Una manciata di ribes nero

Una manciata di ribes neri
Irene non si era preparata con entusiasmo per il Capodanno. Sua figlia le aveva detto che sarebbe andata in campagna con gli amici. E a lei, del resto, cosa serviva? Avrebbe preparato qualche torta, un’insalata russa, guardato un po’ di televisione e poi a letto. Poi, quando la figlia sarebbe tornata…

Quando era vivo Arcadio, festeggiavano in compagnia. Seduti a tavola, brindisi, stuzzichini, il concerto di Capodanno in TV, e poi tutti fuori con i petardi e le stelline. Ballavano in cerchio intorno all’abete in piazza, cantavano canzoni, e se c’era tanta gente, organizzavano persino piccoli giochi. Riuscivano a coinvolgere anche i più giovani.

Irene asciugò una lacrima. Quasi tre anni erano passati dalla morte di Arcadio, e ancora non riusciva ad abituarsi. Forse non ci sarebbe mai riuscita.

Prese dalla mensola la fotografia del marito nella cornice. Occhi socchiusi, un sorriso appena accennato. Adorava quella foto, e ne aveva scelta una simile per la lapide. Ogni volta che andava al cimitero, osservava attentamente quel volto. Le sembrava che Arcadio la accogliesse con espressioni diverse: a volte sorridente, felice di rivederla, altre serio, quasi rimproverandola quando passava troppo tempo senza visitarlo.

Sapeva che non poteva essere vero. Eppure, ogni volta, mentre si avvicinava alla tomba, si chiedeva con quale sguardo l’avrebbe accolta quella volta.

“Mi manchi tanto, Arcadio. Se almeno avessi dei nipoti, avrei qualcosa a cui pensare. Ma Giulia non ha fretta di sposarsi. Dopo che il suo ragazzo si è messo con un’amica, ha paura di aprirsi di nuovo. Ultimamente, però, sembra più felice. Forse c’è qualcuno, ma non mi dice nulla… E io non insisto…”

Sentì sbattere la porta dell’ingresso e rimise rapidamente la foto al suo posto.

“Mamma, sei a casa?” La voce allegra di Giulia risuonò nel corridoio.

“Dove dovrei essere? Perché così presto?” Irene si avvicinò alla figlia.

“Ho lasciato il lavoro prima. Non ceno, mi preparo e poi parto. Verranno a prendermi Vicky e suo marito.”

“Ma come? Pensavate di andare il trentuno!” disse Irene, preoccupata.

“Sì, ma io e Vicky abbiamo deciso di accendere la stufa in campagna, sistemare tutto, tagliare e decorare l’albero…” Giulia parlava eccitata mentre infilava le cose in una borsa. “Ecco, il caricabatterie… Oh, le scarpe! E la piastra…” Prese l’asciugacapelli dal bagno e lo mise nella valigetta.

“Direi che è tutto. Scusa, mamma, se ti lascio sola per le feste. Potresti andare da qualcuno…”

“Non andrò da nessuna parte. Ormai tutta questa frenesia non mi interessa. Quando torni?” chiese Irene.

“Terzo o quarto, dipende.” Gli occhi di Giulia brillavano. Irene non la vedeva così felice da tempo. “Di sicuro c’è qualcuno nuovo nel loro gruppo. Magari è una buona cosa.”

Un clacson suonò fuori.

“Bene, mamma, devo andare.” Giulia baciò Irene sulla guancia, indossò il cappotto e uscì di corsa.

Irene controllò se avesse dimenticato una sciarpa o il cappello. No, aveva preso tutto. Tornò nella stanza vuota, fissando di nuovo la foto di Arcadio.

“Anche Giulia è partita. Ah, Arcadio, sei andato via troppo presto…” sospirò.
Arcadio la guardava, socchiudendo gli occhi, e sorrideva.

Decise di distrarsi. Aprì un cassetto del mobile, pieno di carte. Doveva riordinarle, prima che diventasse impossibile trovare qualcosa.

