Una giornata come le altre — e un divorzio

**Un giorno qualunque — e il divorzio**

Giorgia mise il bollitore sul fuoco e pulì distrattamente il piano della cucina, anche se era già perfetto. Il solito rituale mattutino. Marco era già uscito per lavoro senza salutare, come faceva da mesi ormai. Solo lo sbattere della porta. Una volta, invece, entrava in cucina, le dava un bacio sulla guancia e le diceva qualcosa di dolce. Ora? Ora vivevano come coinquilini in un appartamento condiviso.

Il bollitore fischiò. Giorgia si versò l’acqua nella sua tazza preferita, quella con le rose che Marco le aveva regalato per il loro primo anniversario di matrimonio. Trentadue anni fa. Dio, come passa in fretta il tempo…

«Mamma, dov’è il mio maglione blu?» — irrruppe in cucina Beatrice, la figlia maggiore. A ventotto anni viveva ancora con i genitori, risparmiando sull’affitto. — «Te l’avevo chiesto ieri di lavarlo!»

«È fuori ad asciugare. Bea, non credi sia ora che tu vada a vivere da sola? Sei già grande…»

«Mamma, non ricominciare! Ho già mal di testa stamattina.» — Beatrice si versò il caffè dalla moka che Giorgia aveva preparato prima. — «A proposito, papà ultimamente è strano. Ieri sera sussurrava al telefono, ma appena sono entrata ha chiuso la chiamata.»

Giorgia sussultò. Lo aveva notato anche lei. E non solo ieri.

«Sarà stato qualcosa di importante per lavoro» — mentì a se stessa e alla figlia.

«Dai, mamma! A mezzanotte? Mica fa il chirurgo.» — Beatrice scrollò le spalle e scappò a prepararsi.

Giorgia rimase sola con i suoi pensieri. Marco era davvero cambiato. Prima le raccontava tutto: del lavoro, dei colleghi, dei weekend. Ora era muto come un pesce. E nascondeva il telefono come uno studente che ha preso un due.

Quella sera preparò le sue polpette preferite, sperando che a cena avrebbero parlato come un tempo. Beatrice era uscita con un’amica, la casa era vuota. Era il momento giusto per un discorso serio.

Marco tornò tardi, quasi alle nove. Giorgia era in pensiero, gli aveva chiamato più volte, ma non aveva risposto.

«Dove sei stato? Mi sei mancato!» — lo accolse nell’ingresso.

«Al lavoro, un rapporto urgente.» — Nemmeno la guardò, andò dritto in bagno.

«Marco, ho fatto le polpette, quelle che ti piacciono. Ceniamo insieme?»

«Non ho fame. Sono stanchissimo.» — La voce dal bagno era spenta.

Giorgia rimase in corridoio un attimo, poi tornò in cucina. Le polpette si raffreddavano in padella. Si sedette, si versò un tè e scoppiò a piangere. Piano, perché lui non sentisse.

Quando Marco uscì dal bagno, passò davanti alla cucina senza neanche guardare. Giorgia sentì il chiavistello della camera da letto. Si era chiuso dentro. Per la prima volta in trentadue anni.

Quella notte, rimase a fissare il soffitto sul divano del salotto. A cosa pensava? A quando le cose erano cambiate. Al perché fossero diventati estranei. Al fatto che forse era ora di fare qualcosa di radicale.

La mattina dopo, Marco uscì prima del solito. Giorgia non lo sentì nemmeno prepararsi. Si svegliò solo per lo sbattere della porta.

«Mamma, che succede? Perché dormi sul divano?» — Beatrice era sulla soglia, ancora assonnata, con i capelli arruffati.

«Niente, mi faceva male la schiena. Qui è più comodo.» — Giorgia si alzò e piegò la coperta.

«Mamma, non mentire. Non sono cieca. Avete litigato con papà?»

«Bea, non sono affari tuoi. Vai a fare colazione.»

«Come non sono miei? Io vivo qui! E vedo cosa succede!» — La figlia si sedette accanto a lei. — «Parlami. Forse posso aiutarti.»

Giorgia la guardò. Era cresciuta, lavorava, guadagnava. Forse era davvero il momento di aprirsi.

«Io e tuo padre… siamo estranei, Bea. Mi evita, non parla. E io non so più cosa fare.»

«Hai provato a parlargli chiaro?»

«Sì, ma non risponde o cambia discorso.»

«Forse c’è un’altra?» — Beatrice lo disse piano, ma Giorgia udì bene.

Ci aveva pensato anche lei, ma scacciava subito l’idea. Marco non era così. Era un uomo di famiglia, perbene. Eppure… le persone cambiano.

«Ma che dici!» — fece per sminuire.

«Mamma, sono adulta. Capisco che tra un uomo e una donna possono succedere cose, specie dopo tanti anni.»

Giorgia si alzò e andò a preparare la colazione. Beatrice la seguì.

«Sai cosa penso, mamma? Se papà è cambiato così tanto da non parlarti nemmeno, forse è ora di pensare al… beh, al divorzio.»

«Beatrice!» — Giorgia si girò di scatto. — «Come ti viene in mente?»

«Perché? Vivere con uno che ti ignora? Che finge che non esisti? Non è vita, è tortura!»

«Siamo insieme da trentadue anni!»

«E allora? Se per lui non valgono niente, perché dovrebbero valere per te?»

Giorgia ci pensò. Forse aveva ragione. Che senso aveva aggrapparsi a qualcosa che non c’era più? Ma cambiare la vita a cinquantacinque anni… era spaventoso.

Quella sera, prese coraggio. Aspettò che Marco rientrasse e gli si avvicinò subito.

«Marco, dobbiamo parlare.»

«Di cosa?» — Nemmeno alzò gli occhi dal telefono.

«Di noi. Del nostro matrimonio. Di quello che sta succedendo.»

«Non succede niente.» — Tentò di allontanarsi, ma lei gli sbarrò la strada.

«Fermo! Ti sto parlando!»

Finalmente la guardò. Negli occhi c’era stanchezza e qualcos’altro. Fastidio? O forse colpa?

«Giorgia, non ora. Sono stanco.»

«Sei sempre stanco quando si tratta di parlare con me. Ma io non posso più vivere così! Siamo estranei! Mi eviti, non dormiamo insieme…»

«Che vuoi che ti dica?» — improvvisamente sbottò. — «Che va tutto bene? Che siamo felici? Non abbiamo più niente in comune! Sei sempre insoddisfatta, sempre pronta a criticare!»

«Io insoddisfatta?» — Giorgia sentì la rabbia montarle. — «Per trentadue anni ti ho servito! Ho cucinato, pulito, cresciuto i tuoi figli! E tu dici che sono io quella che critica?»

«Sì, tu! Con quella faccia sempre stanca! Sempre pronta a lamentarti!»

«E di cosa dovrei lamentarmi? Del fatto che non mi parli? Che mi eviti?»

«Basta!» — Marco sbatté la mano sull’aria. — «Sono stufo! Stufo di questa casa, di queste discussioni!»

«Stufo di me» — mormorò Giorgia.

Marco tacque. Quel silenzio parlò più di mille parole.

«Bene» — annuì lei. — «Allora divorziamo.»

«Cosa?» — Marco la fissò sbigottito.

«Hai sentito. Se sei stufo di tutto, se sono io il problema, finiamola qui. Perché soffrire?»

«Giorgia, ma sei impazzita? Divorziare alla nostra età?»

«E perché no? C’è un limite d’età?» — Si sentì stranamente solAlla fine, mentre firmava i documenti del divorzio, Giorgia sorrise tra sé e sé, perché finalmente capì che la libertà non aveva età.

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