Non fare il tuo gioco, l’importante è trovare un buon marito.

“Te, Fiorella, non fare la schizzinosa. L’importante è sposarsi bene, con un romano. In ogni caso, ne uscirai vincente,” insegnava la parente.

Fiore cresceva figlia unica e adorata, coccolata dai genitori che non le facevano mancare nulla. Verso la fine del liceo, cominciò a parlare sempre più spesso del suo desiderio di continuare gli studi a Roma.

“Figlia mia, qui abbiamo una buona università. Perché vuoi andare a Roma?” chiedeva il padre.

“Papà, voglio diventare giornalista. Dopo l’università qui, diventerei solo un’insegnante.”

I genitori esitarono a lungo prima di lasciarla partire. Quanti film avevano visto sulle giovani di provincia rovinate dal tentativo di fortuna nella capitale? Alla fine, però, si rassegnarono. Il padre contattò una lontana parente che viveva a Roma, la quale accettò di ospitare Fiore per il periodo degli studi. La gioia di Fiore non conosceva limiti. Promise ai genitori che ce l’avrebbe fatta, che non avrebbero dovuto vergognarsi di lei, anzi, ne sarebbero stati orgogliosi.

Il padre accompagnò personalmente la figlia, si assicurò che fosse sistemata bene, le lasciò qualche soldo per le prime spese e ripartì.

Fiore non viveva dalla parente a sbafo. Puliva la casa, faceva la spesa, cucinava. I vicini scuotevano la testa: “Ecco, la zia Romilda si è fatta servire gratis.” La lontana parente del padre viveva sola, il marito l’aveva lasciata anni prima per un’altra, ma le era rimasta la casa. Si considerava fortunata: “Vivo a Roma, nella capitale, mica in un paesino sperduto!” E ammoniva Fiore:

“Fiorella, non fare la schizzinosa. Studiare va bene, ma per una donna non è la cosa più importante. L’importante è sposarsi bene, con un romano. In ogni caso, ne uscirai vincente. Guarda me.”

Fiore ascoltava e sorrideva fra sé. Di matrimonio non sognava ancora. Sognava che qualcuno notasse il suo talento, che la assumessero in una testata prestigiosa, e se la fortuna l’avesse scelta come favorita, magari lavorare in televisione.

Ma i sogni sono una cosa, la vita spesso ne corregge i piani ambiziosi. Al terzo anno, Fiore si innamorò di Marco. Si conobbero per caso. Lei e le amiche festeggiavano la fine della sessione estiva. Anche Marco era lì con un amico. Notò la ragazza carina, la invitò a ballare, poi la accompagnò a casa.

Le amiche la incalzavano: “Non lasciartelo scappare! Otto anni più, romano, con casa sua, bello.” Marco non nascondeva di essere divorziato e di avere una figlia. Ma chi non sbaglia in gioventù? La bambina viveva con la madre, non avrebbe dato fastidio. Anzi, era segno che amava i figli.

Fiore non faceva progetti, ma Marco le piaceva. Lui vedeva che era ingenua in amore, non forzò i tempi e non si affrettò a portarla a casa sua. Passavano il tempo insieme, visitavano mostre, teatri, concerti. In tutti gli anni a Roma, Fiore non l’aveva mai conosciuta così bene come dopo l’incontro con Marco.

Parlava sempre più spesso d’amore, di progetti futuri, di bambini, dei loro figli. La testa di Fiore girava per l’emozione. Quando Marco le propose finalmente di sposarlo, accettò subito. Mancava solo un anno alla laurea. E poi, l’attendeva una vita adulta e interessante.

Marco la portò a conoscere i genitori. Il padre sorrise cordiale e si nascose dietro il giornale. La madre, invece, lasciò intendere alla nuova promessa sposa che Marco non mancava certo di attenzioni femminili, che non avrebbe permesso al figlio di ripetere lo stesso errore, che vedeva bene che a Fiore serviva la residenza romana, la casa…

“Ma non potevi innamorarti di una tua pari? Ricadi sempre negli stessi errori,” concluse la madre.

