Giorno di Perdono

**Il Giorno del Perdono**

L’ultimo autobus riportò Beatrice dalla città al paesino. Aveva passato la giornata correndo tra l’ospedale – per ritirare certificati e documenti – e l’agenzia funebre, poi di nuovo all’ospedale per consegnare un pacchetto di vestiti alla morgue. Sua madre l’aveva preparato in anticipo. Fece anche in tempo a passare a casa sua e a cambiarsi, indossando un maglione nero.

Beatrice si sedette sulla sedia vicino al tavolo, allungò le gambe indolenzite, troppo stanca per spogliarsi. La casa era fredda, avrebbe dovuto accendere la stufa. Era partita all’alba, e ora era già sera. Fissava senza pensieri le impronte sporche sul pavimento, lasciate dal medico del pronto soccorso, dagli uomini che avevano portato via sua madre, dai vicini. Solo allora si rese conto che la porta di casa era rimasta aperta tutto il tempo, e fuori era ottobre. Non sapeva se poteva lavare i pavimenti. Decise di lasciare tutto com’era, per precauzione.

Dietro la porta si sentirono dei passi. Beatrice balzò in piedi, sperando fosse finalmente arrivata Raffaella, ma entrò la vicina, la zia Lucia, amica di sua madre.

«Ti ho vista rientrare. Posso fare qualcosa?»

«No.» Beatrice si lasciò ricadere sulla sedia.

«Qui dentro si gela. Ora accendo la stufa.» Zia Lucia uscì e tornò poco dopo con una bracciata di legna, mettendosi all’opera in cucina.

Per un attimo, a Beatrice sembrò di rivedere sua madre, come se la sua morte fosse solo un brutto sogno…

«Ecco, ora si scalderà tutto.» Ma non era sua madre a rientrare, bensì zia Lucia. «Non preoccuparti per il pranzo funebre. Domani ci sono i funerali? Vai pure in città, io e Anna pensiamo a tutto qui. Raffaella lo sa? Verrà?»

«Non risponde al telefono, le ho scritto. Non so. Grazie mille», mormorò Beatrice, a fatica.

«Ma dai, non siamo estranei. Io e tua madre eravamo più che sorelle.» Le parole suonarono quasi accusatorie, e Beatrice lo notò, alzando lo sguardo. «Vado, allora», si affrettò a dire zia Lucia, dirigendosi verso l’uscita. Afferrò la maniglia e si fermò. «Domani non chiudere a chiave, va bene?»

Beatrice annuì, mordendosi il labbro. Nella stufa scoppiettava la legna, il fuoco ronzava nel camino, e la casa sembrò riprendere vita. Quell’opprimente solitudine che si era insinuata dopo la morte della madre pareva attenuarsi. Dicono che nei primi giorni i defunti si sentano ancora vicini. Beatrice si guardò attorno, ma non percepì nulla.

Sua madre, negli ultimi tempi, era stata molto malata. Dopo la morte di suo padre, aveva perso ogni motivo di vivere, era diventata cupa e silenziosa. A volte, Beatrice pensava che non volesse più stare al mondo, che avesse fretta di raggiungerlo. Dopo il liceo, lei si era trasferita in città per studiare ragioneria.

Tornava ogni weekend, portando la spesa e aiutando in casa. Nell’ultimo anno, sua madre era dimagrita tantissimo. La portò in ospedale e ricevettero una diagnosi senza speranze. Sua madre l’aveva accolta con indifferenza, quasi con sollievo.

Quando non riuscì più ad alzarsi dal letto, Beatrice prese un permesso e andò da lei. In ufficio aveva avvertito che forse avrebbe dovuto assentarsi ancora. Un mese dopo, sua madre morì. Gli ultimi due giorni li aveva passati in un torpore, senza mangiare né parlare.

