**La Vena Azzurra**
Quanto l’amava, Niccolò. Ne era pazzo. Stava sotto le sue finestre fino a tardi, felice se riusciva a intravedere la sua sagoma. Gli sembrava irraggiungibile, un sogno di cristallo. Lo commuoveva la sua fragilità, quella pelle pallida e sottile attraverso la quale trasparivano filamenti di vene azzurre. E il cuore gli si spezzava di tenerezza.
Alla festa di Natale della scuola, Niccolò la invitò a ballare. Fiammetta era più bassa di lui, e danzare insieme era scomodo. Le mani gli tremavano, la fronte era umida di sudore, e i palmi bagnati sulla sua vita sembravano bruciare. Non riusciva a calmare l’agitazione, vergognandosi al pensiero che lei lo sentisse. Quando la musica finì, Niccolò si scostò da Fiammetta e finalmente respirò.
Si chiedeva perché gli altri ragazzi non fossero innamorati di lei.
Ad esempio, Sandro preferiva la robusta Valeria, con le gambe lunghe e forti. Quando correva nello stadio durante l’ora di ginnastica, svettando sulle altre ragazze, la sua coda di cavallo ondeggiava come un pendolo.
Ma per Niccolò, la bellezza femminile era incarnata da Fiammetta, esile e delicata. Era un’ossessione, un’allucinazione, una malattia. Sua madre non approvava questa passione. “Carina, ma troppo fragile,” disse al marito, preoccupata. “Dobbiamo distrarlo da quella ragazzina. Non gli si addice. Non si sa cosa abbia in testa. È troppo eterea, troppo debole. Che moglie potrebbe essere? E quel nome… così insolito. Convinciamolo a studiare lontano, magari a Milano. Purché stia alla larga da lei.”
Il padre annuì e parlò con Niccolò da uomo a uomo. Gli spiegò che a Milano avrebbe avuto più opportunità, che un’università prestigiosa gli avrebbe aperto le porte del futuro. Gli avrebbero pagato gli studi, se non fosse riuscito a entrare gratuitamente. E Niccolò accettò.
Nella sua stanza al dormitorio, appese una foto di Fiammetta, ingrandita da una foto di classe. Ma lei era rimasta a casa, e lui era giovane. Si fece esperienza con altre ragazze, mentre l’immagine di Fiammetta rimaneva nei suoi sogni.
Poi conobbe Beatrice. Con lei non tremava, la mente era lucida. Si capivano al volo. Era facile, sicura. E il ricordo di Fiammetta si fece più lontano.
Dopo la laurea, Niccolò sposò Beatrice e restò a Milano. Sua madre era felice della sua scelta. “Meglio così, piuttosto che quella strana Fiammetta.”
Un anno dopo, nacque la piccola Sofia. Niccolò era pazzo di amore per lei. Se starnutiva, avrebbe mobilitato tutti i medici della città. E Fiammetta rimase solo un ricordo, un sogno lontano.
Un giorno, la madre chiamò: “Tuo padre è in ospedale. Devono operarlo. Vieni.”
Sofia aveva il raffreddore, così Beatrice rimase a casa. Niccolò prese permesso e partì.
Milano lo salutò con una pioggia gelida, mentre la sua città natale lo accolse con sole e foglie dorate. Il padre faceva il forte, ma la paura c’era.
L’operazione andò bene. La madre stava sempre in ospedale, e Niccolò si trovò solo. Il pericolo era passato, poteva tornare dalle sue ragazze.
Camminando verso casa, avvolto nell’odore dell’autunno, vide una giovane donna fermarsi. Si chinò sulla carrozzina, sistemando qualcosa. Il cuore riconobbe Fiammetta prima ancora che lo facesse lui.
“Ciao,” disse, avvicinandosi.
Fiammetta si raddrizzò, lo riconobbe, sorrise. Niccolò osservò quel viso familiare, la pelle così trasparente da lasciar intravedere le vene, lo stesso sguardo malinconico e distante.
“Salve. Sei qui per i tuoi genitori? In vacanza?”
“Mio padre è stato operato.”
“Niente di grave?” Una preoccupazione le attraversò gli occhi.
“Ora sta bene. E tu? È tuo?” Indicò la carrozzina.
“Mia.” E dal tono, Niccolò capì che non era sposata.
Una pietà improvvisa lo invase. Avrebbe voluto prenderle il viso fra le mani e baciarla lì, per strada. L’accompagnò a casa, le chiese dei compagni di scuola. Le parlò di sé, senza aspettare domande. La aiutò a portare su la carrozzina. Fiammetta viveva ancora lì. I genitori si erano trasferiti in campagna, lasciandole l’appartamento.
“Passa a trovarmi, un giorno,” disse prima di salutarlo.
Niccolò pensò che avrebbe potuto salire subito, ma tacque. Come allora, lei gli sembrava irraggiungibile.
Il giorno dopo, tornò in ospedale con la madre. Il padre stava meglio, scherzava persino. Niccolò comprò rose e andò da Fiammetta. Lei non si stupì, solo gli chiese di non fare rumore: la bambina dormiva.
“Vuoi qualcosa da mangiare? Un caffè?” disse in cucina, mettendo i fiori in un vaso.
“No, grazie. Mia madre mi riempie di cibo.”
La vicinanza di Fiammetta lo turbava. Provò di nuovo quell’antico tremore. Lei posò il vaso sul tavolo. Il suo viso era così vicino. Niccolò notò la vena azzurra che pulsava alla sua tempia.
Non resistette, si chinò e la baciò. Fiammetta si irrigidì un attimo, poi gli si avvinghiò al collo con le sue braccia sottili, come un giunco contro un tronco robusto. La sollevò e la fece sedere sul tavolo…
Un pianto si alzò dalla stanza. Fiammetta lo respinse, scese e corse dalla bambina. Niccolò scosse la testa, cercando di dissipare l’incantesimo. Uscì dalla cucina. Fiammetta era in salotto, la figlia fra le braccia. Gli occhietti lucidi di lacrime.
“Vado,” disse rauco.
Lei annuì e lo accompagnò all’uscio. Stava per aprirla, quando una voce sussurrò: “Va a letto presto e dorme tutta la notte. Torna dopo le dieci.”
Niccolò si voltò di scatto. Fiammetta lo guardava con disperazione e speranza.
Camminando per strada, cercava di capire i suoi sentimenti. Se l’avesse sentito anni prima, sarebbe saltato di gioia. Ma ora sapeva che la sua vita non sarebbe più stata la stessa. Si rimproverava per la mancanza di controllo. Se non ci fosse stata la bambina…
A casa, si fece una doccia e bevve un caffè. La mente si schiarì. Decise di non tornare da lei. Cosa avrebbe detto a sua madre? Ma poi, al ricordo di quella vena e di quello sguardo, i dubbi tornavano.
La madre tornò stanca. “Tuo padre sta meglio. Puoi tornare al lavoro, alla tua famiglia.”
E così, le indecisioni svanirono. Partì quella notte. Prima, salutò il padre. “Perché te ne vai? La piccola è malata, avresti dovuto restare.”
“Torneremo quando ti dimetteranno.”
Sul treno, immaginò Fiammetta alla finestra, che lo aspettava al buio.
“Non è tradimento,” si disse. “Quello in cucina ero io ragazzo, innamorato di una vena e di una fragilità. Io amo Beatrice e Sofia.”
All’alba, era a casa. Beatrice era già alzata, preparava la pappaIl sole entrava dalla finestra, illuminando il sorriso di Sofia, e Niccolò capì che il passato era solo un’ombra svanita nel chiarore del presente.