Scusami, dolcezza…

Fabrizio socchiuse un occhio e subito lo richiuse. Il basso sole di marzo mirava con precisione attraverso la finestra, colpendogli il volto con un raggio implacabile. Si agitò tra le lenzuola sgualcite, cercando di sfuggire alla luce.

“Svegliato, Giuda?” risuonò la voce della moglie. “Apri quei occhi senza vergogna, voglio guardarci dentro. Tutti gli uomini regalano fiori alle mogli. E tu ieri ti sei ubriacato fino a perdere i sensi. Almeno ti ricordi che oggi è festa?”

Fabrizio si scostò verso il muro e riuscì ad aprire gli occhi. Tra le fessure delle palpebre, strette come feritoie, vide Giulia. Era in piedi, con le mani sui fianchi robusti, lo sguardo torvo.

“Q-quale festa?” si stupì sinceramente.

“L’8 marzo, per tua informazione! La festa delle donne. Dovevo festeggiare io, e invece ti sei scolato tutto. Non ti vergogni? Pensavo che avremmo bevuto qualcosa insieme. Mia figlia mi ha portato del vino buono. Lo avevo nascosto apposta. E tu, parassita, l’hai trovato e bevuto tutto da solo! Non ti basta la grappa?”

Prima che potesse proteggersi, una ciabatta, lanciata con precisione dalla moglie, lo colpì in fronte.

“Eccoti il tuo regalo…”
Dalla seconda ciabatta riuscì a ripararsi sotto le coperte. Per fortuna erano solo un paio. Spuntò il naso dal nascondiglio.

“Giulietta, perdonami. Ti giuro, sistemerò tutto.” Fabrizio ruttò e cercò di alzarsi, ma si impigliò nel lenzuolo.

La moglie lo ignorò e sparì in cucina. Da lì arrivò il tintinnio dei piatti. Quando iniziava a fare quel rumore, significava che era furiosa e la lite sarebbe durata a lungo.

Fabrizio decise di non sfidare il destino e di svignarsela di casa. Scivolò silenzioso oltre la cucina e si infilò in bagno. Si schizzò l’acqua fredda sul viso, liberò il bicchiere dagli spazzolini, lo riempì e lo bevve avidamente. Con la mano bagnata si lisciò i capelli radi. Giulia continuava a sbattere stoviglie.

Fabrizio sgattaiolò indietro in camera, si vestì e raggiunse l’ingresso. Mentre infilava le scarpe, perse l’equilibrio e quasi cadde. Al rumore, Giulia spuntò dalla cucina.

“Dove pensi di andare, alcolizzato?”

“Giulietta, torno subito… Faccio in fretta…” Strappò la giacca dall’attaccapanni e indietreggiò verso la porta.

“Fermo!” ordinò Giulia, avanzando minacciosa con il petto generoso, ma lui era già scivolato fuori e aveva sbattuto la porta davanti al naso di lei.

“Se hai il coraggio di tornare, ti faccio vedere io…” risuonò da dietro la porta.
Fabrizio evitò di ascoltare le minacce e scese le scale di corsa.

Fuori splendeva il sole, le gocce tamburellavano sui cornicioni, e qua e là l’asfalto sbucava dal ghiaccio sciolto. Incontrava uomini con rametti gialli di mimosa o tulipani variopinti.

“Scusi, mi sa dire che ore sono?” chiese a un passante con un mazzo di mimosa.

“È ora di disintossicarsi,” borbottò l’uomo allontanandosi.

“Magari,” bofonchiò Fabrizio, riprendendo a camminare.
Voleva sapere dove comprare i fiori, ma gli era uscita quella domanda.

“Ragazzo, dove hai preso quelli?” chiese a un giovane.

“Laggiù.” Il ragazzo indicò con un gesto vago.

“Ah.” Fabrizio si incamminò nella direzione indicata.
Poco dopo, vicino al semaforo, vide una donna. Ai suoi piedi, una scatola piena di mimose, che spuntavano come teste di pulcino.