Beatrice continuava a parlarle, indifferente al fatto che la sentisse o no. La sua voce la teneva compagnia, allontanando la paura e la tristezza. L’ultimo giorno, le chiese perdono per tutto, le chiese di non lasciarla sola, accarezzandole la mano ormai esangue.

Le disse che presto sarebbe arrivata Raffaella. Al nome della sorella, le palpebre della madre ebbero un fremito, ma non aprì gli occhi. Forse era già altrove, con suo padre, dove aveva sempre desiderato essere.

Suo padre era un lavoratore, beveva poco, cosa rara in paese. Molte donne, sposate o no, provarono a sedurlo, ma lui amava sua madre e non la tradì mai. In un paesino, certe cose non si nascondono.

Dallo stipendio, portava sempre un sacchetto di caramelle a loro due. Che gioia era per quelle piccole cose.

Morì giovane, anzi, perì. E sua madre non si riprese mai. Beatrice aveva solo sette anni, Raffaella ne aveva quindici. Appena finita la scuola, scappò di casa dopo la tragedia e non tornò più.

Poco prima di morire, quando ancora riusciva a parlare, sua madre aveva chiesto a Beatrice di chiamare Raffaella. Lei chiamò, scrisse, ma il telefono era spento o non rispondeva. L’ultimo messaggio lo mandò quando sua madre morì, ma Raffaella non rispose. Le aveva mentito, dicendo che la figlia di Raffaella era malata. Che sarebbe venuta appena possibile. Sua madre ci aveva creduto? Beatrice non lo sapeva.

Si ricordò di quando, un anno prima, aveva chiamato la sorella dopo la diagnosi, supplicandola di venire. Raffaella era rimasta fredda.

«Mi ha cacciata, non ti ricordi? Non verrò», aveva detto secca.

«Siete fatte della stessa pasta. Potrebbe morire, vieni, parlale, perdonatevi…»

«Non sono colpevole della morte di papà. Ero solo una ragazzina. E lei ha mai pensato a cosa provavo quando mi ha cacciata?»

«Non ti ha cacciata, ha detto cose che non pensava. Era distrutta… Ti prego.»

«Non verrò.» E aveva chiuso la conversazione.

«Allora non verrà», pensò Beatrice, alzandosi. Si tolse il cappotto. In casa si stava scaldando, ma lei tremava ancora. «Non sarò mica malata? Che sfortuna.» Accese il fornello e mise a scaldare l’acqua per il tè.

Non aveva fame, ma un tè caldo l’avrebbe aiutata. Si sedette in cucina, aspettando che l’acqua bollisse. Sua madre teneva la casa impeccabile. Ora c’erano macchie, briciole, segni ovunque. A chi importava più della pulizia? Si alzò e pulì il tavolo con uno straccio, quasi sua madre potesse vederla e sgridarla.

Doveva decidere cosa fare della casa, ma senza Raffaella non poteva. In città si trovava tutto, ma venire fin qui ogni giorno era impossibile. E dubitava che a Raffaella interessasse. «Davvero non verrà neanche al funerale?»

Proprio in quel momento, la porta d’ingresso sbatte. Beatrice si irrigidì, ma non sentì passi. Era già buio, e non aveva chiuso a chiave dopo zia Lucia. Forse era tornata per qualcosa?

Un brivido di paura le attraversò la schiena. Balzò in piedi, pronta a scappare, anche se… dove? Forse dalla finestra. Poi qualcuno entrò in cucina. Il suo cuore batteva così forte da sembrarle di sentirlo. Sbirciò dietro la stufa e vide Raffaella.

«Grazie a Dio, sei venuta!» Esclamò Beatrice, correndo ad abbracciarla, premendo la sua guancia calda contro quella gelida della sorella.

Raffaella non si mosse, non ricambiò l’abbraccio.

«Non mi aspettavi?» La sua voce era secca come una foglia d’Raffaella rimase immobile per un attimo, poi finalmente si abbandonò all’abbraccio, mentre le lacrime silenziose cancellavano anni di distanza e dolore.

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