Vendiamo la casa, ma teniamo stretta la mamma

Oggi ho deciso di scrivere tutto quello che è successo negli ultimi mesi. Il mio cuore è pesante, ma forse mettere nero su bianco mi aiuterà a capire meglio.

Ero seduto in cucina con mia moglie, Alessandra. Lei, mentre preparava la cena, parlava senza sosta, muovendosi tra i fornelli con quella solita frenesia. Io, invece, sorseggiavo il mio caffè, guardando il sole che lentamente si alzava oltre i tetti di Roma, cercando di cogliere qualcosa di utile tra le sue chiacchiere.

“Alessio, mi stai ascoltando?” Le unghie di Alessandra mi affondarono nella spalla, facendomi sobbalzare.

“Certo, amore!” risposi in fretta, allontanando la sua mano. Il suo solito smalto rosso luccicava, impeccabile come sempre.

“Allora, dimmi cosa ho appena detto!” I suoi occhi erano freddi, quasi minacciosi.

Sospirai. “Parlavi ancora di vendere la casa.”

“Esatto. E perché?”

“Se portiamo mamma qui con noi, sarebbe più semplice. Non dovremmo più fare tanti sacrifici.”

“Ma capisci che quella casa in mezzo alle campagne toscane non vale praticamente nulla? Non c’è niente di utile per noi. Perché dovremmo continuare a pagare le bollette di un posto dove non viviamo? E con che coraggio ci chiede soldi?” La sua voce era tagliente, piena di disprezzo.

A quasi quarant’anni, con quella sua sicurezza spietata, a volte mi faceva quasi paura. La sua voce, un tempo melodiosa come un usignolo, ora era bassa, roca. Ma in qualche modo, mi affascinava ancora.

Io ormai superavo i quaranta, eppure ero abituato a obbedirle. Di solito, le sue decisioni si rivelavano giuste… ma questa volta non ne ero sicuro.

“Mamma ha bisogno di un posto dove vivere,” dissi, senza convinzione.

“E lo avrà. Con noi. Ma quella casa dobbiamo venderla. Così sistemiamo i debiti e ci rimane qualcosa in tasca. E poi, sarà più allegro avere tutta la famiglia riunita, no?”

Annuii, anche se dentro di me qualcosa non mi convinceva. Lavoravo come ingegnere edile e guadagnavo bene, ma quei soldi in più sarebbero serviti. E poi, la casa era a mio nome. Pagare per un posto vuoto non aveva senso.

“Allora domani pubblichiamo l’annuncio. Chiama tua madre e diglielo, che si prepari. Verrà qui da noi e intanto troveremo un acquirente.” Alessandra sorrise, mostrando i denti bianchi, come una predatrice che ha trovato la sua vittima.

***

Maria iniziò la sua giornata come sempre. Il sole era già alto quando si svegliò, uscì nel suo giardino tra gli ulivi, respirando l’aria fresca della campagna.

All’improvviso, il vecchio Nokia nel taschino dei pantaloni cominciò a squillare. Le nuove tecnologie non facevano per lei. Anche per la lavatrice, io avevo dovuto spiegarle più volte quali pulsanti premere.

Qui, lontano dalla città, il tempo sembrava essersi fermato. Niente di complicato, solo le sue riviste preferite, i vicini di sempre, la pensione arrivata a sessantacinque anni. Una vita semplice, ma piena.

Ma quando sentì la mia voce al telefono, il suo cuore si strinse.

“Ciao, mamma. Senti, io e Alessandra abbiamo pensato che è ora di vendere la casa.”

“Cosa?!” Maria si sedette sulla panchina davanti alla porta, ansimando.

“Che c’è che non va? Abbiamo deciso che non ha senso vivere da sola in campagna. Verrai con noi, e con i soldi della vendita sistemeremo tutto.”

“Vivere con voi? Non vi darò fastidio?”

“Mamma, ma che dici! Ti prenderemo una stanza, ti sistemeremo bene. Sarà più facile, non dovrai più farti problemi con la pensione. Solo vantaggi.”

