lei?” Come spiegargli che ogni centesimo era per lui? Temeva che sembrasse un rimprovero.

Poi, l’adolescenza ribelle. Sigarette nelle tasche. Chiamò di nuovo l’ex: “Parla con tuo figlio.” Risposta: “Ho un neonato, non ho tempo. Né soldi.”

Ora Matteo suonava la chitarra, era tranquillo. I problemi sembravano finiti. E poi, gli svenimenti. *”Dio, perché? Non posso lasciarlo solo.”*

Nell’ospedale, guardò gli altri pazienti con volti terrorizzati. *”Sembro così anch’io?”*

“Signora, è il suo turno.”

Entrò, le mani che stringevano la borsa.

“Purtroppo, la notizia non è buona. Ha un tumore al cervello. Piccolo, superficiale. È l’unica cosa positiva.”

“Ho il cancro?”

Si era chiesta come la gente potesse reagire a quelle parole. Ora lo sapeva: il mondo non crollava.

“Serva un’operazione urgente. Mi ascolta?”

“Sì. Ma non ho soldi.”

“Con il SSN è gratis. Un uomo perse la moglie in attesa del posto. Lei è fortunata.”

“Fortunata,” ripeté, amaramente.

“Esatto. C’è lista d’attesa. Ogni intervento è rischioso, specie al cervello. Ma lei ha speranza. Vada subito in ospedale.”

“Non posso. Mio figlio ha quindici anni.”

“Ne ha già quindici. Vuole rischiare di non vederlo maggiorenne? Vada. Ora.”

Andò. Chiamò Matteo dall’ospedale, chiedendogli vestiti. Lui corse da lei.

Bianca cercò di sorridere, di non pensare che forse lo vedeva per l’ultima volta. Anche Matteo feceMatteo strinse la mano di sua madre tra le sue, promettendo nel silenzio del suo cuore di non lasciarla mai più sola.

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