—Buongiorno, mamme! Come state? —Entrò nella stanza del reparto maternità una dottoressa simpatica e sorridente. Con il camice bianco e il tradizionale copricapo inamidato, sembrava bellissima.
Si avvicinò al letto a sinistra, dove una ragazza giovane giaceva voltata verso il muro.
—Rossi, so che non dormi. Girati, devo controllarti la pancia, —disse con tono deciso.
La ragazza, riluttante, si mise sulla schiena. Francesca la riconobbe: avevano partorito insieme quella notte. La dottoressa le sollevò la camicia logora dell’ospedale e le tastò l’addome con delicatezza.
—Tutto bene. Ti porteranno tuo figlio per l’allattamento. Sei pronta? —Chiese, riaccomodandole la coperta.
La neo-mamma spalancò gli occhi, spaventata.
—Non voglio allattarlo, —disse con voce spezzata.
—Perché mai?
—Per favore, non portatemelo, —supplicò, fissando la dottoressa con occhi lucidi.
—Ma che stai dicendo, Rossi? Non vuoi vedere tuo figlio? Vuoi rinunciare a lui? —La dottoressa la scrutò con disapprovazione.
La ragazza annuì.
—Ascolta, finisco il giro e poi ne parliamo. Hai tempo per riflettere. —Le voltò le spalle e si avvicinò a Francesca.
—E tu come stai? —Si chinò su di lei. —Perfetto. Secondo parto? Portiamo il piccolo per l’allattamento?
—Sì, certo, —rispose subito Francesca.
La dottoressa la fissò per un attimo, come se volesse dirle qualcosa. Poi guardò Rossi, ancora girata verso il muro, sospirò e uscì.
Appena la porta si chiuse, Francesca si sedette sul letto.
—Come ti chiami? —Aspettò, ma nessuna risposta. —Abbiamo partorito insieme stanotte… Tu prima di me. Dimmi, perché non vuoi vedere tuo figlio?
Silenzio.
—Il mio bimbo ha cinque anni… —Francesca esitò, poi buttò lì: —Il padre ti ha lasciata? Era troppo tardi per l’aborto? Pensi di non farcela da sola? Ma sai, se Dio ti manda un figlio, ti manda anche il modo di crescerlo. Vedrai. —Parlava alla schiena rigida di Rossi.
—Se lo lasci qui, lo porteranno in un istituto. Non sentirà mai il tuo odore, il tuo calore. Saranno estranee a prendersi cura di lui. Penserà che una di loro sia sua madre. Guarderà tutte, sperando… Ma loro verranno e andranno. Lui piangerà cercandoti. Poi finirà in un orfanotrofio. Aspetterà sempre il tuo ritorno. Credi davvero di poterlo dimenticare? Tra anni, ti pentirai. E se lo adottano, chiamerà un’altra donna “mamma”…
—Perché tutti mi rompete? Non sono affari vostri! Non sapete niente di me! —La voce di Rossi era rotta dal pianto.
—Hai ragione, non so niente, —ammise Francesca. —Ma nessuna rinuncia a un figlio così, dopo il parto, dopo averlo sentito piangere… E guarda, è meglio che quel tipo ti abbia lasciata. Se era un vigliacco con te, lo sarebbe stato anche con il bambino. Con o senza marito, puoi essere una grande madre.
Io mi sono sposata al terzo anno di università. Diedi gli esami con la pancia enorme. Ero stressata, e partorii due settimane prima. Credevo di far felice mio marito: tutti gli uomini vogliono un maschio, no? Invece, in lui non si svegliò mai l’istinto paterno. E io… beh, ero una madre impreparata.
Tornammo a casa, e speravo di trovare una culla nuova, un passeggino, vestitini scelti con amore. Invece, mia suocera portò la culla usata della nipote, e i vestiti pure. Mio marito prese un passeggino malconcio da un amico. “Non abbiamo soldi per uno nuovo”, disse.
Mi si spezzava il cuore a vedere mio figlio vestito di rosa, con quei vestitini da femmina. Non siamo poveri, eppure sembravamo mendicanti. Anni dopo, quando iniziò a guadagnare bene, portava comunque abiti usati dei nipoti. I miei genitori compravano qualcosa, ma un bambino cresce in fretta…
Se mi lamentavo, lui diceva: “Tornerai a lavorare, e allora lo vestirai come vuoi”. Un colpo al cuore. Mio figlio, secondo lui, era solo mio.
Mi rimproverava perché non lavoravo. Io correvo come una pazza: allattare, cucinare, portarlo a spasso… Se piangeva, lasciavo tutto. E me? Dimenticata. Ingrossai, non entravo più nei miei vestiti. Mio marito non voleva neanche parlarne.
A due anni, lo misi al nido. Con il padre ancora vivo… Ma che scelta avevo? Lui pensava solo ai soldi.
Appena tornai a lavorare, lui comprò un’auto di lusso a rate. E i soldi? Mai abbastanza. Andavo in ufficio con vestiti stracci, vergognandomi. Mio figlio negli stracci, io idem, e lui con la macchina nuova.
Al parco, le altre mamme si vantavano: “Mio marito mi ha regalato un anello di diamanti”, “A me una pelliccia”. Io? Nemmeno un vestito. Lo giustificavo: “Siamo giovani, abbiamo un figlio…”
I miei genitori aiutavano. Una volta, mia madre mi vide vestita male e mi comprò tutto nuovo.
Litigavamo sempre. Un giorno scoprii che aveva un’amante.
“Che ti aspetti? Guardati…”, mi disse, indicando i miei chili e i vestiti dimessi.
Gli urlai tutto, presi mio figlio e andai dai miei. Lui provò a riprendermi, ma svogliato. Il giorno dopo, portò quella donna a casa nostra. Credevo di morire dal dolore.
Prima del divorzio, mi pregò di non chiedere gli alimenti. “Ti darò più dei soldi legali”, prometteva. Non gli credetti. E feci bene.
Al lavoro conobbi un uomo più grande. Ci portò in ospedale un paio di volte. Capii che gli piacevo, ma avevo paura. “Scaldato mE qualche anno dopo, mentre guardavano i bambini giocare insieme nel giardino di casa, Francesca e Lisa si sorrisero, sapendo che ogni lacrima versata era valsa la pena per quel momento perfetto.