«Se avesse avuto un po’ più di successo, forse mi sarei innamorata di lui»

«Che bello che è diventato. Se avesse un po’ più di soldi e lavorasse in un’azienda prestigiosa, forse mi innamorerei davvero di lui», pensò Elena.

«Ehi, Giorgio, tocca a te ora. Se hai problemi, chiamami. Mica vado su Marte, sarò raggiungibile», disse Enzo, porgendo la mano al suo vice e amico.

«Tutto chiaro, tranquillo. A proposito, non mi hai ancora detto dove vai in vacanza. Maldive o Turchia?» chiese Giorgio, stringendogli la mano.

«Non te l’ho detto? Torno dalla mamma. Devo sistemare il tetto e la recinzione. Una volta ci pensava mio padre, ma da quando è mancato, tutto va a rotoli. Non ricordo l’ultima volta che sono stato al fiume a pescare».

«Io non sono mai andato a pescare in vita mia. Sono un cittadino doc. Ti invidio, sai», sospirò Giorgio. «Raccontami tutto quando torni», gridò alla schiena di Enzo che se ne andava.

Felice di lasciarsi alle spalle la città rumorosa e grigia, di poter abbracciare la mamma e respirare l’aria fresca della sua infanzia, Enzo sorrideva mentre tornava a casa.

Era cresciuto in un paesino. La mamma insegnante, il papà muratore. Enzo aiutava spesso suo padre in cantiere, imparando ogni mestiere. Il padre sognava che il figlio seguisse le sue orme, ma a Enzo affascinavano le macchine, i computer, le nuove tecnologie. A scuola andava benissimo. Finite le superiori, disse che nel paesino non c’era futuro, voleva trasferirsi a Milano e ottenere molto più che fare il muratore.

«Come, non c’è futuro? Il paese cresce, i muratori servono sempre! Non morirai di fame. Vuoi che ti costruiamo una casa moderna? Ti sposi, i bambini avranno spazio per correre», discuteva il padre.

«Troppo presto per pensare a una moglie. Prima devo sistemarmi», rispondeva Enzo, scrollandosi di dosso i discorsi paterni.

Il padre si arrabbiava, discuteva. La mamma, paziente, lo calmava e sosteneva il figlio.

«Non tagliamogli le ali. Lascialo provare. È intelligente, un giorno saremo fieri di lui», convinceva il padre.

I genitori gli diedero qualche soldo e lo lasciarono partire per conquistare la città. Enzo studiò all’università e lavorò in cantiere. Col tempo, ottenne tutto ciò che voleva.

A scuola si era innamorato di Elena, una ragazzina allegra col nasino all’insù. Non era una cima, sognava di fare la parrucchiera e aprire un salone. Ognuno aveva i propri sogni. Così partirono per città diverse, sperando di rincontrarsi un giorno.

Quando Enzo tornava a casa per le vacanze, Elena era sempre già ripartita.

Avrebbe potuto chiedere il suo numero alla mamma di lei, ma non lo fece mai. L’amore avrebbe ostacolato i suoi sogni. Se si fossero sposati, arrivando i figli, avrebbe dovuto lavorare solo per mantenere la famiglia, non per realizzarsi. No, prima doveva ottenere tutto: avviare l’attività, comprare la macchina, costruire la casa. Poi…

«Attento, potresti perdere l’occasione. Elena potrebbe non aspettarti», diceva il padre.

«Non importa, ci sono altre ragazze», rispondeva Enzo. Ma le altre non gli interessavano.

Ora Enzo aveva tutto, o quasi. Una bella casa in un quartiere elegante, una macchina costosa, un’attività redditizia. Poteva finalmente pensare a una moglie. Donne ne aveva conosciute, ma volevano la casa, l’auto di lusso, i soldi. Lui, invece, desiderava essere amato per quello che era.

Tornando dai genitori, sperava sempre di incontrare Elena. Con loro, però, era vago sui suoi successi. Loro vivevano modestamente, lavorando onestamente, e si aspettavano lo stesso dal figlio. Quando accennava ai suoi traguardi, il padre aggrottava la fronte e la mamma batteva le palpebre preoccupata. Come si poteva comprare un appartamento a Milano e costruire una casa lavorando onestamente?

«Hai fatto cose losche? È questo che ti abbiamo insegnato? Meglio lavorare in cantiere che farmi arrossire per te», borbottava il padre.

Perciò Enzo tornava a casa con un’auto modesta presa in prestito da amici in cambio della sua Lexus, o in treno. Diceva di fare l’ingegnere. Il padre annuiva soddisfatto, fiero del figlio diventato milanese.

Anche questa volta, nonostante il padre fosse mancato tre anni prima, Enzo non cambiò abitudini. Lasciò la Lexus in garage, prese il treno e si vestì semplicemente.

Gli toccò la cuccetta in basso, mentre una signora anziana avrebbe dovuto salire in alto. Enzo le cedette il posto senza pensarci, e lei lo ringraziò per tutto il viaggio.

Sdraiato sulla cuccetta superiore, guardava fuori dal finestrino. Foreste, campi, fiumi scorrevano veloci. E lui ricordava il primo viaggio verso Milano, anni prima. Il rumore delle rotaie favoriva i pensieri e i ricordi.

Il paesino gli sembrò piccolo e incantevole. L’aria fresca, gli alberi rigogliosi, a differenza della misera vegetazione cittadina. Nei giardini, fiori colorati rallegravano la vista.

Entrò nel cortile di casa. La mamma lo vide, alzò le mani al cielo, gli occhi lucidi.

«Figlio mio, che gioia! Non ti aspettavo. Resterai a lungo?» lo scrutò attentamente.

«Finché non mi cacci», rispose abbracciandola.

La mamma preparava torte ogni giorno, cercando di nutrire al meglio l’unico figlio. Lui mangiava e poi saliva sul tetto, sistemava la recinzione, riparava le persiane.

«Riposati, figliolo. Sei qui in vacanza e lavori tutto il giorno», si rammaricava la mamma.

«Ho già finito. E tu dove vai?» chiese Enzo, notando l’abito elegante e la borsa di stoffa.

La mamma non usciva mai senza essere impeccabile.

«Devo andare al negozio».

«Ci vado io in bici. Cosa ti serve?» propose Enzo.

La mamma gli diede la lista della spesa. «Ma sei messo così?» esclamò, scandalizzata.

«Sì, perché?» Enzo credeva di essere vestito benissimo per il paese: jeans sbiaditi, camicia con le maniche rimboccate, braccia abbronzate e muscolose.

Le scarpe… Beh, quelle erano firmate, costose. Niente da fare, amava le calzature comode e di qualità. Difficile che nel paesino qualcuno ne capisse il valore.

Montò sulla vecchia bici e partì. Al negozio, le donne non lo riconobbero, lo fissarono e chiesero chi fosse e da chi andasse. Si stupirono quando si presentò, interrogandolo su lavoro e vita. Enzo rispose a monosillabi.

Uscito, vide la sua bici accanto a un’Audi rossa. La due ruote, accanto all’auto, sembrava una mummia appena estratta da una tomba egizia. Enzo fischiettò, osservando la gomma a terra dell’Audi.

«Sarebbe meglio se mi aiutassi a cambiarla, invece di fischiare», risuonò una voce familiare alle sue spalle.

Un brivido gli corse lungo la schiena. Le persone possono cambiare, ma la voce resta la stessa. Qualcosa del genere avevano scritto I«Enzo si voltò e riconobbe Elena, la ragazzina dal nasino all’insù che non vedeva da anni, e capì che, nonostante tutto, il cuore batte ancora per le stesse cose».

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