Non sapevo della sua esistenza fino a oggi. Non posso darla via. È mia figlia, ha detto il marito.

**Diario Personale**

Non sapevo della sua esistenza fino a oggi. Mica potevo mandarla in un orfanotrofio. È mia figlia.

Mentre preparavo la cena, canticchiavo felice. Finalmente avrei dato la bella notizia a Luca. Eravamo insieme da dieci anni. All’inizio non volevamo frettolosamente un figlio, ci bastava stare bene noi due. Io desideravo lavorare, fare esperienza.

Avevo sempre sognato un lavoro importante in un’azienda prestigiosa e avevo promesso che, per il momento, non avrei avuto bambini. L’impiego era buono, con prospettive di carriera. Mi ero fatta valere, ero vicina a una promozione. Lo stipendio era ottimo e il congedo di maternità sarebbe stato generoso. Finalmente potevamo pensare a un bambino. Ma non era così semplice. Feci tutti gli esami, io e Luca eravamo perfettamente sani.

“Abbia pazienza,” mi disse il dottore. “Succede. Lei ha raggiunto tanto professionalmente, è normale che abbia speso molte energie e nervi. Si rilassi, non ci pensi troppo. Viva serena, riposi, tutto andrà bene.” Sorrise e mi prescrisse un integratore.

E poi, finalmente, rimasi incinta. All’inizio non ci credevo, pensavo a un errore. Comperai altri due test diversi, ma la linea rosa apparve anche lì. Aspettai ancora una settimana, poi non resistetti più e feci le analisi in ospedale. Io e Luca avremmo avuto un bambino! Quella sera glielo avrei detto, avremmo festeggiato.

Mentre rosolavo la carne, ascoltavo il mio corpo. Era troppo presto, lo sapevo, ma mi sembrava di sentre quella nuova vita che cresceva dentro di me. Più volte alzavo la maglietta e mi osservavo allo specchio, ma con disappunto la pancia era ancora piatta.

Avevo già spento il gas da un pezzo, l’acqua nel bollitore si era raffreddata, e Luca non arrivava. Non rispondeva al telefono. Finalmente sentii la serratura della porta. Dai passi capii che non era solo. Mi irritai: il mio bel segreto sarebbe rimandato. Annunciare una gravidanza è una cosa intima, riguarda solo noi due.

Sospirai e andai in ingresso. Ma la mia sorpresa fu enorme quando vidi una ragazzina di dieci anni, con uno sguardo ostinato e diffidente. Dietro di lei, immobile, c’era Luca.

“Scusa il ritardo, sono passato a prendere Viola,” disse, abbassando gli occhi sulla nuca della bambina.

“Chi è? Perché l’hai portata qui? Perché non mi hai avvertita?” Le domande mi scapparono senza controllo.

“Andiamo in salotto. Ti spiego tutto.” Spinse dolcemente Viola avanti.

Io rimasi ferma, fissando le loro schiene. Quando entrai, erano già seduti sul divano. Mi posi su una sedia per vederli in faccia. Viola mi guardò distrattamente, poi voltò la testa verso la finestra.

“Questa è Viola, mia figlia.” Luca sembrava imbarazzato, colpevole, e disperatamente deciso.

“Tua figlia? Non capisco.”

“Anch’io ho saputo di lei solo oggi. Mi ha chiamato sua nonna e mi ha chiesto di tenerla. Deve ricoverarsi.”

“Ma come fai a essere sicuro che sia tua figlia?” domandE in quel momento, mentre la rabbia e il dolore si scioglievano in un abbraccio silenzioso, capii che la famiglia non è fatta solo di legami di sangue, ma anche di scelte e di amore che cresce piano, giorno dopo giorno.

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Non sapevo della sua esistenza fino a oggi. Non posso darla via. È mia figlia, ha detto il marito.