Balla con me

**Balliamo Insieme**

A Giosuè piaceva molto Viola. Una bella ragazza slanciata, bionda con occhi castani. L’aveva notata subito, appena era arrivata a lavorare nel loro ufficio.

Le colleghe si divisero in due fazioni: alcune sostenevano che i capelli fossero tinti—non potevano essere biondi naturali con occhi così scuri. Altre giuravano che il colore degli occhi fosse solo frutto di lenti a contatto. Il tempo passava, ma i capelli rimanevano sempre uguali. A volte Viola indossava gli occhiali da vista durante il lavoro. Perché occhiali se usava le lenti?

Anche Romeo, il Casanova dell’ufficio, si era accorto di Viola. Ma, a differenza del timido Giosuè, si era subito messo a corteggiarla. Pranzi al bar, caffè portato in ufficio, offerte di passaggi in macchina. Ogni volta che lo vedeva, Giosuè soffriva di gelosia.

Come poteva competere con Romeo? Lui era un vero bel ragazzo, capace di far sciogliere le donne con un complimento, di farle ridere con battute ben raccontate. Peccato che, una volta conquistata una ragazza, perdeva subito interesse e passava alla successiva. Stavolta, però, aveva lasciato indietro Michela, che pianse in bagno e cominciò a tramare vendetta.

Giosuè, invece, era un tipo impacciato, con le guance rosse e squadrate, occhiali spessi e vestiti troppo larghi. Anche il cognome non lo aiutava—Baldi, come un personaggio goffo di un romanzo famoso. Ma aveva un talento: capiva i computer. Qualsiasi problema, lui lo risolveva, o quasi. E tutti gliene erano grati.

“Giosuè, aiutami!”
“Mi si è bloccato il computer…”
“Giosuè, sai montare questo video?”

Lui si metteva alla tastella, le dita volavano, e in pochi minuti tutto funzionava di nuovo, la presentazione pronta, il video sistemato.

“Grazie mille, Giosuè!” diceva Lucia o Carla, dandogli un bacio sulla guancia e facendolo arrossire.

“Baldi, sei un genio! Io ci avrei perso tutta la sera, tu hai fatto tutto in mezz’ora. Domani ti offro un caffè!” prometteva qualcuno, salvo poi dimenticarsene.

Giosuè non beveva, ma preferiva la gratitudine delle ragazze.

In realtà si chiamava Giuseppe, ma ormai tutti lo chiamavano Giosuè. Si arrabbiava, chiedeva di usare il suo vero nome, ma era inutile.

“Dai, non fare il permaloso. Ti sta bene quel nome,” gli diceva Romeo, dandogli una pacca sulla spalla.

E Giosuè non capiva se fosse un complimento o una presa in giro.

Non era un ricco ereditiero come il personaggio del romanzo. Era cresciuto solo con sua madre, che non gli aveva mai nascosto la verità: l’aveva avuto per sé, verso la fine della sua giovinezza, da un ragazzo quasi vent’anni più giovane. Era stata una scelta, e non voleva rovinargli la vita.

Giosuè era un bambino tranquillo, intelligente, appassionato di computer. A scuola, mentre gli altri giocavano, lui imparava. Capì presto che poteva guadagnare qualcosa, ma serviva un computer migliore. Sua madre, Antonietta, fece un prestito per comprarglielo. Cosa non si fa per l’unico figlio?

Dopo il liceo, si iscrisse a Informatica all’università e iniziò a guadagnare bene. Sua madre andò in pensione e si dedicò a lui: cucinava, preparava dolci, lo viziava. Giosuè ingrassò, passava le giornate davanti allo schermo, diventando sempre più introverso.

Antonietta sognava una buona moglie per lui, dei nipoti. Provò a presentargli figlie di amiche, ma Giosuè non si interessava a nessuna. Fino all’arrivo di Viola. La prima ragazza che lo fece perdere il sonno. Scaricò le sue foto dai social e le guardava per ore. Lei, però, non lo notava.

Un giorno, Giosuè arrivò presto al lavoro e sabotò il computer di Viola. Il lavoro si bloccò, i capi chiedevano un rapporto urgente.

“Aiutami!” gli chiese Viola, disperata.

Lui, con aria importante, passò un’ora a sistemare il problema che lui stesso aveva creato, mentre lei si mordeva il labbro. Alla fine, eliminò il programma e si alzò.

“Non ce l’hai fatta?” chiese lei, sconsolata.

“Puoi lavorare. Ho sistemato tutto,” rispose lui con sufficienza.

“Grazie! Chiedimi qualsiasi cosa,” disse lei, senza pensarci.

“Qualsiasi cosa?” la guardò strano.

Viola si rese conto di aver parlato troppo.

“Sì… entro certi limiti. Vuoi andare al cinema? O a cena?”

“Ho già visto tutti i film, anche quelli non ancora usciti. Sai, tra poco c’è il party dell’azienda. Ballerai con me?”

“Con te? Sai ballare?” chiese stupita. Poi, meno convinta: “Va bene, te lo prometto.”

Una settimana dopo, al party, dopo cibo e vino, arrivò il momento delle danze. Giosuè si avvicinò a Viola, ma prima che potesse parlare, Romeo la prese e la portò al centro della pista. Lui li guardò, deluso, e se ne andò.

Il giorno dopo, l’ultimo prima delle vacanze, Viola si avvicinò.

“Perché sei andato via? Avrei ballato con te.”

Giosuè si sistemò gli occhiali.

“Lo capisco. Non sono bello come Romeo. Pensavo fossi diversa, ma sei come tutte le altre.”

“Giosuè, sei dolce, intelligente… ma dovresti dimagrire un po’. Hai mai provato le lenti a contatto? Vestiti meglio! Anche le ragazze guardano l’aspetto. Mi avresti notata se fossi stata brutta?”

Lui non rispose.

A casa, si osservò a lungo allo specchio. Decise di cambiare. Rinunciò ai dolci di sua madre, che si preoccupò:

“Non ti piacciono più?”

“Sono buonissimi, mamma. Solo che… li porterò al lavoro.”

Il giorno dopo, li offrì ai colleghi.

“Ora capisco perché sei così… in forma,” disse Romeo, divorando il terzo cannolo.

Giosuè sospirò ma resisteva. La dieta non bastava, serviva fare sport, ma lui detestava l’attività fisica. Cercò online soluzioni rapide, ma poi trovò un annuncio: *Corsi di ballo per adulti e bambini.*

Chiamò il numero. Rispose una voce femminile, gentile e senza ironia.

“Vieni domani alle sette, vediamo come va,” disse la ragazza.

Era incoraggiante. Chiese:

“Chi è l’insegnante? Uomo o donna?”

“Io,” rispose lei. “Non ti preoccupare, ho esperienza. Ho partecipato a gare internazionali, ma dopo un infortunio ho smesso. Ora insegno. Purtroppo, gli adulti sono meno motivati dei bambini.”

Nel suo tono c’era tristezza. Giosuè si sentì in colpa. Forse aveva pochi allievi, aveva bisogno di soldi. Il giorno dopo, si presentò.

La trovò più grande e meno magra di quanto immaginasse.

“Se pensi che sono troppo grasso per ballare, dimmelo subito,” disse imbarazzato.

“Cosa dici? Il fisico non conta. Conta la voglia di ballare,” rispose lei, incoraggiandolo.

“Pensavo fossi più giovane,” sbottò lui.

Laura rise, mostrando denti bianchi.

“VuE mentre Laura gli sorrideva con un misto di affetto e speranza, Giosuè capì che a volte la felicità non è dove la cerchi, ma nel posto in cui, senza accorgertene, hai già messo radici.

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