Rinascita dal Fiamme

Federica entrò nell’ufficio, annuì appena alla guardia e superò l’ascensore dirigendosi verso le scale. Saliva sempre a piedi fino al quinto piano. Tre volte alla settimana andava in palestra, spesso non aveva tempo per più. Persino nel suo appartamento al quindicesimo piano, spesso saliva a piedi quando le restavano ancora energie dopo il lavoro.

I suoi tacchi, che battevano un ritmo preciso sul pavimento del hall, presto si smorzarono nel vano delle scale, come se si fosse librata in volo. Alle sue spalle la chiamavano strega, arpia, regina. A trentasei anni ne dimostrava dieci di meno. L’età vera la tradivano gli occhi—intelligenti, penetranti, quelli di una donna che aveva vissuto molto. Vestiva in modo sobrio e professionale, il trucco abile metteva in risalto la sua bellezza naturale.

“Chi è quella?” chiese il giovane che si era avvicinato alla guardia. L’uomo lo scrutò con sguardo sospettoso.

“La direttrice della società di revisione ‘Fenice’,” disse con rispetto l’uomo sulla cinquantina, un po’ in sovrappeso.

La donna era già sparita, ma nell’aria rimaneva ancora il profumo del suo profumo.

“Non è sposata?” chiese il giovane alla guardia, scorrendo con lo sguardo la mappa del centro direzionale in cerca degli uffici della ‘Fenice’.

“Di cosa ha bisogno, signore?” La guardia ormai lo osservava con diffidenza.

“Ho un colloquio alla ‘Norton’.”

“Cognome?” La guardia stava già componendo un numero sul telefono interno.

Il giovane lo disse.

“Passi pure. Settimo piano, ufficio settecentosettantasette,” rispose la guardia.

Marco si avviò verso gli ascensori, consapevole che la guardia lo seguiva con lo sguardo. Aveva memorizzato che la ‘Fenice’ era al quinto piano. Arrivato al settimo, scese rapidamente a piedi fino al quinto. Vide subito l’insegna a grandi lettere rosse sopra le porte di vetro: ‘Società di Revisione Fenice’ ed entrò. Fu fermato dal sorriso professionale di una giovane ragazza alla reception.

“Buongiorno. Come posso aiutarla?” lo salutò.

“Buongiorno. La direttrice è presente?” chiese Marco con tono disinvolto, come se fosse un cliente abituale.

“Sì. Ha un appuntamento? A che ora?” La ragazza aprì l’agenda.

“Sì. Cioè, no. Vorrei parlarle.”

“Temo che non possa accettare visite senza prenotazione. Per quale giorno preferisce fissare?” Prese una penna, mantenendo il sorriso.

In quel momento si udirono dei passi di tacchi, e Marco vide una donna elegante avvicinarsi lungo il corridoio. Si irrigidì, come un predatore davanti alla preda.

“Federica, c’è un visitatore per lei, senza appuntamento,” disse la ragazza.

“Vede, sono venuto per un colloquio alla ‘Norton’. Ho pensato di tentare la fortuna anche qui,” ammise Marco con l’aria imbarazzata di un ragazzino colto in fallo.

Federica lo scrutò con uno sguardo rapido e penetrante.

“Ha una laurea in economia?” La sua voce era profonda e piacevole.

“No, in giurisprudenza,” rispose, sfoggiando tutto il suo fascino nel sorriso.

“Bene, sono disposta ad ascoltarla. Venga.” E lo precedette lungo il corridoio.

La seguì, ammirando la figura slanciata nel completo grigio e la gonna stretta fino al ginocchio, le gambe perfette, esaltate dai tacchi alti, respirando il profumo costoso che lasciava dietro di sé.

“Susanna, per dieci minuti non passarmi nessuna chiamata,” disse alla graziosa segretaria prima di aprire la porta di quercia dello studio.

“Entri.”