“Che errori? Basta, mamma. Teresa, tra l’altro, era romana. E questo non ci ha impedito di divorziare,” tagliò cortamente Marco, portando via Fiore.

Non rivide i suoceri fino al matrimonio. Marco, invece, portava spesso a casa la figlia, Romina. La chiamavano così in onore della nonna, che era stata chissà, forse una famosa attrice o la moglie di un celebre artista… Fiore non capì mai bene.

Romina era una ragazzetta robusta, non bellissima, tranquilla. Marco era felice che lei e Fiore andassero d’accordo. Al matrimonio, la suocera lasciò intendere che con i figli non bisognava affrettarsi. Fiore la rassicurò: doveva finire gli studi e lavorare qualche anno, fare esperienza. I figli potevano aspettare. C’era tempo.

La prima volta che la suocera portò Romina a casa loro, disse che un padre non poteva privare la figlia del suo affetto, non poteva dimenticarla. Marco passò tutta la giornata con Romina, assecondando ogni suo capriccio. Fiore non si lamentò. Cercò di capire e accettare la situazione. Quando si era sposata, sapeva dell’esistenza di quella figlia, sapeva a cosa andava incontro.

Dopo la laurea, Fiore trovò lavoro in un giornale, non prestigioso, ma pur sempre romano. Il suo sogno si era avverato: viveva e lavorava a Roma, con il marito che amava. Andarono un paio di volte a trovare i genitori di Fiore con regali. Ma il dono più grande per loro era vedere la figlia felice.

Passarono quasi tre anni. Un giorno, poco prima di Capodanno, Fiore annunciò al marito di essere incinta.

“Volevo dirtelo a Capodanno, ma non ho resistito,” disse raggiante.

“Ma tu non volevi figli… Come è successo? Prendi la pillola. Hai dimenticato?” chiese Marco, contrariato.

“Non è un incidente. Ho smesso di prenderla. Pensavo non sarebbe successo subito, che il corpo avesse bisogno di tempo. Invece è successo subito. Non è meraviglioso?” Ma vedendo l’espressione stupita di Marco, tacque. “Non sei contento?”

“Contento, ma… Perché non ne hai parlato con me?”

“Se un uomo lascia alla donna la responsabilità di decidere sul controllo delle nascite, le dà anche il diritto di scegliere se avere un figlio o no. Non è così? Io lo voglio. E quando dovrei farlo? A quarant’anni?” sbottò Fiore, trattenendo a stento le lacrime.

Era convinta che sarebbe stato felice.

“Non urlare. Ormai è fatta. Speriamo sia un maschio. Dovrai starci tu a casa, comunque. E il lavoro?” Marco abbracciò Fiore, offesa. La pace fu ristabilita.

A Capodanno, Marco diede la notizia ai genitori. Il padre gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla schiena, ma la madre reagì male.

“Lo sapevo che quella provincialotta avrebbe cercato di consolidare la sua posizione con un figlio. Ti ha fregato bene, figliolo. Prima la residenza, ora il bambino. E sei sicuro che è tuo? Vedrai, ti frega la casa. Non abbiamo più soldi per comprarne un’altra, come alla prima moglie.”

“Mamma, che dici? Ci vogliamo bene. Fiore non ha intenzione…”

“Per ora no. E tu sai cosa le passa per la testa?” Continuava imperterrita, senza ascoltarlo.

Marco sbatté la porta e non tornò dai genitori per un po’. La gravidanza di Fiore procedette senza problemi, e dopo nove mesi nacque un bel maschietto, Luca.

I suocNonostante tutto, Fiore trovò la sua felicità nel lavoro, nell’amore del nuovo marito e nella crescita di Luca, dimostrando che la vera fortuna non era vivere a Roma, ma costruirsi una vita piena e serena.

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