**Tradimento**
Fine settembre si rivelò caldo e secco. Di lì a poco sarebbe arrivato il freddo, con piogge torrenziali e umide. Il tempo autunnale è sempre imprevedibile. *”Devo assolutamente andare alla casa di campagna, altrimenti con la pioggia la strada diventerà impraticabile e non ci si potrà più arrivare fino all’inverno,”* sospirò Vera, componendo di nuovo il numero del marito.
“Signora Veruccia, posso uscire un’ora prima? Mia mamma mi ha chiesto di accompagnarla alla casa al mare,” disse la contabile Lucia, alzando le sopracciglia a forma di cupola e guardando la capoufficio con occhi imploranti.
“Anch’io vorrei andarmene. Va bene, ma lunedì devi essere puntuale. Niente assenze per malattia. Capito? Altrimenti non te lo permetterò più,” rispose Vera con finto rigore.
“Grazie mille, signora Vera. Arriverò in orario, prometto.” Le sopracciglia di Lucia si distesero subito in un sorriso, gli occhi le brillarono mentre afferrava la giacca dall’armadio e sfrecciava fuori dall’ufficio.
*”Che furbetta. È già pronta, ha spento il computer e preso la borsa. Sapeva che l’avrei lasciata andare. Ma dov’è Matteo?”* Vera riprovò a chiamarlo, ma ancora una volta una voce automatica le rispose: *”Il telefono è spento o fuori copertura.”* “Non importa, domani non avrà scuse. Verrà con me alla casa di campagna. A breve è il compleanno di mamma, dobbiamo portare patate, conserve…”
Mise giù il telefono, scosse il mouse per svegliare il processore assopito e si immerse nei dati sullo schermo.
Quando il telefono squillò, rispose subito, senza guardare lo schermo.
“Matteo, perché hai spento il telefono? Ti ho chiamato tutto il giorno—”
“Mi scusi, sono l’ispettore… Romano,” la interruppe una voce maschile sconosciuta.
Fu così inaspettato, e quel cognome “Romano” la confuse talmente che pensò di aver capito male.
“Matteo, dove sei?” chiese, sospettosa.
“Lei è la moglie di Matteo Giovanni Marchetti? Come posso chiamarla?” continuò l’uomo.
“Vera Luigia…” Vera tossicchiò, il cuore già martellante nel petto, presagendo qualcosa di terribile.
“Può venire all’Ospedale Santa Maria Nuova? La aspetterò al pronto soccorso,” disse l’uomo.
“Perché l’ospedale?! Cosa è successo a Matteo?!” gridò nel telefono.
“La aspetto,” rispose l’uomo, e la linea si interruppe.
Provò a richiamare il numero, ma era occupato. Le mani le tremavano mentre cercava di chiudere il file sullo schermo, sbagliando più volte. Alla fine spense il computer, afferrò la borsa, strappò il cappotto dall’attaccapanni e corse fuori.
Nella mente le si affollavano immagini terribili: un incidente, suo marito in coma dopo un intervento, o peggio… *”No, è vivo, altrimenti mi avrebbero chiamato all’obitorio, non in ospedale. Certo che è vivo,”* si ripeteva.
Confusa, non riusciva a ricordare quale autobus prendere, così si piazzò sul ciglio della strada, tendendo il braccio. Fermò un passante in auto e, dieci minuti dopo, correva già nel cortile dell’ospedale, il cuore in gola.
“Sono la moglie di Matteo Marchetti!” gridò, ansimante, appena entrata al pronto soccorso.
Un uomo alto e sui quarant’anni si alzò da dietro la scrivania e le si avvicinò. Si presentò di nuovo, ma Vera perse la pazienza. *”Perché tergiversa? Non mi importa il suo nome, voglio vedere mio marito, voglio sapere se è vivo!”*
“Andiamo,” disse finalmente l’uomo, indicando l’uscita.
