**Un Patto Giusto**
Francesca se ne andava lentamente, tra atroci dolori. Il suo corpo, sfinito dalle infinite chemioterapie, non lottava più contro la malattia. E lei stessa desiderava solo liberarsi dalle sofferenze degli ultimi mesi. I farmaci antidolorifici la tenevano in uno stato di torpore, da cui emergeva di rado, come da un abisso, per poi sprofondare di nuovo in un sonno che offriva tregua alla mente.
Vittoria tornava da scuola, entrava nella stanza impregnata dell’odore aspro della malattia, fissando a lungo la madre. Quella non era più la mamma allegra e sorridente di un tempo. Adesso giaceva immobile, gli occhi chiusi, e la bambina controllava ansiosa il lieve movimento del petto sotto le coperte. “Respira ancora?”
“Mamma. Mamma, mi senti?” chiamava Vittoria.
Le palpebre di Francesca tremavano, ma non aveva la forza di aprirle. Arrivava la nonna e la portava via.
“Andiamo, stellina, ti preparo qualcosa da mangiare, poi facciamo i compiti. Lascia che la mamma riposi.”
“Ma nonna, dorme sempre! Quando starà meglio? Voglio che torni tutto come prima.”
“Ah, piccola, lo vorrei anch’io. Il riposo è la prima medicina,” rispondeva la nonna, posando davanti a lei una scodella di minestra fumante. Sedendosi di fronte, tratteneva le lacrime. *”Che ingiustizia, io sono qui e mia figlia se ne va. E non posso far nulla. Ho pregato tanto, sono andata in chiesa… Perché Dio mi punisce? Dove ho sbagliato?”*
Francesca morì all’alba. Maria si era alzata alle tre per andare in bagno e aveva dato un’occhiata alla figlia: era ancora viva. Ne era certa. Poi si era rimessa a letto, girandosi e rigirandosi fino a cedere al sonno. E in sogno le era apparsa la piccola Francesca, che rideva, le agitava la mano e scappava via, voltandosi indietro di tanto in tanto. “Aspetta! Dove vai? Torna indietro!” aveva urlato Maria nel sonno, svegliandosi di colpo.
Si era precipitata nella stanza: la figlia era lì, immobile e ormai lontana. Maria aveva chiuso la porta, scaldato l’acqua per il tè, preparato una frittata per Vittoria e solo allora l’aveva svegliata.
Vittoria fece colazione, indossò l’uniforme scolastica e andò dalla mamma, come sempre prima di uscire.
“Non entrare, lasciala dormire,” la fermò Maria. “Prendi invece una mela per la merenda.” Le porse un frutto rosso e lucido.
Camminando verso scuola, Maria ascoltava distratta i racconti di Vittoria.
“Nonna, cosa hai oggi? Sei strana.”
“Non ho dormito bene, sono stanca,” si giustificò.
Tornata a casa, chiamò subito l’ambulanza.
“Quando è deceduta? Perché ha aspettato così tanto?” chiese la dottoressa con tono severo.
“Dovevo portare Vittoria a scuola. Non deve vedere certe cose…”
Poi arrivò l’autobarella, per fortuna in fretta. Francesca fu portata via prima del ritorno di Vittoria. Per tutto il tragitto, Maria pensò a come dirle che la mamma non c’era più, ma non trovò le parole. A casa, distratta, non fece in tempo a fermarla: Vittoria corse nella stanza vuota.
“Dov’è la mamma?” chiese, voltandosi verso la nonna.
Maria, stanca di domande e preoccupazioni, rispose la prima cosa che le venne in mente: “L’hanno portata in ospedale.” Abbassò lo sguardo.
Forse la bambina intuisse qualcosa, oppure si offese per non essere stata avvisata. Rifiutò di mangiare, si rannicchiò sul divano e si girò verso la finestra. Maria non aveva la forza di consolarla. Avrebbe voluto essere lei a ricevere conforto. Si chiuse in bagno, aprì l’acqua e chiamò Marco, l’ex marito di Francesca. Aveva trovato il suo numero nel telefono della figlia.
