**Geni Rovinati**
Anna entrò in casa, appoggiò con un tonfo le pesanti buste sul pavimento e sospirò rumorosamente.
“C’è qualcuno?” gridò verso la camera. “Due uomini in casa, ma sono io a portare le buste pesanti,” borbottò. “Tutti hanno fame, ma quando si tratta di aiutare, nessuno si fa vivo,” ripeté ad alta voce, per essere sicura che la sentissero.
Si sfilò i vestiti con altrettanto rumore, sospirando e lamentandosi. Finalmente, sulla porta apparve suo figlio.
“Prendi le buste e portale in cucina. Tuo padre è in casa?”
Daniele sollevò i sacchetti.
“Sta guardando la televisione,” rispose senza voltarsi. Avrebbe potuto evitare di menzionare la tv, la madre non aveva chiesto cosa facesse il padre. Ma perché lui solo doveva sopportare il nervosismo di sua madre? Che ne prendesse un po’ anche il padre.
“Perché urli così?” Sulla porta si materializzò il capofamiglia.
“Niente. Sono stanca,” sbottò Anna. “Ora mi riposo cinque minuti e preparo la cena. Tutta da sola. Potevate almeno cuocere la pasta,” aggiunse infilando le ciabatte e spegnendo la luce dell’ingresso.
“Non ce l’hai detto. L’avremmo fatto, vero, Dani?” L’uomo, intuendo l’inizio di una lite, tirò subito in ballo Daniele.
Dalla cucina arrivò solo il fruscio delle buste e il rumore del frigorifero che si chiudeva. Daniele decise di rimanere neutrale. Era più sicuro.
“Visto che non l’avete fatto,” sospirò Anna. “Se avessi avuto una figlia, si sarebbe mossa da sola. Ma da voi non c’è da aspettarsi nulla,” brontolò sfiorando il marito mentre entrava in cucina.
“Anna, sei stanca, lo capisco, ma perché prendertela con noi? Mica sono un medium, non so indovinare se devo cuocere la pasta o le patate. Se ci avessi detto qualcosa, avremmo cucinato e saremmo anche andati a fare la spesa. Anch’io sono appena tornato dal lavoro, tra l’altro.” Il marito fece un gesto vago con la mano e sparì nella stanza.
“Appunto, tutto ve lo devo dire. È più comodo stare sul divano,” borbottò Anna, ma stavolta senza cattiveria, più per sé stessa. Non voleva litigare. Non ne aveva la forza. Semplicemente non riusciva a calmarsi subito.
“Grazie, tesoro, vai a fare i compiti, penso io al resto…”
Daniele sparì subito verso il computer. Anna aprì il frigorifero, scosse la testa e iniziò a riordinare i ripiani. Dopo aver sfogato la tensione, si era calmata. Adorava il marito e il figlio, era solo stata una giornata storta. In cucina, dopotutto, non è compito degli uomini.
Dopo cena, raccolse gli avanzi di pasta dalla padella in un contenitore, aggiungendoci una polpetta. Stava per metterne un’altra, ma cambiò idea.
“La porti di nuovo ai Micioni? Attenta a non viziarla, poi ti lamenti che ti si attaccano alla gonna,” la rimproverò il marito, vendicandosi per i brontolii di prima.
“Non ai Micioni, ma a Sonia. A casa sua, immagino, non ci sia niente da mangiare. La madre beve tutto. Mi fa pena quella ragazzina. L’ho vista trascinare a casa la madre ubriaca. Quella non era neanche in grado di camminare. Sonia è intelligente, brava, ma non ha avuto fortuna con i genitori,” spiegò Anna mentre si rimetteva le scarpe.
Il marito non rispose.
Anna scese al terzo piano e suonò alla porta scrostata che non ispirava fiducia—bastava una spallata per aprirla. Ma a che scopo? Non c’era niente da rubare, persino gli scarafaggi se n’erano andati per la fame.
“Chi è?” Una vocina sottile arrivò da oltre la porta.
“Sonia, sono zia Anna. Apri, ti ho portato da mangiare.”
Il chiavistello scattò, la porta si aprì di un centimetro e Anna vide l’occhio vigile di Sonia, una bambina di nove anni.
“Prendi, mangia. Tua madre dorme?”
La bambina aprì un po’ di più la porta, afferrò il contenitore e annuì.
“Va bene, allora vado. Mangia. Sei pelle e ossa,” disse Anna guardandola con compassione. “Non lasciare niente a tua madre.”
Sonia annuì di nuovo e chiuse la porta.
“Vorrei una figlia così,” sospirò Anna salendo le scale verso casa.
Entrò nella stanza di Daniele. Lui chiuse frettolosamente il portatile, ma Anna fece in tempo a vedere che stava giocando.
“Va bene, non nasconderlo. Hai fatto i compiti?” gli chiese avvicinandosi alla scrivania.
“Da un pezzo.”
“Domani, dopo scuola, invita Sonia a casa e dagli della minestra. Sua madre beve tutto, mangiano solo pane quando ce l’hanno. Quella ragazzina è sempre affamata, magra come uno stecchino.”
“Va bene, mamma,” acconsentì Daniele, quattordicenne, senza fare troppe domande.
“Non stare al computer troppo a lungo, vai a letto presto,” disse Anna già sulla porta.
“Ok.” Daniele riaprì il gioco e si immerse nello schermo.
Il giorno dopo, passando davanti alla porta dei Micioni, Daniele suonò il campanello.
“Andate via, la mamma non c’è,” rispose Sonia dall’interno.
“Ehi, piccola, mia madre vuole che tu venga da noi.”
“Perché?” chiese la bambina dopo una lunga pausa.
“Vieni e lo scoprirai,” disse Daniele.
La porta si aprì lentamente. Sonia lo fissava con diffidenza.
“Allora, vieni? Se non vuoi, come vuoi,” fece lui con finta indifferenza e fece un passo verso le scale.
“Un attimo!” gridò Sonia scomparendo dietro la porta. Pochi secondi dopo ricomparve con il contenitore vuoto in mano.
“Nel frigo c’è una pentola con la minestra. Sai scaldarla?” chiese Daniele salendo le scale, imitando il tono di sua madre.
“Non sono piccola,” si offese la bambina seguendolo.
“Scaldane due piatti.” Daniele aprì la porta di casa. “Vai in cucina, io mi cambio,” ordinò andando nella sua camera.
Quando entrò in cucina, sul tavolo fumavano già due piatti di minestra, con accanto cucchiai e fette di pane.
“Brava. Dai, chi finisce prima?” Daniele si sedette di fronte a Sonia, afferrò il cucchiaio e iniziò a mangiare veloce.
Lei mangiava lentamente, osservandolo. Poi lavò i piatti. Daniele non si offrì di aiutare. E perché mai? Aveva mangiato la minestra, poteva almeno lavare i piatti.
“Vieni, ti faccio vedere un gioco al computer,” le propose quando Sonia si asciugò le mani e appese con cura l’asciugamano.
“Mostrami piuttosto come si guadagnano soldi su internet,” rispose Sonia.
“Ah, ci siamo,” rise Daniele approvando. “Hai un computer?”
“Da dove?”
“E come pensi di guadagnare?”
“Tu mostrami,” ripeté ostinata.
“Francamente, non lo so. Ma chiederò a Vito. Una volta si vantava di saperlo.”
Da quel giorno, quasi ogni pomeriggio tornando da scuola Daniele passava a prendere Sonia, salivano da lui, pranzavano e lui le insegnava i segreti del computer. Sonia**Geni Rovinati**
…E così, mentre il sole tramontava dietro i tetti di Roma, Daniele e Sonia rimasero seduti sul divano, le mani intrecciate, pronti a sfidare insieme qualunque destino, perché alla fine, anche i geni più rovinati possono trovare la loro redenzione nell’amore.