Non tutto è come sembra

Tutto non è come sembra

Prima del giro mattutino, l’infermiera Nina entrò nella sala di guardia e sussurrò confidenzialmente:

“Dotteressa Galli, quella Istomina della quinta stanza mi ha supplicato tutta la sera di darle i vestiti e lasciarla andare a casa. Mi aveva detto di avvisarla se succedeva qualcosa.”

“Grazie, Nina, ci penso io.” Ginevra si sistemò una ciocca ribelle sotto il cuffietto e si diresse verso la quinta stanza.

Sul letto vicino alla finestra, una ragazza giaceva voltata verso il muro.

“Buongiorno, Michela, cosa succede?”

Michela si girò di scatto e si sedette sul letto.

“Dimettetemi, vi prego. Non ce la faccio più a stare qui. A casa almeno posso distrarmi, fare qualcosa, ma qui…” Singhiozzò e lanciò a Ginevra uno sguardo implorante.

“Non piangere, farai male al bambino. O forse hai cambiato idea sul parto?” chiese Ginevra con tono severo.

“No, non ho cambiato idea. Mi sento bene. Vi prometto che a casa starò tranquilla, farò passeggiate e non farò niente di faticoso. Vi prego, dimettetemi. Fuori c’è un tempo meraviglioso, e io passo le giornate chiusa in questa stanza soffocante.” La ragazza sorrise timidamente.

“Va bene. Domani farai le analisi, faremo un’ecografia e vedremo. Se tutto è a posto, ti dimetterò,” promise Ginevra.

“Grazie!” Michela giunse le mani come in preghiera. “Prometto che mi prenderò cura di me stessa, e se succede qualcosa, vi chiamerò subito.”

Ginevra uscì dalla stanza. Ancora non riusciva a capire come suo figlio avesse potuto innamorarsi di quella pallida, insignificante Michela. Suo figlio, così distinto, lavorava in un’importante azienda… *Lavorava.* Si corresse mentalmente. Era stata la sua scelta, e lei doveva rispettarla. Se Enrico aveva amato quella ragazza, lei avrebbe fatto lo stesso.

Al terzo anno di università, Enrico si era innamorato perdutamente di una vivace e affascinante donna, Elena, una coppia perfetta. Ma un anno dopo, Elena lo aveva lasciato per uno straniero. Enrico aveva sofferto a lungo, smesso di frequentare le lezioni. Ginevra temeva che avrebbe abbandonato gli studi.

Con il tempo, Enrico si era ripreso, si era laureato, aveva trovato lavoro in un’azienda prestigiosa. Ma per molto tempo non aveva più guardato altre donne. Poi aveva incontrato Michela—bionda, esile, insignificante, l’opposto della scintillante Elena. Forse aveva pensato che una così non lo avrebbe tradito.

“Mamma, ti presento Michela,” aveva detto la prima volta che l’aveva portata a casa.

Ginevra aveva faticato a non fare una smorfia. Tutte le Michela che aveva conosciuto erano state doppie. Fuori, creature fragili e infantili; dentro, calcolatrici. Sperava che la relazione con Enrico non durasse. Erano troppo diversi.

Quando Enrico aveva annunciato il loro matrimonio, Ginevra si era trattenuta.

“Avete già fissato la data?” aveva chiesto, invece di congratularsi.

“Non ancora. Non sei contenta?” aveva risposto lui, inquieto.

“L’importante è che tu lo sia,” aveva detto Ginevra.

Enrico aveva regalato a Michela un anellino con un diamante, che ancora brillava sul suo ditino esile. Le nozze erano state rimandate ad agosto. Ginevra sperava che, nel frattempo, qualcosa sarebbe successo. Che Enrico avrebbe cambiato idea.

E invece. Al compleanno di un amico, Enrico aveva bevuto troppo. Non aveva preso la macchina, aveva mandato Michela a casa in taxi e si era incamminato a piedi per prendere aria. In un vicolo buio, aveva visto due ragazzi che spingevano una ragazza in un’auto. Lei si divincolava, gridava aiuto.