“Che vuoi?” rispose lui irritato, pensando fosse Francesca.
“Sono Maria Rosaria, la madre di Francesca. È morta stamattina. Potresti prendere Vittoria per qualche giorno? Le ho detto che la mamma è in ospedale. Ho tanto da fare… Non posso dirle la verità.”
“Va bene, arrivo.” La voce di Marco si fece più calma.
Mezz’ora dopo, bussò alla porta. Vittoria lo vide e si illuminò, ancora offesa con la nonna.
“Come va la scuola?” le chiese, sedendosi accanto a lei.
“Bene. La mamma è in ospedale, ma la nonna non vuole andare a trovarla,” si lamentò.
“Forse non è permesso. Ma io vorrei portarti a fare un giro. Al parco, un gelato, poi al cinema…”
“Davvero?” esclamò Vittoria, raggiante.
Intanto Maria preparò le sue cose. Prima che partissero, mise una borsa in mano a Marco. Uscirono, e lei andò in ospedale. C’era tanto da organizzare.
I funerali la sfiancarono. La sera cadeva dal sonno, ma non aveva nemmeno la forza di piangere. E quel dolore al petto… *”Resisti. Non crollare.”* Si costrinse a prendere un’altra pillola.
Dopo il funerale, Marco chiamò per sapere quando riportare Vittoria.
“Ti sei già stancato?” avrebbe voluto rispondergli con sarcasmo, ma le uscì solo una frase sconsolata.
“Vuole tornare a casa. Arriviamo presto. Dobbiamo parlare.”
Un’onda di ansia la travolse. *”Cosa vuole ancora? Quale altra sciagura mi aspetta?”* Si costrinse ad alzarsi. Mise l’acqua sul fuoco, tirò fuori dal frigo gli avanzi del pranzo funebre e posò sul tavolo una bottiglia di vino mezzo vuota. *”Che beva, almeno. È pur sempre il padre.”*
Quando rivide Vittoria, scoppiò in lacrime, realizzando quanto le fosse mancata. La bambina si strinse a lei.
“Vieni, ho fatto le frittelle e il latte alla cioccolata.”
Si sedettero a tavola. Marco afferrò subito la bottiglia, riempì il bicchiere fino all’orlo. Stava per fare un brindisi, ma lo fermò lo sguardo di Maria. Bevve d’un fiato, senza versare una goccia. Poi Maria chiese a Vittoria di andare in camera: doveva parlare con il padre. La bambina uscì a malincuore, e la nonna chiuse bene la porta.
“Allora, cosa volevi dire?” chiese, esausta.
“Non mi guardare così, Maria Rosaria. Voglio solo il meglio.”
“Il meglio l’hai già dato a mia figlia, e guarda com’è finita,” ribatté con rabbia.
“Non dare a me tutta la colpa! Francesca non era proprio un angelo,” alzò la voce.
“Zitto!” lo zittì. “Vieni al punto. E non osare pronunciare il nome di mia figlia.”
“Va bene.” Bevve un altro sorso. “Ecco cosa volevo dirti. Vittoria è piccola, e tu sei anziana. Basta una segnalazione, e te la portano via.”
“Sei tu a volerlo fare?” esplose Maria.
“Tu, diciamo, non sei più giovane. Potresti… Non te la lascerebbero. Io invece sono il padre, sano e salvo.”
“E cosa proponi?” Il cuore le batteva irregolare. *”Finiscila, voglio solo riposare.”*
“Lo sai che non ho una casa mia. Vivo un po’ dove capita.”
“Dall’ultima scema che tiMaria trovò la forza di sorridere e, stringendo la mano di Vittoria, sussurrò: “Andrà tutto bene, perché insieme possiamo affrontare qualunque cosa.”