La scelta della nonna non è ricaduta su di noi

**La Nonna Sceglie Male**

Livia Rossi stava alla finestra, osservando i bambini giocare nel cortile. Una bambina con le trecce le ricordava la nipotina Sofia, che non vedeva da mesi. Eppure avrebbe potuto vederla ogni giorno.

“Livia, perché sei così triste?” le chiese la vicina, Daniela, con una tazza di tè in mano. “Pensi di nuovo alle nipoti?”

“Mah, mi vengono tanti pensieri,” sospirò Livia. “Guardo questi bambini e penso che potrei essere qui con Sofia, a leggere favole insieme.”

“Ma perché ti tormenti? Hai fatto una scelta, ora vivi con quella.”

Daniela aveva ragione, ovviamente. Una scelta c’era stata, e Livia l’aveva presa. Solo che le conseguenze erano diverse da quelle che immaginava.

Tutto iniziò quando suo marito, Marco, si ammalò gravemente. I medici dissero che aveva bisogno di cure costanti. Livia lasciò il lavoro e diventò la sua infermiera. Per un anno e mezzo non lo abbandonò mai, dandogli da mangiare, leggendogli il giornale, accudendolo giorno e notte.

In quel periodo, suo figlio maggiore, Enrico, venne a trovarlo solo un paio di volte. Sempre troppo occupato, tra lavoro e impegni. Il più giovane, Luca, invece, passava spesso, portando medicine, generi alimentari e qualche soldo per aiutare. Sua moglie, Giulia, era altrettanto gentile: portava minestre fatte in casa o si offriva di lavare i panni.

“Mamma, perché non lo portiamo in una buona clinica?” propose Enrico una volta. “Lì avrebbe assistenza professionale, e tu potresti riposare.”

“Come, in clinica?!” si indignò Livia. “Senza di me si spegnerebbe. Quarant’anni insieme, e ora dovrei abbandonarlo?”

“Non abbandonarlo, assicurargli cure migliori.”

“Le migliori cure sono a casa, con la famiglia.”

Enrico scrollò le spalle e se ne andò. Luca, invece, continuò a venire, portando anche Giulia e la piccola Sofia, perché il nonno potesse vederla.

Quando Marco morì, Livia si ritrovò sola. L’appartamento le sembrò enorme e vuoto. Ogni angolo le ricordava il marito, ogni oggetto le strappava il cuore.

“Mamma, vieni a vivere con noi,” le propose Luca dopo il funerale. “Perché stare qui da sola?”

“Non so… sono abituata qui.”

“Mamma, noi abbiamo poco spazio,” intervenne Enrico. “Luca ha un appartamento più grande, per loro è più facile.”

“Troveremo il modo,” disse fermo Luca. “L’importante è che la mamma non sia sola.”

Livia li osservò e rifletté. Enrico era di successo: un trilocale in centro, soldi da spendere. Luca viveva più modestamente, in un bilocale in periferia, con uno stipendio normale. Ma aveva un cuore d’oro, quello sì.

“Ci penserò,” rispose alla fine.

Ci pensò a lungo. Enrico passava raramente, ma portava sempre vini pregiati o medicine costose. Parlava di quanto sarebbe stato bello per lei vivere nel suo quartiere: “La clinica è vicina, ci sono negozi di lusso, un bel parco.”

“Mamma, io sono il figlio maggiore,” diceva. “Secondo la tradizione, i genitori vivono con il primogenito.”

Luca, invece, veniva e aiutava senza tante parole: aggiustava una lampadina, portava la spesa, si sedeva semplicemente a chiacchierare. Giulia preparava torte fatte in casa, e Sofia disegnava regali per la nonna.

“Nonna, quando vieni da noi?” la pregava la bimba, abbracciandola. “Ti faccio vedere la mia stanza! Ho una casa delle bambole, giochiamo insieme!”

“Presto, tesoro,” rispondeva Livia, pur sapendo di non esserne convinta.