Enrico era intervenuto. Uno dei due lo aveva pugnalato allo stomaco. L’auto era partita, portando via i ragazzi e la ragazza, lasciando Enrico a morire sul selciato. Lo avevano trovato solo al mattino, troppo tardi.

Ginevra incolpava Michela, senza volerlo. Perché non lo aveva costretto a salire in taxi con lei? E incolpava sé stessa. Era lei ad averlo cresciuto così.

Pensava di non riprendersi mai, di non sopravvivere al dolore. Ma poi era tornata al lavoro. E recentemente, nel suo reparto, era arrivata Michela, incinta di dieci settimane, con una minaccia di aborto. Tutto indicava che fosse il figlio di Enrico. Michela lo aveva confermato.

Ginevra le aveva dato i farmaci migliori, controllato che seguisse ogni indicazione. Era felice all’idea di un nipote e faceva di tutto perché nascesse sano. Sperava fosse un maschio, ma sarebbe stata felice anche di una femmina. Era pur sempre il figlio di Enrico.

Prima delle dimissioni, Ginevra le chiese: “Tua madre verrà a prenderti?”

“Mia madre non lo sa,” rispose Michela, imbarazzata.

“Come? Perché non gliel’hai detto?”

“Mi ha cresciuta da sola. Aveva sempre paura che finissi per avere un figlio senza marito. E ora…”

“Ma Enrico ti aveva chiesto di sposarlo. Avevate già deciso. Se avessimo saputo che eri incinta, non avremmo rimandato,” si giustificò Ginevra.

“Non ne ero sicura io stessa. Volevo aspettare di esserne certa. E poi non ho fatto in tempo. Anche io crescerò un figlio da sola,” disse Michela, triste.

“Ma hai noi. Porti il figlio di Enrico, nostro nipote. Ti aiuteremo. Non le hai detto che eri in ginecologia?” intuì Ginevra.

Michela annuì, abbassando lo sguardo.

“Forse non dovresti andare a casa così in fretta. Restare ancora un po’ qui?” chiese Ginevra, più dolcemente.

“No, voglio tornare. Prometto che glielo dirò. Dottoressa Galli, grazie. Credevo che, dopo la morte di Enrico, non sarei più stata importante per voi.”

“Sciocchina. Che dici? Prometti che ci chiamerai e verrai a trovarci.”

“Prometto.”

A Ginevra non piaceva che Michela nascondesse la gravidanza alla madre. Chi mente su una cosa, può mentire su tutto. Erano troppo diversi, lei ed Enrico. E ancora una volta, Ginevra si chiese come avesse fatto suo figlio a innamorarsi di lei.

Per giorni cercò di chiamarla, ma Michela non rispondeva. Allora andò a casa sua. Nessuno aprì.

Michela non si fece più viva, e Ginevra si preoccupò per lei e per il nipotino. Due giorni dopo, tornando dal turno, sentì voci e risate femminili dall’ingresso. Si tolse le scarpe ed entrò in cucina. Al tavolo sedeva Michela, suo marito accanto le raccontava qualcosa.

Michela non sembrava affranta dal dolore. Anzi. Fu la prima a notare Ginevra sulla soglia e la fissò, smarrita.

“Non ti ho sentita rientrare. Stavo offrendo del tè a Michela. Perché sei scalza?” il marito guardò Michela. “Ah, già,” si confuse.

Michela indossava le pantofole di Ginevra.

“Ciao, Michela. Ti ho chiamata,” disse Ginevra, sollevata che stesse bene.

“Ho perso il telefono. Sono venuta per tranquillizzarvi. Ho detto tutto a miaGinevra chiuse gli occhi, respirò profondamente e decise che, nonostante tutto, avrebbe amato quella bambina come fosse sua, perché era l’ultimo pezzo di Enrico rimasto al mondo.

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