Vera lo seguì, sconcertata. *”Non si accede a tutti i reparti passando dal pronto soccorso?”* Intanto l’uomo girò dietro l’edificio principale, dirigendosi verso una costruzione bassa in mattoni. Sulla porta, un cartello blu: *”Morgue – Medicina Legale.”*
Vacillò, ma una mano ferma la sorresse per il gomito.
“È morto?” chiese con voce rotta. “Lo chiamavo tutto il giorno, volevo andare alla casa al mare…”
“Sì, è grazie al suo telefono che l’abbiamo trovata. Si sieda.” L’ispettore la condusse a una panchina di legno. Le gambe non la reggevano più.
“Ho chiamato, e lui era già…”
“Vede, suo marito oggi non è andato al lavoro,” disse Romano con delicatezza
“Impossibile. Oggi aveva un controllo, me l’ha detto lui,” mormorò Vera, più a sé stessa che all’ispettore.
“Il suo vicino di casa al mare ha notato l’auto nel vostro terreno stamattina. Si è stupito che foste già lì. A pranzo è passato per un saluto, ma non gli hanno aperto. Né vostro marito né… un’altra persona hanno risposto. Il suo numero non ce l’aveva. Ha chiamato i carabinieri. Sapete com’è, alle case al mare a volte entrano i ladri.”
“L’hanno ucciso?” Vera non capiva più nulla.
“No, nessun segno di violenza. Secondo il medico legale, suo marito è morto per intossicazione da monossido di carbonio.”
“Aspetti. Il vicino, zio Franco, credeva che fossimo andati là insieme. Quindi ha visto Matteo con un’altra donna?” Chiese, smarrita.
“Sì. Era con lui. Arianna Ricci. Le dice nulla?”
Vera chiuse gli occhi e scosse la testa.
“Non è possibile.”
Era molto peggio di quanto pensasse. Ventuno anni insieme. A novembre sarebbe stato il loro anniversario. Mentre amiche e conoscenti perdevano i mariti per tradimenti, lei, Vera, era sempre stata invidiata. Perché Matteo era il marito perfetto, il padre modello. Anche lei ci aveva creduto. *”Che vergogna.”* Si coprì il volto con le mani, dondolandosi.
“Non è colpa sua. Cercheremo di evitare scandali. Ma qualcuno al suo lavoro… forse sapeva con chi e dove andava,” aggiunse l’ispettore.
Vera abbassò le mani e lo fissò, stupita.
“Mi scusi, stavo pensando ad alta voce. Dobbiamo essere certi che sia lui. Ogni volta è cosÏ. Mi dica quando è pronta.”
Le sue parole furono un’ancora di salvezza. *”Forse non è lui? Magari gli hanno rubato l’auto, o l’ha prestata a qualcuno per un appuntamento… e intanto lui è già a casa.”*
“Sono pronta.” Si alzò, inspirando profondamente, come prima di un tuffo.
Ma quando entrarono nella stanza fredda, con i corpi coperti da lenzuola bianche, la forza la abbandonò. *”Non posso vederlo. Non voglio…”*
“È suo marito?” Chiese Romano. Vera abbassò lo sguardo.
Sedettero di nuovo sulla panchina. Vera non sapeva se il volto grigio di Matteo fosse reale o un’allucinazione. Romano le avvicinò al naso un batuffolo imbevuto di ammoniaca, e lei si scostò.
“Si è ripresa? Posso accompagnarla a casa.” L’aiutò ad alzarsi.
Vera tremava, le gambe erano di gelatina. Si lasciò infilare in macchina, afferrando solo frammenti di discorso:
“Confer**Conclusione.**
I giorni che seguirono furono un susseguirsi di gesti automatici—i funerali, le visite di condoglianze, lo sguardo di compassione nei suoi occhi—finché una sera, mentre riordinava la cantina, trovò una scatola di vecchie foto e, senza pensarci due volte, la gettò nel fuoco, lasciando che le fiamme divorassero ogni ricordo di Matteo **e di ciò che un tempo era stato amore.**