Fase di Trasformazione

**L’età difficile**

Sofia tornava a casa stanca e svuotata. In una mano stringeva la borsa, nell’altra un sacchetto pieno di cose comprate al volo. Le gambe le tremavano, avrebbe voluto sedersi per terra e non muoversi più. Ma a casa l’aspettava Luca. Suo figlio. L’unico senso della sua vita. Senza di lui, avrebbe rinunciato da tempo a quell’esistenza grigia e senza speranza.

Alcuni nascono con la camicia, e tutto nella vita gli sorride. Altri, come Sofia, sembrano destinati solo a soffrire. In terza liceo, a una festa di compleanno di un’amica, aveva conosciuto un ragazzo di due anni più grande. Le era sembrato adulto, forte, libero da regole e limiti. Si era innamorata, persa.

Sofia non era bellissima, ma carina, come tante ragazze alla sua età: occhi grigi profondi, capelli castani lisci, labbra ben disegnate, un corpo snello con le curve al posto giusto.

A gennaio, sua madre era finita in ospedale con una polmonite. L’appartamento era rimasto a Sofia e al suo ragazzo. Fu allora che accadde ciò che accade alle ragazze ancora ingenue a diciassette anni. Si era lasciata convincere da promesse e parole d’amore, facili da pronunciare quando si è innamorati.

Quando capì di essere incinta, corse subito da lui.

«Io che c’entro? Che padre sarei mai? Guardami un po’. Cerca un altro scemo…» disse, e sparì dalla sua vita tanto in fretta quanto era apparso.

E ora? Con chi parlarne? Chi poteva aiutarla? Il tempo passava, ma Sofia non riusciva a confessare tutto a sua madre.

Arrivò la primavera, era ora di tirare fuori i vestiti leggeri. Sofia si guardò allo specchio, cercando di allacciarsi i jeans sulla vita ormai più larga. Anche la camicetta non le chiudeva più sul petto.

«Hai messo su un po’ di peso», disse sua madre alle sue spalle. Sofia trasalì. «Vediamo un po’…» La madre la girò verso di sé, trattenne un respiro e si portò una mano alla gola.

«Di chi è? Da quanto? Perché non mi hai detto niente?» singhiozzò.

Sua madre urlò, la umiliò, inseguendola per casa con un asciugamano in mano mentre lei piangeva. Poi si sedettero sul divano, abbracciate, e piansero insieme. Era troppo tardi per un aborto.

Sofia finì gli esami di maturità, ma non si iscrisse all’università. A fine settembre nacque un bel bambino, in cui si intravedevano già i tratti dell’uomo irresponsabile che l’aveva messa incinta.

Quando il bambino crebbe, sua madre, tramite un’amica, la fece assumere in un ufficio comunale. Sofia odiava quel lavoro. I clienti si lamentavano sempre, minacciavano, pretendevano. Per arrotondare, la sera puliva gli uffici e i corridoi sporchi di impronte. Luca cresceva, servivano vestiti, serviva pagare l’asilo.

Luca era un bambino tranquillo, non dava problemi. Sofia si negava tutto, ma a lui non mancava mai niente: né amore, né cure, né giocattoli.

Quando iniziò le elementari, sua madre si ammalò gravemente e dopo otto mesi morì. Sofia trovò un altro lavoretto: pulizie in un ufficio vicino. Non solo pavimenti, ma anche finestre e macerie dopo una ristrutturazione. Tornava a casa distrutta.

Poi arrivò l’adolescenza. Luca divenne scontroso e chiuso. Rispondeva male, evitava le domande sulla scuola. Sofia sapeva che doveva tenerlo d’occhio, che bastava poco per finire nei guai. Ma tornava tardi, le forze bastavano solo per un pasto veloce e un «Com’è andata oggi?»

Ultimamente, notava lividi sulle braccia di Luca, graffi in viso. «È caduto in palestra», diceva lui.

Poi lo vide con una ragazza. Niente di male, ma vestita in modo strano: felpa nera enormissima, pantaloni larghi, capelli viola, anello al naso. Magari era brava, era solo moda. Ma non tutte si vestivano così.

Provò a parlargli, ma lui sbottò e si chiuse in camera. Che fare? Decise di lasciar passare quel primo amore come una malattia. Divieti e urla non servivano. Ma il cuore le doleva. Passava le giornate da solo. Che non ripetesse i suoi errori, o peggio.

Tornava dal lavoro con le gambe che le cedevano, cercando di scorgere tra le foglie la luce alla finestra di casa. Le finestre buie non lasciavano dubbi: Luca non era lì.

Salì le scale a fatica, il sacchetto che le tagliava le dita. Si appoggiò al muro quando le passò davanti Matteo, l’amico di Luca.

«Matteo!» lo chiamò. «Dove corri così?»

Il ragazzo si fermò, tornò sui suoi passi.

«Zia Sofia… Ho visto… Luca non c’è. Allora è con loro…»

«Parla chiaro! Dov’è? Con chi?»

«Ho sentito parlare… La sua ragazza, Martina, ha convinto gli altri a metterlo alla prova. Se salta da un tetto all’altro, vuol dire che la ama. Filmeranno tutto e lo metteranno su internet. Sono corso a avvertirlo, ma non c’era… Credo di averlo visto con loro.» Matteo corse via.

«Matteo!» gridò lei, ma la porta di sotto già sbatteva.

Aprì le mani e il sacchetto cadde, il latte si sparse sui gradini.

Un uomo uscì da un appartamento, vide la scena e si avvicinò.

«Tutto bene? C’è stato un incidente?»

«No… L’amico di mio figlio ha detto che… Dio mio…» Si portò una mano alla guancia. «Ha detto che è salito sul tetto di un palazzo di nove piani. Vogliono fargli saltare sul tetto accanto per riprenderlo. Non so cosa fare…»

L’uomo le prese i sacchetti.

«Vada a casa, aspetti lì.»

Tornata in casa, Sofia pulì le scale, poi si affacciò alla finestra, cercando di scorgere tra gli alberi i tetti degli edifici vicini. Correre là? Ma cosa avrebbe fatto? Non l’avrebbero ascoltata. Chiamare la polizia? E se non le avessero creduto?

Camminava su e giù per casa, incapace di stare ferma. Lo sguardo cadde su una piccola immaginetta attaccata al frigorifero con un magnete. Sua madre l’aveva portata da chiesa quando era malata.

Sofia si fermò davanti alla Madonna col Bambino. Quegli occhi parevano guardarle dentro, con rimprovero e pietà.

«Aiutami, fermali. Salva mio figlio… Senza di lui non posso vivere…»

Quando suonarono alla porta, il cuore le balzò in gola. Sulla soglia c’era Luca, col cappuccio calato sugli occhi, e l’uomo del secondo piano.

«Grazie a Dio, sei vivo» sussurrò Sofia, afferrandosi allo stipite per non cadere.

«Eccolo sano e salvo.» L’uomo spinse Luca verso di lei. «Sono arrivato in tempo. Hai pensato almeno a tua madre? L’amore ti spinge a tutto, ma non al suicidio. Se hai tanta energia, perché non aiuti tua madre invece? Lavora come una bestia per te.»

Capì che continuava un discorso iniziato per strada. Lo strinse a sé.

«Domani ti aspetto alle cinque. Vestiti sportivo» disse l’uomo aE quella sera, mentre preparavano insieme la cena, Sofia si rese conto che forse, finalmente, le cose stavano davvero cambiando in meglio.

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