Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro. Sono seduta sull’autobus che ogni mattina mi porta in ufficio, ma oggi tutto è diverso. Nella borsa ho la lettera di dimissioni, scritta con formule di circostanza, ma dietro quelle parole c’è una storia che ancora mi sembra impossibile.
L’autobus si ferma davanti al centro commerciale dove si trova l’azienda di mio figlio. Quell’azienda dove ho lavorato come contabile per quattro anni. Quell’azienda che Marco ha fondato appena uscito dall’università, con il mio sostegno e i miei risparmi.
“Mamma, sei sicura?” mi ha chiesto ieri sera, quando gli ho portato la lettera. “Magari pensaci ancora un po’.”
“Son sicura, Marco. È meglio così.”
Eppure, salendo le scale verso l’ufficio, sento il cuore stringersi. Quattro anni di sacrifici, di orgoglio per i successi di mio figlio, tutto finito oggi.
Tutto è cambiato da quando Marco ha portato a casa Lucia. Una ragazza bella, intelligente, con una laurea in economia. Mi è piaciuta subito, felice che Marco avesse trovato una compagna così in gamba.
“Mamma, questa è Lucia,” aveva detto lui, raggiante. “La mia fidanzata.”
“Piacere, signora Bianchi,” aveva risposto lei, sorridendo. “Marco mi ha parlato tanto di te.”
Si sono sposati un anno dopo. Un matrimonio semplice, ma pieno d’amore. Ho preparato io i piatti, decorato la sala, lavorato come una formica. Volevo che fosse un giorno perfetto per loro.
Dopo le nozze, Lucia si è trasferita da noi. Un bilocale piccolo, ma ci stavamo tutti. Io sognavo una casa piena di risate, di nipoti che correvano per le stanze.
“Mamma, e se Lucia venisse a lavorare con noi?” aveva proposto Marco una sera a cena. “Con la sua laurea, potrebbe aiutarci a far crescere l’azienda.”
“Certo,” avevo detto. “Più teste pensano meglio di una.”
Lucia è entrata come responsabile vendite. Dinamica, determinata, ha subito portato risultati. L’azienda è cresciuta, i clienti aumentavano, i guadagni anche.
“Signora Bianchi, posso parlarle?” mi aveva chiesto un giorno, entrando in contabilità.
“Certo, cara. Che c’è?”
“Ho pensato che dovremmo modernizzare la contabilità. