Aurora sistemò la pappa nei piatti e disegnò con la marmellata una faccina buffa sul piatto di suo figlio.
“Uomini! A colazione!” chiamò, versando il tè appena fatto nelle tazze.
Dario si sedette a tavola e osservò il piatto con aria torva.
“Non mi piace la pappa,” borbottò.
“E questa novità? Il porridge fa bene. Se vuoi andare al pattinaggio, devi prima fare una buona colazione.” Matteo si mise di fronte al figlio, prese un cucchiaio di pappa e lo portò alla bocca.
“Mmm… Che buono. La nostra mamma è una maga. Credimi, nessuno sa fare il porridge come lei.”
Dario guardò il padre con diffidenza, ma alla fine prese anche lui il cucchiaio. Quando finì, Aurora gli spostò davanti la tazza del tè.
“È successo qualcosa?” chiese al marito. “Ultimamente sei pensieroso. Problemi al lavoro?”
“Ho finito tutto. Quando andiamo al pattinaggio?” esclamò Dario allegramente.
“Vai a giocare. Io e la mamma dobbiamo parlare.” Matteo intercettò lo sguardo contrariato del figlio. “Più tardi. Va’.”
Ad Aurora sembrò per un attimo di leggere nella mente di Dario: stava decidendo se piangere, temendo che il pattinaggio saltasse dopo la conversazione dei genitori, o se ritirarsi in camera a tormentarsi. Gli sorrise e annuì, rassicurandolo che sì, ci sarebbero andati, ma dopo.
Dario scivolò giù dalla sedia e uscì dalla cucina con aria offesa.
“Allora, cosa ti rode?” Aurora prese il posto del figlio.
“Non so da dove cominciare. Io stesso non ci capisco niente,” disse Matteo, ruotando la tazza sul tavolo.
“Hai un’amante? Vuoi lasciarmi per lei?” chiese Aurora senza giri di parole.
“Aurora, ma che dici? Come ti è venuto in mente?” ribatté Matteo, infiammandosi d’indignazione.
“E cosa avrei dovuto pensare? Se al lavoro va tutto bene, cos’altro potrebbe averti sconvolto così?” Aurora cominciava a perdere la pazienza. “Ieri ti ho chiesto di buttare la spazzatura. Hai annuito, ma te ne sei dimenticato. Sei distratto. Parla, ma non mentire,” lo avvertì.
Matteo la fissò serio.
“È venuta da mia madre,” disse finalmente, le parole gli costarono fatica.
Aurora capì che per lui non era stato facile.
“In sogno? E cosa ti ha detto dall’aldilà per sconvolgerti così?” scherzò.
“No, non in sogno. Viva.” Matteo allontanò bruscamente la tazza, facendo schizzare il tè sul tavolo. Aurora si alzò di scatto, prese una spugna e asciugò la macchia.
“Ma era morta. O mi hai mentito tutti questi anni?” Gettò la spugna nel lavello e si risedette.
“Non ho mentito. Come non capisci? Per me era davvero morta,” rispose Matteo, irritato dall’incomprensione della moglie.
“Allora, riprendiamo. Morta, viva… Spiega. Ti ascolto.”
“Cosa c’è da spiegare? Avevo dieci anni, credo. Mio padre beveva. Litigavano spesso con mia madre. Lei era bella e lui era geloso. A volte la picchiava. Lei copriva i lividi, ma io li vedevo.”
“Quel giorno mio padre tornò ubriaco. Cominciò ad accusare mia madre, dicendo che beveva per colpa sua. Lei restò zitta, ma questo lo irritò ancora di più. Io andai in camera mia, li sentii urlare. Poi qualcosa cadde pesantemente, e tutto tacque. Aspettai un po’ e uscii. Mio padre era a terra, con una ferita alla testa. Mia madre… Stava sopra di lui, con le mani sulla bocca.”