Affrettò il passo. Voleva a tutti i costi comprare i fiori per placare Giulia e, se fortunato, ottenere il celebrativo bicchierino. Ma quando arrivò, nella scatola restava solo un rametto misero.

“Prendi questo, te lo sconto,” disse la donna, fissandolo con occhio complice.

“Vorrei un mazzo. Per mia moglie. Non ne hai altri?”

“Nessuno,” lo imitò. “Aspetta, se vuoi. Chiamo e me ne portano altri.”

Fabrizio esitò. Con quel rametto avrebbe solo offeso Giulia. Il flusso di uomini con fiori non cessava, quindi da qualche parte si vendevano ancora. Continuò a camminare. Gli venne in mente di controllare le tasche. Non ricordava se avesse soldi, e Giulia poteva averglieli portati via per dispetto.

Si fermò e frugò. Trovò un biglietto da dieci euro stropicciato. Quanto costavano i fiori? Non ne aveva idea.
Davanti a un’auto, una folla sostava. Quando sentì il prezzo dei tulipani, si abbatté.

“Ne vuoi uno?” chiese un venditore barbuto con accento meridionale.

“Ho solo questo.” Mostrò il denaro.

“Eh, con questo posso darti un fiore solo. Ti va?”

Fabrizio rifletté che un tulipano solo, come quel rametto di mimosa, non bastava per farsi perdonare. Si allontanò.

Sforzò la memoria per ricordare chi potesse prestargli soldi. “Matteo mi deve cinquanta euro! Me li deve ridare,” decise, e si diresse verso casa sua. Avevano bevuto insieme, ma con i suoi soldi, quindi Matteo era in debito.

“Chi è?” chiese da dietro la porta Marina, la moglie di Matteo.
Una donna terribile, che teneva il marito sotto il tacco. Quando riusciva a scappare, Matteo si sfogava. La chiamava “la Peste” quando non poteva sentirli.

Fabrizio si presentò, chinandosi verso la serratura.

“Che vuoi?” chiese Marina.

“Chiama Matteo. Mi deve cinquanta euro. Mi servono urgenti.”

Appoggiò l’orecchio alla serratura, ma Marina tacque. Stava digerendo l’informazione.

“Eccoti qua, così non te li scordi!” urlò finalmente.

Fabrizio balzò indietro. Il chiavistello scattò, e dallo spiraglio spuntò una mano con le dita a farfalla.

“Eccoti servito!” gridò la Peste.

Fabrizio non si perse d’animo e strattonò la porta verso di sé. Marina, colta di sorpresa, gli piombò addosso. Il gesto fallì di un soffio. Dietro di lei, il mingherlino Matteo in maglietta e mutande a fiori.

“Matteo, fai il bravo…” riuscì a dire Fabrizio prima che Marina sbattesse la porta.

“Mannaggia…” imprecò.
«Dove trovare soldi? Avrei dovuto frugare nel cappotto di Giulia. Tiene sempre spiccioli lì dentro.» Ma non poteva tornare a mani vuote.

Camminò a capo chino, evitando di guardare gli uomini con i loro mazzi agognati. Perso nei pensieri, scivolò sul ghiaccio e quasi cadde. Le gambe gli tremavano. Si sedette su una panchina a riprendere fiato.

Aveva sete, e lo stomaco brontolava. Non mangiava dal giorno prima. Ora, chissà quando Giulia lo avrebbe sfamato… ammesso che lo facesse, senza fiori.
Ripensò al loro primo incontro, a quando la amava davvero, la portava in braccio. Allora tornava a casa ogni giorno conCon un sospiro, Fabrizio alzò lo sguardo e vide un ragazzo avvicinarsi, reggendo disperatamente un mazzo di rose rosse che, con un gesto di rassegnazione, gli porse dicendo: “Tieni, la mia ragazza mi ha lasciato, ma almeno queste serviranno a far felice qualcuno.”

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