La sposa in fuga

La Sposa in Fuga

Marco scese dal treno, salutò la controllora e si diresse verso il vecchio edificio a un piano della stazione. All’interno, un’unica grande sala: lungo le pareti, la biglietteria, le edicole con giornali e bibite, e al centro, file di sedie di metallo saldate insieme. A sinistra dell’ingresso, un piccolo buffet con una donna formosa dietro il bancone. Una decina di persone aspettavano il proprio treno.

“Giovanotto, mi dà cento euro? Non mi bastano per il biglietto,” disse una donna dall’età indefinibile, avvicinandosi. Il volto arrossato, il trucco mal applicato. Un odore di alcol le aleggiava attorno.

“Perché non le compro qualcosa da mangiare?” propose Marco, prendendola delicatamente per il gomito per accompagnarla al buffet, ma lei si divincolò con forza.

“Lasciami stare! E sembri anche una persona perbene,” urlò, facendo tacere per un attimo i chiacchierii nella sala. Tutti si voltarono verso di loro, ma subito dopo distolsero lo sguardo, riprendendo i loro discorsi.

“Vaffanculo…” La donna si allontanò.

Marco sorrise ironico e si avvicinò alla barista.

“Hai fatto bene a non darle soldi. Chiede l’elemosina qui ogni giorno. Si è ridotta male.” La donna scosse la testa con un sospiro. “Era così bella, una volta. Che cosa fa l’amore alla gente… Vuoi un caffè e un cornetto?”

“No, grazie. Devo andare a Borgo Fiorito. Dov’è la fermata dell’autobus?”

“Oggi non ci sono più corse per Borgo Fiorito. Domani mattina alle cinque e mezza.” La barista notò la delusione di Marco. “Fuori ci sono sempre dei privati che fanno taxi la sera, ma chiedono tanto.”

“Grazie.” Marco afferrò con più sicurezza la sua grande borsa sportiva e uscì.

Fuori, il buio era sceso rapidamente. Tirò fuori il telefono dalla tasca del giubbotto, compose un numero e lo portò all’orecchio. Nessuno rispose.

Improvvisamente, accanto all’edificio, si fermò una Fiat argentata. Una ragazza ne scese di corsa, sfiorando Marco per entrare nella stazione. Gli sembrò vagamente familiare. Da dove? Era la prima volta che veniva qui, non poteva averla mai vista. Marco rientrò. La ragazza parlava con la barista.

“Vuoi un tè?” chiese la barista.

“Grazie, zia Lucia, ma devo andare.” Si voltò e urletto contro Marco. “Scusi, non l’avevo vista.”

Marco vide i suoi occhi blu come laghi, le fossette sulle guance paffute, e capì che non aveva mai incontrato una ragazza più bella.

“A proposito, Gianni sta andando proprio a Borgo Fiorito. Gianni, dai un passaggio a questo ragazzo,” disse la barista.

La ragazza osservò Marco con attenzione.

“Arrivederci, zia Lucia. Andiamo,” disse, dirigendosi verso l’uscita.

Marco la seguì a fatica. Ginevra aprì lo sportello del passeggero e tirò fuori un grosso pacchetto.

“Permetti, ti aiuto,” le tendì una mano.

“No, grazie. Dentro c’è il velo e i fiori.” Sorrise, e le fossette le danzarono sulle guance. “Meglio se apri il portellone.”

Appoggiò il pacchetto sul sedile posteriore e si rivolse a Marco: “Sali in macchina.”

“Aspetti. Sei Ginevra! Ora capisco perché mi sembravi familiare. Sei ancora più bella di persona,” aggiunse in fretta, vedendo il suo sguardo sorpreso. “Vengo per il tuo matrimonio con Stefano. Abbiamo fatto il servizio militare insieme. Solo che non mi ha venuto a prendere e non risponde al telefono.”

“Oggi è il suo addio al celibato.” Le fossette riapparvero. “Ti ho vista in una foto che mi aveva mostrato,” aggiunse Marco.

La macchina procedeva lungo una stretta strada che si snodava tra i boschi. I fari respingevano il buio, costringendolo dietro gli alberi.

“Non è spaventosa quest’oscurità, da sola?” chiese Marco.

“No. E poi, raramente sono sola. È solo che oggi Stefano non poteva venire in città con me.”

“Nessun fioraio a Borgo Fiorito?” domandò Marco.

“Certo che c’è. Questo è il bouquet della sposa. Volevo qualcosa di speciale.” Ginevra teneva gli occhi fissi sulla strada.

“Che fretta, con questo matrimonio. È passato solo un anno dall’esercito.” Marco si sentì in colpa per l’intrusione.

“Eravamo già d’accordo, prima che partisse. Appena tornato, ci saremmo sposati.”

Marco non riusciva a staccare gli occhi da quelle fossette.

“Quindi, lo fai per l’accordo? Non per amore?” chiese piano.

“Anche per amore,” rispose Ginevra, senza cogliere il tono di biasimo.

Rimasero in silenzio per un po’.

“Sei brava a guidare,” disse lui, rompendo la quiete.

“Stefano me l’ha insegnato al scuola. Dove ti posso lasciare? All’hotel?”

“Forse.”

“Ti va se ti porto direttamente al locale? Lì troverai Stefano e vi sistemate.”

“Non è molto elegante un locale con la borsa,” obiettò Marco.

“Posso tenerla io. La riprendi domani. Allora, andiamo?” Gli lanciò un’occhiata veloce.

“Allora, andiamo.”

Marco guardava il buio che si apriva davanti ai fari. Gli tornò in mente una fotografia diversa, vista con Stefano tempo prima.

“Chi è?” aveva chiesto, osservando una bellissima ragazza dai capelli rossi e uno sguardo languido.

“Ti piace?” aveva risposto Stefano con un sorriso becco. “Scordatela.” E gli aveva strappato la foto.

“Ginevra è meglio,” aveva replicato Marco.

Stefano non aveva risposto. Ma quella sera in caserma si era vantato di tutte le ragazze avute prima dell’esercito. “Mi basta un cenno e sono mie.”

Era un ragazzo normale, ma quella spacconeria irritava Marco. Gli faceva pena Ginevra. Con il suo carattere, Stefano l’avrebbe tradita, rovinando tutto. Un mese prima, l’aveva chiamato invitandolo al matrimonio. Perché non rivedere un vecchio amico? Tanto più che Stefano aveva insistito, ricordandoglielo più volte.

“Facciamo che ci diamo del tu,” propose Marco.

“D’accordo.”

Lo lasciò davanti al locale. La luce delle grandi vetrate illuminava il marciapiede. Ginevra gli diede il suo indirizzo, pregandolo di non far ubriacare troppo Stefano, e partì.

Marco guardò la macchina allontanarsi. L’aria era fresca. Si sentì improvvisamente solo. Dal locale usciva musica ritmata, ma nella mente gli restavano gli occhi blu e quelle fossette.

*”Ginevra, un nome da fiaba. È ingiusto che una ragazza così finisca con un donnaiolo.”* Rabbrìdì ed entrò.

“Marco! Finalmente! Vieni qui.” Stefano si alzò, agitando le braccia. “È un mio amico del militare,” spiegò agli altri.

Si abbracciarono, e Marco capì che Stefano era già alticcio. Barcòllava, gli occhi annebbiati. Qualcuno gli mise in mano un bicchierino di grappa. La musica martellava, alcune ragazze in vestiti adI tre anni dopo, mentre stringeva la piccola Sofia tra le braccia e sentiva il profumo di caffè che Ginevra gli versava nella tazza, Marco capì che a volte la fuga diventa un inizio.

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