Dopo la morte del padre, Ginevra e suo marito decisero di vendere la casa in campagna. Ginevra aspettava un bambino e avevano bisogno di soldi per comprare un appartamento più grande.
Era un caldo settembre. Ginevra guardava il paese e quasi non lo riconosceva. In un anno erano spuntati alti recinti e, al posto delle vecchie case cadenti, ora c’erano nuove costruzioni con tetti colorati. Solo la loro casa era rimasta uguale.
Marco fermò la Fiat davanti al portico. Ginevra scese dall’auto e si stirò le braccia. Era silenzioso, e l’aria così pura le diede perfino le vertigini. Aprì la porta di casa ed entrò. Le sembrò più piccola, quasi rattrappita.
Nessuno ci abitava da un anno. Dopo la morte della mamma, suo padre veniva qui da solo. Il terreno era grande, ma non piantava nulla: preferiva andare nel bosco o a pescare. Anche l’anno scorso aveva insistito per venire, nonostante fosse già molto malato. Diceva che qui respirava meglio, che l’aria lo curava.
All’inizio di maggio lo avevano portato qui. Solo una volta dentro, Ginevra capì quanto si fosse indebolito. Non poteva vivere da solo. Così lo convinse a tornare in città con loro. Un mese dopo si mise a letto e alla fine di settembre morì.
Lei e Marco erano gente di città, non sarebbero venuti spesso. Era troppo lontano, e loro erano abituati a passare le vacanze al mare. Senza qualcuno che se ne prendesse cura, la casa avrebbe iniziato a rovinarsi. Già adesso sembrava abbandonata. Perciò decisero di venderla mentre era ancora in buone condizioni. Se da vecchi avessero sentito la mancanza del silenzio e dell’aria di campagna, avrebbero comprato una casa più vicina.
Gli occhi di Ginevra si riempirono di lacrime al peso dei ricordi. La casa era un’eredità dei nonni. Prima era morta la mamma, poi i nonni, uno dopo l’altro, e l’anno scorso il padre.
Ginevra si fermò davanti al ritratto di una giovane donna appeso al muro. Marco entrò con una borsa di vestiti, le si avvicinò e la abbracciò da dietro.
«Non avevo mai visto questa foto. Quanti anni avevi?» chiese, guardando l’immagine.
«Non sono io, è la mamma. Credo avesse sedici o diciassette anni, andava ancora a scuola.»
«Le somigli molto. Credevo fossi tu.» La guardò negli occhi. «Dammi il secchio, vado a prendere l’acqua e tu prepari il tè.»
Ginevra si soffiò il naso e andò in cucina. Tornò con un secchio di zinco.
«Era capovolto. Ma sciacqualo. La fontana è due case più in là.»
«Lo so.» Marco uscì, facendo cigolare il secchio vuoto.
Ginevra rientrò in cucina, accese il fornello elettrico ma non si illuminò. «Le spine sono staccate», ricordò. Le trovò sullo scaffale sotto il contatore in salotto. Le rimise a posto, poi toccò la piastra con il palmo: il disco metallico si stava scaldando.
Si guardò intorno. Non avrebbe portato via nulla, tranne la foto della mamma. Forse poteva chiedere ai vicini se volevano qualcosa.
Dopo il tè, Ginevra andò dalla vicina. Fra le loro case non c’era un recinto alto.
«La vendete?» chiese la signora Silvia.
«Sì.»
«Passerò a dare un’occhiata, anche se ho già tanta roba. Vuoi che lo dica agli altri?»
«Certo!» Ginevra sorrise.
Tornata a casa, trovò Marco che sceglieva cosa bruciare. Tanto dovevano accendere la stufa: l’umidità impregnava l’aria. Mentre lui si occupava della legna, Ginevra salì in soffitta, mentre la scala scricchiolava sotto il suo peso.
«Vuoi che vada io?» chiese Marco, distogliendosi dai documenti sul tavolo.
«No, ci vado io.»
Da bambina, Ginevra aveva paura della soffitta. Di notte sentiva passi sopra la testa. Suo padre diceva che erano i gatti o il legno della casa che si contraeva dopo il caldo del giorno. Ma lei si copriva comunque con la coperta fino ad addormentarsi.
Il sole filtrava da una piccola finestra quadrata. I granelli di polvere danzavano nei raggi come fossero vivi.
«Non c’è niente di spaventoso qui», disse Ginevra ad alta voce.
La sua voce fece sussurrare le ombre negli angoli. Cercò di non toccare le ragnatele appese alle travi, dove la nonna stendeva il bucato quando pioveva. Aprì una scatola: dentro c’erano decorazioni natalizie. «Davvero?» si stupì. «I nonni addobbavano l’albero.» Non era mai stata qui d’inverno.
In un’altra scatola c’erano giocattoli che non ricordava. In un angolo c’era un fuso. Niente di utile. Si avvicinò all’apertura del solaio, poi si voltò. Notò l’angolo di un quaderno sporgere da sotto una tavola vicino al tetto.
Tirò il quaderno fuori. Le pagine erano gialle, incollate dall’umidità e dal tempo. Vide scritte sotto delle date. Era un diario. Il diario della mamma.
Non è giusto leggere i diari degli altri. La mamma era morta da anni, ma i suoi pensieri erano ancora lì. Eppure, perché scrivere un diario, se non per essere letto un giorno? Perché lo aveva nascosto sotto il tetto?
Ginevra si sedette su un vecchio secchio capovolto e sfogliò il quaderno, curiosando tra i pensieri della mamma. Alcune pagine erano lunghe, altre poche righe. Aprì a caso e iniziò a leggere.
21/06/1988. Ieri è tornato Luca. Com’è diventato bello! Oggi ci siamo incontrati al fiume. Era già in acqua quando sono arrivata. Mi ha visto ed è uscito. È più alto di me di una testa, almeno. Vicino a lui mi sentivo fragile e piccola…
23/06. Mi ha detto che sono bella e mi guardava in un modo che mi faceva bruciare la pelle. Penso solo a lui…
Ginevra staccò gli occhi dal quaderno. Conosceva la mamma come madre, non come una ragazza innamorata di un uomo che non era suo padre. Si sentì a disagio. Aveva il diritto di leggere? A lei sarebbe piaciuto se qualcuno frugasse nei suoi pensieri? Ma lei non aveva mai tenuto un diario, lo considerava una perdita di tempo. Scrivere tutto per poi rileggerlo e stupirsi della propria ingenuità? Assurdo. Eppure, se c’era qualcosa da nascondere, non avrebbe dovuto nascondere il diario, ma distruggerlo.
La curiosità vinse, e continuò a leggere. Sfogliò velocemente le pagine dove la mamma descriveva i baci con Luca e le sue parole d’amore.
25/08. Se n’è andato e non so come vivere senza di lui. Se fossi un uccello, volerei da lui. Dubito che tornerà l’anno prossimo. Deve iscriversi all’università. Davvero è finita tutto? Non voglio, non posso stare senza di lui.
Ecco il finale. Povera mamma. Una volta le aveva detto che senza dolore e delusioni non si può apprezzare la gioia della vita. Ora capiva cosa intendesse.
Dalla data successiva, la mamma aveva ripreso il diario sette anni dopo. Probabilmente loGinevra chiuse il diario con un sospiro, decisa a non lasciare che i segreti del passato rovinassero il futuro che stava costruendo con Marco e il loro bambino.