Il Secondo Inizio

**Il secondo respiro**

Fabrizio non era uno splendore come Marcello Mastroianni. Lavorava come semplice ingegnere in una fabbrica di macchine edili. Non beveva, a parte qualche bicchiere durante le feste. Non fumava. Dopo ventidue anni di matrimonio non aveva mai guardato un’altra donna.

La figlia si era sposata e trasferita a Milano con il marito. Non sembrava avere fretta di fargli conoscere i nipoti. Fabrizio non se ne preoccupava troppo. I bambini erano responsabilità, rumore e giocattoli sparsi per terra. Lui era abituato a serate tranquille con il giornale e la televisione. Gli anni passano? Avrebbe avuto tempo per giocare con i nipoti.

La moglie, Isabella, era perfetta sotto ogni aspetto: bella, curata, la casa sempre accogliente e pulita, la cena pronta ogni sera, e nei giorni di festa una torta fatta in casa e la carne alla milanese sulla tavola. Insomma, una vita che poteva dirsi realizzata.

Tornava dal lavoro in macchina, strizzando gli occhi contro i raggi del sole calante, immaginando già la cena abbondante e la serata davanti alla tv.

Fabrizio entrò in casa, si tolse le scarpe nell’ingresso e si fermò ad ascoltare. Di solito Isabella sbucava dalla cucina annunciando che la cena era quasi pronta. Ma quella sera non sentì la sua voce. Un’inquietudine inspiegabile gli strisciò nel petto. Entrò in salotto. Isabella era davanti all’armadio, le ante spalancate, strappava i vestiti dalle grucce e li lanciava sul divano, dove giaceva una valigia semiaperta.

«Dove stai andando? Da nostra figlia, a Milano? È forse incinta?» chiese Fabrizio.

Isabella, senza guardarlo, si avvicinò alla valigia e iniziò a riporvi gli abiti.

«Sei sordo? Ti ho chiamato e non hai risposto. Dove vai?» ripeté lui, iniziando a irritarsi.

Isabella si guardò intorno, controllando di non dimenticare nulla, poi tentò di chiudere la valigia. Ma era troppo piena, la cerniera minacciava di rompersi.

«Sarebbe meglio se mi aiutassi invece di fare domande stupide.» Isabella si raddrizzò e soffiò via una ciocca di capelli caduta sugli occhi.

«Ti ho chiesto dove vai con tutti questi vestiti! È una domanda stupida?» Fabrizio tratteneva a stento l’irritazione che ribolliva dentro di lui.

«Dove? Me ne vado. Da te» rispose lei, sfidante.

«Perché?» Fabrizio alzò un sopracciglio.

«Ne ho avuto abbastanza. Mi aiuti o no?» Isabella accennò alla valigia.

«Cos’hai avuto abbastanza?» Fabrizio si avvicinò, premete il coperchio con una mano e con un movimento deciso chiuse la cerniera.

«Tutto. Di te, della cucina, delle serate passate a fissare la televisione.»

«Potevi dirlo prima. Potevamo andare a teatro, per cambiare» disse lui, la prima cosa che gli venne in mente.

«Per morire di vergogna quando ti sarei addormentato lì? Un giorno uguale all’altro, la vita che sfugge.» Nella voce di Isabella, Fabrizio sentì disperazione e insoddisfazione.

«Non dipende da noi. Che ci muoviamo o meno, la vita passa comunque» osservò lui, filosofico.

«Non fare il sapientone. Io voglio qualcosa da ricordare. E cosa ricorderò? Le polpette in padella? I piatti da lavare? Te col giornale davanti alla tv?» La voce di Isabella si ruppe in un urlo.

«Credi che senza mia figlia non abbia dove andare? Me ne vado da chi mi vede come una donna, una dea, una regina. Da chi mi scrive poesie…» Isabella alzò gli occhi al soffitto, lo sguardo annebbiato.

«E io?» chiese Fabrizio, improvvisamente compreso.

«Tu vai avanti come hai sempre fatto. Solo che ora dovrai cucinare, lavare e stirare da solo. Non mi hai più degnato di uno sguardo. Ho cambiato taglio due mesi fa, nuovo look. L’hai notato?» Isabella sorrise amara, posò la valigia a terra, tirò fuori la maniglia e la trascinò verso l’ingresso, lasciando sul tappeto chiaro le tracce delle rotelle.

Mentre Isabella indossava il cappotto, Fabrizio fissò quelle due strisce schiacciate sul tappeto. Gli sembrò che la valigia gli fosse passata sul cuore, lasciando lo stesso segno.

Solo quando la porta di casa sbatté e la serratura scattò, Fabrizio trasalì e distolse lo sguardo dal tappeto. Solo allora capì che sua moglie lo aveva lasciato.

Doveva fare qualcosa. Per abitudine, andò in cucina. Il bollitore era freddo. Aprì il frigo: non c’era molto—una pentola di minestrone, avanzi di salame, due barattoli di conserve, qualche uovo nello sportello e mezza bottiglia di latte. Lo richiuse. Non aveva più fame.

Tornò in salotto e si sedette sul divano, dove poco prima c’era la valigia. Né il giornale né la tv lo attiravano. Erano divertenti solo quando Isabella era lì, anche se stava cucinando o lavando i piatti, o stirando in un angolo della stanza con un occhio alla televisione. C’era una famiglia, un focolare acceso…

Sospirò e rimase a lungo seduto, fissando lo schermo spento, cercando di digerire quanto accaduto. Soprattutto lo infastidiva il silenzio, il vuoto, come se con Isabella se ne fossero andati tutti i suoni. Si alzò, infilò la giacca e uscì di casa. Ma il vuoto lo seguiva.

Passando davanti a un bar, vide gente ai tavoli che rideva e parlava. Avuto voglia di unirsi a loro, di riempire quel vuoto interno. Entrò senza pensarci. Musica bassa, voci ovunque. Ordinò un bicchierino di grappa. Il dolore si attenuò. Ne ordinò un altro, poi un altro ancora…

Non ricordava come fosse tornato a casa. Si svegliò la mattina con un mal di testa atroce, vestito sul letto sopra il copriletto. Tentò di alzarsi e una campana gli suonò nel cranio, la stanza gli girò davanti agli occhi.

Non riusciva a ricordare che giorno fosse. Con dita impacciate, tirò fuori il cellulare dalla tasca. Sullo schermo lesse a fatica “sabato”. Sabato! Andò in bagno e tornò a letto.

Quando si risvegliò due ore dopo, si sentiva già meglio. Una doccia lo rinfrancò. Si vestì e uscì. Il sole splendeva allegro, la gente camminava, le macchine sfrecciavano sulle strade. Si sentì male passando davanti al bar della sera prima. Affrettò il passo verso il lungomare.

Una donna giovane gli venne incontro sorridendo. Fabrizio guardò intorno, ma non c’era nessun altro. Sorrideva a lui.

«Anche lei è qui a fare una passeggiata? Sembra già estate» disse, avvicinandosi.

«Sì» annuì lui.
La donna si fermò. Sembrava aspettarsi una risposta più articolata.

«Scusi… ci conosciamo? Non ricordo. Non sono in forma oggi» borbottò Fabrizio, imbarazzato.

«Le è successo qualcosa?» La donna gli fissò gli occhi con compassione.

«Sì. Mia moglie mi ha lasciato. Per un poeta.» Fabrizio inspirò profondamente. «Lui le scrive poesie, io no» aggiunse, senza sapereE quella sera, mentre stringeva la mano di Nadia sotto il tavolo, capì che a volte il destino ci regala un nuovo inizio proprio quando pensiamo che tutto sia finito.

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