Oh, allora, senti questa storia!
“Ma cosa ne capisci di cucina!” sbottò bruscamente Valentina Rossi, strappando la pentola dalle mani della nuora Elena. “La polenta è un’arte, mica una cosa da poco!”
Elena si trovò in mezzo alla sua cucina, senza credere ai suoi occhi. La suocera si era trasferita da loro “temporaneamente” tre giorni prima, per via di una ristrutturazione, e aveva già sconvolto ogni cosa.
“Valentina,” disse Elena con voce calma, “questa è la mia cucina. Decido io cosa cucinare.”
“Tua?” ridacchiò la suocera. “E chi ha pagato la casa? Mio figlio! Quindi qui comando anch’io!”
A quel punto, qualcosa dentro Elena si spezzò. A quarantadue anni, era sempre stata paziente, abituata a cedere. Lavorare all’asilo le aveva insegnato a sopportare, ma quello che succedeva nella sua casa era troppo.
Valentina era arrivata di domenica con tre valigioni. “Dovrò stare qui un paio di settimane,” aveva annunciato allegramente. Il marito di Elena, Marco, di fronte alla madre, diventava sempre un fuscello. “Certo, mamma, accomodati.”
E aveva iniziato. Valentina aveva rifatto tutti i letti, spostato i mobili, buttato metà delle piante perché “raccoglievano polvere”. Il secondo giorno, attaccò la cucina, eliminando tutte le spezie “straniere”. Marco taceva.
“Dai, resisti un po’,” disse alla moglie. “È mia madre. Ha più esperienza.”
E Elena capì: non poteva contare su nessuno.
Poi, quella mattina, arrivò la goccia che fece traboccare il vaso. Elena si svegliò per l’odore di bruciato. Corse in cucina e trovò la pentola sul fuoco, che fumava, mentre Valentina parlava al telefono.
“Valentina! Sta bruciando tutto!”
“Ma no, esageri,” fece la suocera, scrollando le spalle.
Elena corse ai fornelli: la pentola era rovinata. “Era la mia pentola preferita!”
“E allora? Almeno la polenta è venuta con la crosticina!”
In quel momento entrò Marco. “Che succede qui?”
“Tua moglie urla per una stupida pentola,” si lamentò Valentina.
“Elena,” sospirò Marco, “non esagerare. Mamma cerca di aiutarci.”
A quel punto, Elena ebbe la svolta. Guardò il marito, la suocera, la pentola distrutta, e disse piano ma chiaro:
“Sapete cosa? Ne ho abbastanza. Valentina, se qui comandi tu, allora cucina tu. E lava, e pulisci. Io vado a fare la spesa.”
“Ma che fai?” chiese Marco, confuso.
“Quello che avrei dovuto fare tre giorni fa. Difendo la mia casa. E tu, Valentina, puoi restare, ma alle MIE condizioni. Qui la padrona sono IO.”
“Ma come ti permetti!” strillò Valentina. “Marco, senti cosa dice?”
“Lo sento,” rispose lui, con inaspettata calma. “E sai, mamma? Elena ha ragione. Questa è casa sua, e le regole le fa lei.”
Valentina rimase a bocca aperta. “Ma sono tua madre!”
“Proprio per questo devi rispettare mia moglie e le mie scelte,” replicò Marco, fermo.
I giorni seguenti furono di silenzio teso. Valentina faceva la offesa, ma seguiva le regole. Dopo una settimana, fece le valigie.
“La ristrutturazione è finita?” chiese Elena.
“No,” rispose secca Valentina. “Ma vado da mia sorella. Lì… è più tranquillo.”
Elena annuì. Sapeva che la suocera non sopportava di dover rispettare altri.
Quando la porta si chiuse, Elena non sentì sollievo, ma vuoto.
“Non preoccuparti,” la abbracciò Marco. “Mamma è permalosa, ma passa presto. Ha capito che con te non si scherza. Lo sapevo che non saresti mai stata una che cede, e ne sono orgoglioso.”
Quella sera, Elena sorseggiava un caffè in cucina. La sua casa. Le sue regole. La sua vita. Aveva capito che a volte bisogna mostrare i denti per farsi rispettare. E che un vero uomo sostiene la moglie, anche contro sua madre.
Fuori, le violette germogliavano. La vita andava avanti, e ora Elena sapeva: era padrona non solo della sua casa, ma del suo destino.