**Diario**
Dopo la morte del padre, Daria e suo marito decisero di vendere la casa in campagna. Lei aspettava un bambino e avevano bisogno di soldi per comprare un appartamento più grande.
Era un settembre tiepido. Daria guardava il paesino e quasi non lo riconosceva. In un anno erano spuntati recinti alti e, al posto delle vecchie case cadenti, c’erano ora villette con tetti colorati. Solo la loro casa era rimasta la stessa.
Stefano fermò la Fiat davanti al portico. Daria scese dalla macchina e si stirò un po’. Era tutto silenzioso, e l’aria fresca le fece quasi girare la testa. Aprì la porta d’ingresso ed entrò dentro. La casa le sembrò più piccola, quasi rimpicciolita.
Un anno intero che nessuno ci abitava. Dopo la morte della mamma, suo padre ci veniva da solo. Il terreno era grande, ma lui non piantava niente: andava nel bosco, a pescare. L’anno scorso aveva insistito per venirci, nonostante fosse già malato. Diceva che lì si respirava meglio, che l’aria gli faceva bene.
All’inizio di maggio lo avevano portato lì. Solo allora Daria si era resa conto di quanto fosse debole. Non poteva restare solo. Così lo convinse a tornare con loro in città. Un mese dopo si mise a letto, e a fine settembre morì.
Lei e Stefano erano gente di città, non sarebbero venuti spesso in campagna. Era lontano, e poi erano abituati a passare le vacanze al mare. Senza qualcuno che ci badasse, la casa sarebbe caduta a pezzi. Già sembrava abbandonata. Decisero di venderla mentre era ancora solida e in ordine. Se con gli anni avessero sentito la nostalgia del silenzio e dell’aria buona, avrebbero comprato una casetta più vicina.
Gli occhi di Daria si riempirono di lacrime al pensiero di tutti quei ricordi. La casa era un’eredità dei nonni. Prima era morta la mamma, poi i nonni, uno dopo l’altro, e l’anno scorso suo padre.
Si fermò davanti al ritratto di una ragazza appeso al muro. Stefano entrò con una borsa, la raggiunse e l’abbracciò da dietro.
“Non avevo mai visto questa foto di te. Quanti anni avevi?” chiese, fissando l’immagine.
“Non sono io, è la mamma. Credo avesse sedici o diciassette anni, ancora a scuola.”
“Le somigli tantissimo. Credevo fossi tu.” La guardò meglio. “Dai, passami il secchio, vado a prendere l’acqua così fai bollire il the.”
Daria si soffiò il naso e andò in cucina. Tornò con un secchio di zinco.
“L’avevano messo capovolto. Ma sciacqualo prima. La fontana è a due case da qui,” disse, porgendoglielo.
“Lo so, lo so.” Stefano uscì, facendo cigolare il secchio vuoto.
Daria tornò in cucina, accese il fornello elettrico, ma non si illuminò. “Ah, le valvole,” ricordò. Le valvole erano sullo scaffale sotto il contatore in salotto. Le rimise a posto e toccò il disco metallico, che già si scaldava.
Si guardò intorno. Non avrebbe portato via niente, forse solo la foto della mamma. Sarebbe passata dai vicini, a chiedere se volevano qualcosa.
Dopo il the, Daria andò dalla vicina. Le loro case non erano separate da un recinto alto.
“La vendete?” chiese la signora Anna.
“Sì,” annuì Daria.
“Ci faccio un salto, anche se in casa ho già troppa roba. Vuoi che lo dica agli altri?”
“Certo,” sorrise Daria.
Tornata a casa, trovò Stefano che sceglieva cosa bruciare. Tanto la stufa andava accesa. La casa era umida. Lui si occupò della stufa, mentre lei salì in soffitta sulla scala che scricchiolava sotto il suo peso.
“Forse vengo io?” le chiese Stefano, distogliendo lo sguardo da un mucchio di carte.
“No, ci vado io.”
Una volta, Daria aveva paura di salire in soffitta. Di notte sentiva passi sopra la sua testa. Qualcuno che camminava lassù. Suo padre diceva che erano i gatti o il legno della casa che si contraeva col fresco della sera. Ma lei si copriva comunque tutta con il lenzuolo e si addormentava così.
Il sole entrava dalla piccola finestra quadrata, e i granelli di polvere danzavano nei raggi come fossero vivi.
“Non c’è niente di spaventoso qui,” disse Daria ad alta voce.
Alla sua voce, le ombre negli angoli sembrarono rimpicciolirsi. Cercò di non toccare le ragnatele appese al soffitto, attaccate alle corde dove la nonna stendeva il bucato quando pioveva. Apri una scatola: dentro c’erano decorazioni natalizie. “Mamma mia,” sorrise, “i nonni mettevano l’albero di Natale.” Non era mai stata lì d’inverno.
In un’altra scatola c’erano giocatori. Non li ricordava affatto. In un angolo c’era un arcolaio. Niente di utile. Tornò all’apertura del solaio e si guardò ancora attorno. Lo sguardo le cadde su un angolo di carta che spuntava da sotto una tavola vicino al tetto.
Tornò indietro, lo tirò fuori e trovò un quaderno. Fogli gialli, appiccicati dall’umidità e dal tempo. Vide delle annotazioni con delle date. Capì che era un diario. Il diario della mamma.
Non era giusto leggere i diari degli altri. La mamma non c’era più da anni, ma i suoi pensieri, scritti su quelle pagine ingiallite, erano ancora lì. D’altronde, a cosa servivano i diari se non per essere letto da qualcuno, prima o poi? Perché lo aveva nascosto sotto il tetto?
Daria si sedette su un vecchio secchio capovolto e decise di sfogliarlo, giusto per dare un’occhiata. Alcune annotazioni erano lunghe, dettagliate, ma per lo più erano poche righe.
Aprì una pagina a caso e iniziò a leggere.
*21.06.1988. Ieri è tornato Sergio. Com’è diventato bello! E oggi ci siamo incontrati al fiume. Lui stava già nuotando quando sono arrivata. Mi ha visto ed è uscito dall’acqua. Era più alto di me di almeno due teste. Al suo fianco mi sono sentita piccola e fragile…*
*23.06. Mi ha detto che sono bella, e mi guardava in un modo che mi faceva venire caldo. Penso solo a lui…*
Daria alzò gli occhi dal quaderno. Conosceva sua madre come mamma, non come una ragazza innamorata di un ragazzo che non era suo padre. Si sentì a disagio. Aveva il diritto di leggere? A lei sarebbe piaciuto che qualcuno frugasse nei suoi pensieri? Ma lei non aveva mai tenuto un diario, lo considerava una perdita di tempo. Scrivere ogni cosa per poi riaccorgersi della propria stupidità una volta anziani? Assurdo. Eppure, se c’era qualcosa da nascondere, non avrebbe dovuto distruggerlo?
La curiosità ebbe la meglio, e continuò a leggere. Sfogliò rapida alcune pagine dove la mamma descriveva i baci con Sergio e le loro dichiarazioni d’amore.
*25.08. Se n’è andato e non so come vivere senza di lui. Se fossi un uccello, volerei da lui. Dubito che tornerà l’anno prossimo. Deve iscriversi all’università. Davvero è finita tutto qui? Non voglio, non posso stare senza di lui.*
ESi voltò verso la finestra e vide un uccello posarsi sul ramo di un ulivo, mentre il vento portava via l’ultimo foglio strappato del diario, e capì che a volte i segreti sono meglio lasciarli fluttuare via con il passato.