— Perché fai il broncio? Vedrai, ti piacerà un mondo. Il mare, la spiaggia, il sole… — disse Irma, cercando di catturare lo sguardo della figlia con ansia.
Ma Asia si voltò ostinatamente verso il finestrino, oltre il quale si stendevano campi infiniti e vigneti bassi. Lungo la ferrovia correva l’autostrada, dove sfrecciavano auto colorate che dal treno sembravano giocattoli.
Lontano, i profili delle montagne apparivano e scomparivano nella foschia tremula dell’alba. Il sole accecante le faceva male agli occhi. Asia controllò il telefono per la centesima volta quella mattina, poi lo scaraventò via con irritazione.
«Ecco i tormenti del primo amore», sospirò fra sé Irma, ma ad alta voce disse:
— Probabilmente non c’è campo. Quando arriveremo…
— Mamma, basta — rispose Asia svogliata, voltandosi di nuovo verso il finestrino.
— La casa di Marta è su una collina, dalle finestre si vede il mare. A volte lo si sente anche. E che giardino! Che aria! — continuò Irma senza sosta. — Tra poche ore vedrai tutto con i tuoi occhi.
— Solo non dirmi che ha un figlio. — Asia la guardò con cattiveria.
— Ce l’ha. Ma non suo. Marta non ha figli propri. Ha cresciuto quello di un’altra. Studia all’università in un’altra città. Adesso è il periodo degli esami, difficilmente lo vedrai.
— Hai detto che è tua amica. Ma come vi siete conosciute se vive al sud e tu nella provincia di Milano? — chiese Asia, interessata.
— Oh, è una storia interessante. Se vuoi, te la racconto.
Asia fece un lieve scrollare di spalle, senza staccare gli occhi dal paesaggio monotono oltre il vetro.
***
Vivevamo con Marta a due passi l’una dall’altra, andavamo a scuola insieme. Non era una bellezza, ma aveva dei capelli straordinari — biondo chiaro, ricci, che al sole luccicavano d’oro.
Per strada tutti la guardavano, si voltavano. A me sembrava che un po’ di quell’attenzione ricadesse anche su di me. Prima degli esami di maturità, la classe andò in gita in battello, poi a passeggiare nei giardini pubblici. Lì conobbe un ragazzo e se ne innamorò all’istante. Iniziammo a vederci meno, io cercavo di non intromettermi. E ogni volta che ci incontravamo, parlava solo di lui.
Sognava di diventare un’attrice, voleva entrare all’accademia teatrale a Roma. Ma si innamorò così tanto che si iscrisse al politecnico, dove studiava il suo Michele, per non separarsi. Io invece andai all’università.
Quando ci vedevamo, non bastavano ore per raccontarci tutto. Dopo un anno, Michele le fece la proposta, poco prima della sessione. Quanto era felice in quei giorni!
Con sua madre andammo a scegliere l’abito. Ne provò una valanga. Su Marta stava bene qualsiasi cosa, bastava prenderlo e pagare. Scelsero anche il velo. Voleva comprare pure a me un vestito azzurro, da testimone. Oh, quanto eravamo stanche quel giorno. Ci girava la testa. Mandammo sua madre a casa in taxi con i pacchi, e noi decidemmo di fare una passeggiata sul lungomare. A fine maggio, il tempo era già estivo.
Camminavamo, e tutti si giravano a guardare Marta. Era splendida. Ma lei non notava gli sguardi ammirati. Mangiavamo gelati, chiacchieravamo del matrimonio imminente, ridevamo.
Ci vennero incontro due zingare. Molestavano i passanti senza sosta. Quando ci furono vicine, quella più grassa ci sbarrò la strada e si rivolse a Marta:
— Ah, che bella, fammi leggere la mano. Ti dirò tutta la verità, cosa ti aspetta — cantilenò con voce melliflua la zingara più anziana.
L’altra stava in disparte. Era brutta, magra e piatta. Gli occhi neri avevano uno sguardo torvo, e i denti così grandi che non riusciva a chiudere la bocca. Pensai che sembrasse un cavallo. Poi Marta mi disse di aver pensato la stessa cosa.
— So già cosa mi aspetta — rispose Marta allegra, leccando il gelato nel cono.
Volevamo superare la zingara, ma all’improvviso afferrò il polso di Marta, le sollevò il palmo agli occhi, scosse la testa e fece clic con la lingua.
— Ti aspetta un matrimonio, tesoro.
— Lo so anche senza di voi — Marta cercò di liberarsi, ma la zingara teneva forte.
— Non abbiamo bisogno di predizioni. Non abbiamo nemmeno soldi — intervenni per difendere l’amica.
— Solo le notizie felici costano, le disgrazie sono gratis — disse la zingara con una frase enigmatica che mi fece venire i brividi.
E intanto fissava Marta, come se la ipnotizzasse con lo sguardo. La più giovane, in disparte, sogghignava. O forse mi sembrava per via di quella bocca sempre aperta.
— Non ascoltarla, Marta, andiamo — tentai di nuovo di trascinare via l’amica per l’altro braccio.
— Ami tanto, ma la tua felicità sarà breve. Durante il matrimonio cadrai da un cavallo, soffrirai molto. Guarirai il tuo dolore al mare. Non ti sposerai più. Ma troverai la gioia in un figlio — disse la zingara, fissando Marta senza battere ciglio.
Poi lasciò la sua mano e se ne andò. La zingara più giovane ci lanciò un’occhiata torva e corse dietro alla compagna. Per un po’ camminammo in silenzio, l’allegria svanita. Nelle orecchie ci rimbombavano le parole della zingara.
— Marta, ci credi davvero? Non è che ti metterai in abito bianco su un vecchio cavallo da giostra, no? Andremo in macchina al municipio. Ha guardato il tuo palmo un secondo, non può aver visto nulla — cercai di distrarla dai brutti pensieri.
— Hai ragione. Non salirò su nessun cavallo — disse Marta, come svegliandosi.
— Ti ha detto cose a caso perché non le abbiamo dato soldi — dissi con noncuranza, e ridemmo della mia battuta.
Il matrimonio era fissato subito dopo la sessione. Poi gli sposi sarebbero andati al mare, qualcuno gli aveva regalato un viaggio. Ci dimenticammo della zingara.
Arrivò il gran giorno. Il futuro sposo stava per arrivare. Eravamo nella stanza di Marta davanti allo specchio. Sistemò il velo e all’improvviso disse:
— Mio padre chiama il suo fuoristrada “cavallo”. Non ci salgo.
— Giusto. Prenderai un’altra macchina — la incoraggiai.
— No, non prenderò nessuna macchina. Il municipio è vicino, andiamo a piedi — disse Marta con gioia, guardandomi nello specchio.
— Perché no? Sarebbe originale. Non tutti i giorni si vede una sposa in abito da matrimonio passeggiare per la città. — Ridemmo, nervose.
Ci volle un’eternità per convincere Michele ad andare a piedi al municipio. Anche i genitori erano contrari, ma Marta non cedette. Disse che se non fossero andati a piedi, non si sarebbe sposata. Punto.
Non successe nulla. Al suono della marcia nuziale, Marta e Michele si scambiarono gli anelli, si baciarono e divennero marito e moglie. Ora potevano salire in macchina. Ma Marta si mise di nuovo in testa di andare al parco per le foto. Era davvero bellissimo: fioriMentre il sole tramontava sul mare, Asia guardò Daniele, sentendo che forse la vita aveva in serbo per loro qualcosa di più bello di quanto potessero immaginare.