Il tappeto spesso attutiva il rumore dei passi e dei suoi tacchi. Federica si sedette alla sua postazione in capo al lungo tavolo lucido. Con lo sguardo gli indicò una sedia.

“Per quale posizione sta facendo domanda?”

“Non lo so,” ammise Marco, sorridendo imbarazzato.

“Credo che farebbe meglio a tornare alla ‘Norton’,” rispose freddamente Federica.

“Onestamente, non ho mai lavorato in una società di revisione. Ma ho bisogno di un lavoro, imparo in fretta. Mi dia una possibilità. Vorrei provare,” disse con fervore.

Federica lo osservò di nuovo attentamente.

“Uno dei nostri dipendenti più anziani sta andando in pensione. In due settimane le insegnerà il lavoro. Lo stipendio pieno sarà corrisposto solo dopo due mesi di prova, se riuscirà. È d’accordo?” disse in tono professionale e misurato.

“Per me va bene. Non la deluderò, vedrà.” Marco fece trasparire sul volto una gioia sincera.

“Ha i documenti con sé?”

“Sì.” Marco aprì la cartella.

Federica lo fermò con un gesto.

“Li porti alle risorse umane. Susanna la accompagnerà. La avverto, la sicurezza controlla scrupolosamente tutti i dipendenti. Se non ci sono domande, la aspetto domani. Susanna le spiegherà il resto.” Federica abbassò gli occhi sui documenti sul tavolo, segnando la fine della conversazione.

Marco si avviò verso la porta, sentendo il suo sguardo penetrante sulla schiena.

“Severa,” commentò con Susanna, una volta chiusa la porta.

La segretaria neppure sorrise. “Ben addestrata,” pensò Marco.

Si considerò fortunato. Aveva trovato subito un lavoro, e per di più con una capa così. “Non fare mosse affrettate, non spaventarla, altrimenti mi ritroverò di nuovo per strada,” pensò, seguendo Susanna nel labirinto di corridoi con porte marrone chiaro tutte uguali.

“Perché ha lasciato il lavoro precedente?” chiese una signora di mezza età sfogliando il libretto di lavoro.

“Mia sorella mi chiamava da tempo a Milano. Eccomi qui. Ho visto la vostra società e il nome mi è piaciuto,” rispose Marco senza esitazione.

Mica poteva dire che a Bologna aveva sedotto la figlia del suo ex capo. Quella stupida era rimasta incinta e lui era sfuggito per un pelo alla furia del padre.

La donna gli porse un modulo e un foglio bianco. Marco lo compilò, pensando a Federica: “Giovane e già direttrice. Di sicuro c’è lo zampino di qualcuno influente.”

Non era lontano dalla verità. Federica era cresciuta in un paesino con le ciminiere della cartiera che vomitavano fumo grigio e puzzolente. Sua madre aveva lavorato lì per vent’anni, si era ammalata ai polmoni ed era morta poco prima che Federica finisse il liceo. Con il diploma in mano, era partita per Milano in cerca di fortuna.

La trovò in Matteo, uno studente più grande all’università dove si era iscritta. L’aveva presa sotto la sua ala. Quando lei gli disse di essere incinta, lui sparì senza lasciare traccia. Partorire e crescere un figlia da sola? Federica fece l’aborto. Aveva tempo, avrebbe avuto altri figli. Ma scoprì che non sarebbe più potuta rimanere incinta.

Con quell’esperienza, smise di interessarsi agli uomini. A un incontro di lavoro conobbe il direttore della ‘Fenice’. Era più vecchio di lei di ventidue anni. Quando le propose di sposarlo e diventare sua socia, accettò senza esitare, nonostante non lo amasse. Pazienza, avrebbe aspettato. E dopo la morte del marito, divenne l’unica proprietaria della ‘Fenice’, fredda e calcolatrice.

Due settimane dopo, inE mentre spingeva la carrozzina oltre la coppia litigiosa, Federica sorrise alla sua bambina, sapendo che nessun uomo avrebbe più rubato la felicità che aveva finalmente trovato.

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