Maria cominciò a mordersi il labbro nervosamente, ma io continuai.

“Ho già messo l’annuncio. Fai le valigie, domani verrò a prenderti e a caricare le tue cose. Non portare troppo, non voglio perdere tempo con troppi viaggi.”

E così, una nuova vita si apriva davanti a mia madre. Io riattaccai subito, sempre di fretta.

Lei rimase seduta sulla panchina, fissando il suo giardino. Avevamo un accordo per le bollette. La sua pensione era modesta, ma come poteva immaginare che avrei usato quella scusa per costringerla a trasferirsi?

Non le avevo lasciato scelta. Con un gemito, accarezzandosi la schiena dolorante, rientrò in casa pensando agli alberi da frutto che aveva piantato con tanta fatica.

E ora non li avrebbe mai più rivisti.

***

Alessandra arricciò il naso.

“Maria, ma cosa ci combina? Le avevo detto di non fare questi brodacci che riempiono la casa di puzza!” Con movimenti bruschi, aprì la finestra della cucina, sbattendo i cardini.

Maria rimase immobile per un attimo.

“E cosa dovrei mangiare? Non sono abituata ai vostri piatti leggeri. Ho bisogno di qualcosa di sostanzioso.”

“Allora prepari la pasta, un bel sugo, cose normali! Roba che possiamo mangiare tutti, e che non faccia vergognare se arrivano ospiti!” Alessandra si girò con quel suo solito sorriso da gatta che ha visto il topo.

“E io dovrei cucinare come per una festa?”

“Oh, ma no! Cucini pure per lei sola, ma almeno che non sembri cibo per cani! Tutto questo brodo denso…” Fece un respiro profondo, soffiando l’aria fuori dalla finestra come se stesse scacciando un veleno.

Maria, con il cuore gonfio, si voltò e tornò nella sua stanza, lasciando la nuora alle sue manie.

Era chiaro: quella era solo la prima di tante battaglie.

Tra sé e sé, Maria pensò: “Se continua così, dovrò fare qualcosa.”

Vendere la casa era ancora una follia.

Quella sera, mentre mangiavamo la sua deliziosa parmigiana, il mio telefono squillò.

“Pronto? Sì, certo. Venite a vedere la casa? Questo weekend va bene. Già interessati a comprarla? Fantastico, ma prima date un’occhiata.”

“L’hanno già trovata?” Maria aprì gli occhi stupita.

“Be’, ho messo un prezzo onesto. Non vogliamo farci ricchi, e poi lì ci vuole un po’ di lavoro. Da quanto tempo non ci va nessuno?” Feci spallucce.

“E tu, Alessio?” Mia madre mi fissò severamente.

“Alessio cosa? Non sapete più cavarvela da soli?” intervenne Alessandra. “Maria, invece di pensare ai lavori, dovrebbe preoccuparsi di cose più importanti. Tipo l’eredità per i nipoti.”

“Ma io ho nipoti?” ribatté Maria, colpendola dove faceva più male.

Alessandra si bloccò, fissando il muro per qualche secondo.

“Appunto, per questo non ne abbiamo. Viviamo in condizioni strette.”

“Strette? Un trilocale a Roma?” Maria scoppiò a ridere. “Quando ho avuto Alessio, non avevamo neanche una stanza nostra in quella lurida pensione! Ci ho messo anni per conquistare questa casa, che poi vi ho regalato!”

“I tempi sono cambiati. Ora i bambini hanno bisogno di spazio, di cure!” replicò Alessandra.

“Comunque, mamma. Non potevi più restare lì. Senza un uomo in casa, non ce l’avresti fatta. E io non potevo venire ogni weekend.”

La discussione finì lì.

***

Maria non riusciva ad abituarsi. Troppi odori, troppa luce artificiale.

Maria riprese le poche cose rimaste, chiamò sua sorella Clara, e partì quella stessa sera per Firenze, decisa a ricominciare una vita lontana da quel figlio che non riconosceva più.

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