“Mi vide e mi spinse fuori dalla cucina. Disse che mio padre era caduto e che avrebbe chiamato un’ambulanza. Ma arrivò la polizia. Mia madre se ne andò con loro, dicendomi di aspettare zia Lucia, la sorella di mio padre. Io rimasi nell’ingresso finché non arrivò.”
“Pianse per mio padre e chiamò mia madre assassina, dicendo che meritava il carcere. Poi mi fece preparare le valigie e mi portò a casa sua. Cosa potevo fare?”
“Mi disse tante cose brutte su mia madre. Io non credevo, urlavo che lei era buona, che amava mio padre, che non aveva amanti. Ma nessuno mi ascoltava. E mio zio Andrea, il marito di zia Lucia, mi consigliò di non raccontare a nessuno cos’era successo. Dovevo far credere che i miei genitori fossero morti in un incidente, altrimenti a scuola mi avrebbero tormentato per la madre assassina.”
“Mia madre non tornò mai a prendermi, non scrisse, non chiamò. E io smisi di aspettarla. Mi hanno cresciuto, ma senza amore. Sentivo di essere un peso per loro.”
“Una volta presi dieci euro dal portafoglio di zia Lucia. Non ricordo per cosa. Non mi dava mai soldi. Quando se ne accorse, mi diede uno schiaffo. Disse che se l’avessi fatto di nuovo, mi avrebbe mandato in orfanotrofio.”
“Sognavo solo di crescere e andarmene. Non so come non sono diventato un delinquente o un tossico. Finite le superiori, venni qui, mi iscrissi al Politecnico e incontrai te.”
“Ho mentito a tutti per così tanto tempo che ho mentito anche a te. Avevo paura che mi avresti lasciato se avessi saputo che sono il figlio di un’assassina.”
“Dio mio, quanto hai sofferto.” Aurora coprì la mano di Matteo con la sua. “Non l’hai mai più vista? Tua madre?”
“No. Quando è venuta al lavoro tre giorni fa, non l’ho riconosciuta, ma ho capito subito che era lei. L’ho sentito. Sai, all’inizio non volevo parlarle. Ero ancora arrabbiato che mi avesse abbandonato, che avesse ucciso mio padre, che mi avesse rovinato la vita.”
“Ma mi guardava in un modo… Allora ho accettato di ascoltarla. Siamo andati in un bar vicino al lavoro… Aurora, ho paura ad ammetterlo, ma sono felice che sia tornata.”
“E cosa ti ha raccontato? Ha davvero ucciso tuo padre?” Aurora lo fissò intensamente.
Matteo annuì.
“Come ho detto, fu un incidente. Quando mio padre alzò le mani su di lei, lo spinse. Lui perse l’equilibrio, cadde e batté la tempia contro lo spigolo del tavolo…”
“L’hanno condannata?” chiese sottovoce Aurora.
“Sì. Mio padre aveva lividi freschi sul petto. Pensarono che fossero opera di mia madre durante la lite. Su di lei non c’erano segni. Decisero che non era legittima difesa, ma omicidio premeditato. I vicini e zia Lucia testimoniano contro di lei.”
“Disse che mi aveva scritto, ma non ricevetti mai nulla. Forse zia Lucia strappava le lettere. In una, mi chiedeva di andare a trovarla. Me ne mostrò una in cui zia Lucia rispondeva che l’avevo dimenticata, che non volevo una madre assassina. Io non sapevo nulla. Ma quando cresciuto, non l’ho cercata, non ho voluto sapere la verità. Tutti questi anni…”
Aurora vedeva quanto soffriva Matteo.
“Ma perché ti ha cercato solo ora? Perché non è venuta quando è uscita di prigione?”
“Gliel’ho chiesto. Aveva paura, ha detto. Paura che non le avrei creduto, che non l’avrei perAurora sospirò e sorrise, stringendo la mano di Matteo, mentre i loro occhi si riempivano di lacrime, finalmente pronti a lasciarsi alle spalle i dolori del passato e a costruire insieme un futuro più sereno.