«E se i genitori si separassero davvero? Il pensiero angosciante fa tremare il cuore di Vovka»

«E se i miei genitori davvero divorziassero?» Dal terrore di quel pensiero, Marco sentì una stretta allo stomaco e gli venne da piangere.

I tre amici uscivano da scuola. Il sole primaverile li accecava mentre scherzavano, spingendosi e ridendo. Si fermarono davanti alla casa di Luca.

«Vieni stasera a fare un giro in bici con noi? Ieri con Mattia abbiamo fatto un giro pazzesco nel parco.»

Marco si annerì in volto. Da settimane supplicava suo padre di tirar fuori la bicicletta dal garage, ma lui non aveva mai tempo. O rientrava tardi dal lavoro, quando ormai era buio, o rimandava al weekend, salvo poi dimenticarsi o trovare scuse.

«Allora, vieni?» ripeté Luca, dandogli una gomitata.

«Non so. La bici è in garage. Se papà torna prima…»

«Non puoi prenderla da solo? Dai, alle sette siamo al parco, raggiungici.» Luca alzò il palmo, e uno dopo l’altro, i ragazzi lo colpirono in un cinque sequenziale.

Al prossimo palazzo, Marco salutò anche Mattia. «Forse potrei cercare la chiave del garage,» pensò. «Papà ci mette la macchina solo d’inverno. Dubito che se la porti in tasca.» Affrettò il passo verso casa, il più lontano tra tutti gli amici.

A casa, Marco si cambiò e cercò subito la chiave. Ma nel cassetto dell’armadio, dove i genitori tenevano le cianfrusaglie, non c’era. Dopo qualche altro tentativo, si arrese e si mise a fare i compiti. Avrebbe chiesto alla mamma. Ma se non avesse finito, lei non gli avrebbe dato la chiave.

Finì in un’ora e mezza, sorpreso. Di solito impiegava il doppio. Il rumore della serratura lo fece sobbalzare. «Mamma!» esclamò, correndole incontro.

«Ciao,» disse lei, stanca, passandolo con una busta della spesa in mano. Marco la seguì in cucina mentre svuotava i sacchetti.

«Perché non hai mangiato la pasta e le polpette? Ti sei fatto di nuovo un panino? Metti via questo,» gli porse una confezione di riso.

«Mamma, dov’è la chiave del garage?»

«A cosa ti serve?»

«Voglio prendere la bici.»

«Hai fatto i compiti?» Chiuse il frigorifero e lo fissò.

«Sì, puoi controllare.»

«La chiave…» La mamma si guardò intorno, smarrita. «Non ho idea. Aspetta tuo padre, di sicuro la sa lui.»

«E quando torna? A mezzanotte?» sbottò Marco. «Gli altri vanno in bici da mesi. Perché l’avete chiusa in garage? Bastava lasciarla sul balcone. Ma tu e papà non fate che litigare. Sono stanco.» Si voltò e sbatté la porta della sua camera, con un tonfo che fece tremare i muri.

Ultimamente suo padre tornava sempre tardi. Lui e la mamma urlavano ogni giorno. Troppe volte Marco aveva sentito la parola «divorzio».

Non riusciva a immaginarseli separati. Sì, suo padre si interessava poco a lui. Non uscivano più insieme da anni. Una volta, però, era tornato presto. A cena gli aveva chiesto della scuola. Marco si era illuminato, ma si era subito accorto dello sguardo assente di suo padre. Non lo stava ascoltando.

La mamma era intervenuta, accusandolo di non occuparsi del figlio, di essere assente nel momento più difficile… Marco si era chiuso in camera, cercando di non sentire. Ma come ignorare le urla?

Tutti i suoi amici avevano famiglie normali. Luca andava a pesca e allo stadio con suo padre. Mattia non lo vedevi mai in giro, sempre in viaggio con i suoi. Marco sospirò.

Seduto sul letto con le ginocchia al petto, teneva un libro aperto senza leggerlo. La mamma entrò, si sedette accanto a lui e cercò di accarezzargli i capelli. Lui scostò la testa.

«Ho trovato la chiave del garage. Se hai davvero finito i compiti…»

«Li ho fatti, te l’ho detto!» la interruppe.

«Allora vestiti. Andiamo insieme.»

Marco sbatté il libro sul comodino, infilò felpa e scarpe. «Pronto!» disse, raggiante.

«Prometti che non andrete in strada. Solo parco o marciapiedi,» aggiunse lei, alzandosi.

Il garage era a pochi passi. Ci misero cinque minuti. Marco faticò ad aprire la serratura arrugginita, tirando la pesante porta di ferro, che cigolò sinistramente.

«Quante volte gli ho detto di oliare le cerniere,» borbottò la mamma, entrando. Premette l’interruttore, e una lampadina illuminò la stanza stretta. Scaffali di scatoloni, strumenti e roba inutile ammucchiata. Un vecchio tavolo da cucina e due sedie. Il garage era un ripostiglio, dove tutto finiva per non essere mai più usato.

L’aria era afosa, pesante d’odore di benzina e olio. Marco individuò subito la bici, appesa in alto alla parete.

«Non ci arrivi, prendi una sedia,» disse la mamma.

Marco ne prese una traballante e ci salì sopra, barcollando.

«Attento! Ti tengo io.» Lei gli avvolse le gambe con le braccia.

«Così non mi reggi. Tieni la sedia,» disse lui, con lo stesso tono condiscendente che usava suo padre.

Cercò di sollevare la bici, troppo pesante.

«Faccio io,» propose la mamma.

«Ci penso io.» Si sollevò in punta di piedi, spingendo la bici verso l’alto. La sedia traballò.

«Mamma, tienimi!» Le ruote scivolarono, ma lei riuscì ad afferrarla.

Marco saltò giù, felice. Finalmente sarebbe andato con gli amici.

«Le gomme sono sgonfie. Dobbiamo pomparle,» osservò la mamma. «Cerca il gonfiatore.»

Lui frugò tra gli attrezzi, senza trovarlo.

«Non importa, lo chiedo a Luca.»

Il telefono della mamma squillò.

«Tuo padre,» disse, rispondendo. «Siamo in garage… Marco voleva la bici… Come mai oggi così presto?» La sua voce si fece tagliente.

«Non potevi aspettare. L’avevi promesso da settimane… No, non serve che vieni. Dimmi solo dov’è il gonfiatore.» Rimase in silenzio, poi riagganciò irritata.

«Non si ricorda. Sorprendente che non si sia dimenticato anche di noi,» sbottò. «Sta arrivando. Aspettiamo?» Si sedette con cautela sulla sedia traballante.

«I compiti li hai fatti davvero? Fra poco finisce l’anno, se prendi brutti voti…»

Stavano parlando quando la porta si spalancò. Suo padre apparve nell’ingresso. Marco gli corse incontro.

«L’ho presa io la bici!» esultò. «Papà, dobbiamo pompare le gomme, ma non troviamo il gonfiatore…»

Poi guardò la mamma e tacque. Lei fissava il pavimento. Suo padre evitava il suo sguardo. Erano estranei. La gioia di Marco svanì. Dentro di lui, un gelo improvviso, nonostante il caldo del garage.

«E se davvero divorziassero?» Lo stomaco gli si contorse e gli occhi gli bruciarono.

Una volta aveva visto un film dove due bambini rinchiudeMentre guardava i suoi genitori, così distanti eppure ancora così legati da qualcosa che nemmeno loro capivano, Marco sentì che forse, solo forse, c’era ancora una speranza che tutto tornasse come prima, e con un respiro profondo, chiuse gli occhi e decise di crederci.

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