**Il Viaggio al Mare**
A cinquantanove anni, Michele Vittorio Isoldi rimase vedovo. Dopo il funerale della madre, sua figlia gli propose subito di trasferirsi da lei.
“Papà, vieni da noi. Come farai qui da solo? È pesante. Almeno per un po’ resta con noi. Ti riprenderai…”
“Grazie, tesoro, ma non verrò. Non preoccuparti per me. Non sono un vecchio incapace, so badare a me stesso. Cosa farei da voi? Meglio che resti tu qui più a lungo,” rispose Michele, guardando la figlia con speranza.
“Papà, ci sono Leo e Sergio da soli. Leo è in piena adolescenza, Sergio ha il lavoro… Devo tornare,” disse Olga, avvilita, abbracciando il padre.
“Lo capisco.” Michele le diede un colpetto sulla mano.
“Papà, se hai bisogno di qualcosa, chiamami subito. Prometti?”
“Di cosa avrei bisogno? So cucinare, la lavatrice fa il suo dovere, posso lavare i pavimenti. Mentre la tua mamma era malata, ho imparato tutto. Lei mi guidava solo. O forse pensi che sia sporco qui?” Nella sua voce si sentì un tono offeso.
“No, papà, è tutto perfetto. Non arrabbiarti, sono solo preoccupata.” Olga poggiò la testa sulla sua spalla.
“Non mi berrò tutto il vino per il dolore. Da giovane non mi piaceva nemmeno, e ora è troppo tardi per cominciare. Non agitarti, vai pure.”
Così decisero. Michele preparò per la figlia un sacco pieno di cibi fatti in casa. Olga sollevò la borsa pesante.
“Papà, perché così tanto? Abbiamo tutto noi.”
“Prova a dire di no a tua madre. Prendi, non sarà di troppo. Il treno ti porterà, e Sergio ti aspetterà,” borbottò lui, senza malizia.
Arrivarono in stazione pochi minuti prima della partenza. La controllora controllò il biglietto e le fece cenno di salire: il treno sarebbe partito tra un attimo.
Olga abbracciò il padre un’ultima volta, baciandolo sulla guanza rasposa. Prese la borsa dalle sue mani, nascondendo gli occhi pieni di lacrime. Salì in fretta. Mentre la controllora chiudeva la porta, agitò la mano al padre, sorridendo tra i singhiozzi.
Michele guardò a lungo il treno che, prendendo velocità, si trasformava in un puntino, fino a scomparire del tutto. Il cuore gli si stringeva per la tristezza. Ecco, era rimasto solo. Finché la figlia era stata lì, aveva fatto il forte, ma ora lasciò scorrere le lacrime. Intorno a lui risuonavano voci, risate, gente che andava e veniva, ma lui camminava verso la fermata dell’autobus come in un deserto, senza accorgersi di nulla.
“Ah, Veruccia, come farò senza di te? Forse ho sbagliato a rifiutare Olga?” Arrivato alla fermata, decise di tornare a casa a piedi, rimandando il momento di affrontare l’appartamento vuoto.
Camminò lentamente per la strada polverosa, ricordando quando aveva incontrato Veruccia…
***
Fin dalle scuole, Michele era innamorato di Tazia, una ragazza fragile con una cascata di lentiggini dorate sul viso e capelli color rame. Le lentiggini non sparivano mai, neanche d’inverno, solo si attenuavano. Michele la chiamava affettuosamente “sole mio”.
All’ultimo anno, a suo padre fu diagnosticata la tubercolosi. I medici consigliarono di trasferirsi in un clima più caldo, lontano dall’umidità del nord. I genitori di Tazia vendettero la casa e partirono per il sud, sulla costa del Mar Tirreno. Lì comprarono una villetta.
All’inizio, Michele e Tazia si scrivevano spesso. Ogni volta che la madre entrava, lo trovava a sognare davanti alla finestra o intento a scrivere una lettera. In ognuna prometteva che l’estate seguente sarebbe andato da lei. La madre si arrabbiava, dicendogli che invece di studiare per gli esami di ammissione all’università, perdeva tempo. Ma Michele non la ascoltava, la sua mente era già lì, con Tazia.
Dopo il primo anno, Michele lavorò in un cantiere per racimolare i soldi del viaggio, senza chiedere nulla ai genitori. Tornò a metà agosto, magro e abbronzato, e annunciò che sarebbe partito per il sud, da Tazia.
La madre lo accolse con un rifiuto secco.
“Non ti lascio andare da solo. Scrivi prima, avvertili, chiedi il permesso ai suoi genitori. Arriveresti come un fulmine a ciel sereno. È passato un anno, tutto potrebbe essere cambiato.”
All’epoca non c’erano telefoni cellulari, e nemmeno quelli fissi erano comuni, tantomeno in una casa privata. Michele dovette scrivere un’altra lettera, aspettare con impazienza la risposta, rimpiangendo di non aver contattato prima i genitori di Tazia e aver perso tempo.
Quando finalmente arrivò la risposta, scoprì che i biglietti del treno erano quasi introvabili, figurarsi quelli di ritorno. Tutti sembravano essersi messi d’accordo per passare l’estate al mare. Così, quell’estate Michele non riuscì a raggiungere Tazia.
Amareggiato, scrisse che l’anno dopo si sarebbe organizzato per tempo e sarebbe sicuramente venuto, che avevano tutta la vita davanti…
Tazia non rispose. Michele soffrì, si arrabbiò con i genitori, scrisse lettere su lettere, ma non ebbe mai una risposta.
Una piovosa mattina d’autunno, Michele correndo verso la fermata urtò una ragazza. Per lo sE mentre il treno proseguiva il suo viaggio, Michele chiuse gli occhi, sorridendo all’idea di rivedere finalmente Veruccia, lasciando che il rumore delle rotaie lo cullasse in un dolce addormentarsi.