Sfogliò i documenti, buttò quelli inutili, tenne quelli importanti. Notò un foglietto con un indirizzo scritto a mano incerta. Era quello di Ivan, l’amico di Arcadio. E con quello tornarono i ricordi…

Irene aveva conosciuto Ivan al compleanno di alcuni amici. Erano usciti un paio di volte. Poi, un giorno, lui arrivò con un amico. Appena vide Arcadio, il suo cuore batté forte. Fu reciproco, da subito.

Quando Ivan capì che Irene preferiva Arcadio, si fece da parte. Era un vero amico. E Irene non si pentì mai della sua scelta.

Poco dopo, Ivan si sposò. Ma qualcosa non funzionò, e divorziò. Si trasferì in un paesino a trecento chilometri di distanza, dove aveva ereditato una casa. Irene, Arcadio e Giulia lo avevano visitato un paio di volte.

Ivan non nascondeva la sua invidia per la loro felicità. Scherzava con Irene, dicendole che se Arcadio l’avesse fatta soffrire, sarebbe dovuta venire da lui. Arcadio non si ingelosiva, rideva soltanto. Non erano mai stati perfetti, litigavano come tutti, ma si riappacificavano in fretta, e il divorzio non era mai stato un’opzione.

“Ivan venne al funerale. Non ricordo di averlo chiamato. Forse Giulia? Ero troppo sconvolta dal dolore. Mi propose di andare da lui, per calmarmi, distrarmi. Ma non potevo. Andavo spesso al cimitero. E non sono mai riuscita a trovare il tempo per visitarlo.”

Chiuse il cassetto, sedendosi sul divano con l’indirizzo in mano.

“Arcadio, forse dovrei davvero andare da Ivan. Non ti dispiace?” Le sembrò che Arcadio, dalla foto, approvasse.

Chiamò la stazione per gli orari degli autobus e preparò l’impasto per le torte. Non poteva presentarsi a mani vuote. E chi avrebbe preparato dei dolci per Ivan? Lavorò fino a tardi, addormentandosi esausta.

Alle nove del mattino era già sull’autobus, immaginando la gioia di Ivan, i ricordi della giovinezza… E si assopì.

Si svegliò per il rumore. Nell’autobus rimanevano pochi passeggeri. La gente parlava, prendeva le borse. Irene si alzò, guardando dal finestrone. L’autobus si avvicinava a casette tra alberi innevati.

Si infilò il cappotto, il cappello, prese la borsa. L’autobus si fermò all’ultima casa del paese. Irene scese, incantata dal paesaggio fiabesco. Un silenzio assordante.

Trovò subito la casa di Ivan, ma il cancelletto era chiuso. Cosa fare? Provò a infilare la mano tra le assi per aprire la serratura.

“Signora! Ma cosa sta facendo? Perché cerca di entrare in casa d’altri?”

Irene trasalì, come colta in flagrante, e si voltò.

“Non si vergogna? Sembra una persona perbene!” disse una vecchietta magra, con stivali e un cappotto lungo.

“Sono venuta in visita. Da Ivan… Ivanovich,” ricordò il patronimico.

“Non c’è più. Sono nove giorni che non c’è,” rispose la donna.

“Nove giorni? Com’è possibile?” sussultò Irene.

“Così. Ora vada via, per favore,” la vecchia fece un gesto vago e si allontanò borbottando.

Irene, sconvolta, guardò la casa. La neve copriva il sentiero, nessuna impronta. Si trascinò verso la fermata, ingoiando le lacrime. Fortunatamente, l’autobus non era partito. Mezz’ora dopo, era di ritorno, rimproverandosi per non essere andata prima, per non essersi conIrene sorrise tra sé, decisa a non lasciarsi sfuggire ancora una volta la felicità che la vita le offriva, e quel profumo di ribes, dolce e familiare, le fece capire che Arcadio, in qualche modo, era sempre con lei.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

1 × four =

Una manciata di ribes nero