La decisione arrivò all’improvviso. Enrico si presentò con la moglie, Claudia. Seduti in cucina, Claudia iniziò a illustrare quanto sarebbe stato perfetto vivere tutti insieme.

“Livia, sa bene che Enrico può garantirle il meglio,” disse con un sorriso studiato. “Avrà una stanza tutta sua, pasti eccellenti. Da Luca, invece, cosa avrebbe? Tre persone in un bilocale!”

“Non siamo stretti,” ribatté Livia. “Stanno benissimo.”

“Ma certo, sono bravissimi, ma le possibilità sono diverse. Guardi,” tirò fuori un foglietto, “ho già trovato il miglior cardiologo privato di Milano. Enrico può permetterselo.”

Livia prese il biglietto con nome e numero. “E Luca con il suo stipendio non potrebbe mai,” continuò Claudia. “Sono 500 euro a visita.”

“Così tanto?”

“Certo. Le cure serie costano. E poi, pensi al futuro. Se si ammala, Enrico può coprire tutto. Noi siamo una coppia solida, vent’anni insieme. Con Luca e Giulia… chi lo sa?”

Dopo che se ne furono andati, Livia rimase a fissare quel foglietto. 500 euro a visita. La sua pensione era di 1200. Un medico costava quasi metà delle sue entrate.

Claudia aveva ragione. Enrico poteva permetterselo: aveva un’attività, una bella macchina, un trilocale in centro. Luca lavorava in fabbrica, guadagnava poco. Se si fosse ammalata gravemente, come avrebbe fatto?

Quella sera, Luca arrivò con Giulia e Sofia.

“Allora, mamma, hai deciso?” chiese, facendo sedere la bimba sul divano. “Quando traslochiamo?”

“Luca… ho pensato che forse è meglio se vado da Enrico.”

Silenzio. Luca si raddrizzò lentamente, Giulia arrossì. Sofia guardava confusa gli adulti.

“Capisco,” disse lui a bassa voce. “Posso sapere perché?”

Livia si sentì in colpa, ma ormai aveva parlato.

“Be’… lui ha più spazio. Un quartiere migliore.”

“Ah, lo spazio,” replicò amaramente. “E il fatto che per un anno e mezzo ti abbiamo aiutato con papà, quello non conta?”

“Luca, non iniziare.”

“No, mamma, inizio. Dov’era Enrico quando papà stava male? Dov’era quando ti sei sentita male e abbiamo chiamato l’ambulanza?”

“Lavorava molto…”

“Anch’io lavoro! Ma trovavo il tempo!”

Giulia gli mise una mano sulla spalla.

“Luca, calmati. Livia, se ha deciso così, è un suo diritto.”

“Certo, il suo diritto,” sbottò lui. “Scegliere chi ha più soldi.”

“Non è giusto,” si offese Livia. “Non è per i soldi…”

“Allora per che cosa? Per amore?”

Luca si alzò, prese Sofia in braccio.

“Andiamo, Sofia. Prendi le tue cose.”

“Non beviamo il tè con la nonna?” si rattristò la piccola. “Aveva promesso di finirmi la storia della principessa!”

“Un’altra volta,” tagliò corto il padre.

Dopo che se ne furono andati, Livia pianse. Ma non cambiò idea. Il giorno dopo chiamò Enrico e accettò di trasferirsi.

Enrico fu felice, arrivò con un furgone e traslocatori. Presero solo l’essenziale.

“Il resto lo sistemiamo dopo,” disse Enrico. “Magari compriamo una casetta in campagna, servirà.”

Livia annuì, benché di quella “casetta” si parlasse da anni senza mai vederla.

La nuova vita fu diversa da come se l’aspettava. La stanza era ampia e luminosa, ma sentiva di non appartenere a quel posto. I mobili erano eleganti, ma scomodi: il letto troppo morbido, la poltrona troppo bassa.

Claudia era cordiale, ma impose subito delle regole.

“Livia, facciamoLivia capì troppo tardi che la ricchezza del cuore vale più di ogni lusso, e che le vere radici non si trovano nei palazzi di Milano, ma nella semplicità di un abbraccio sincero.

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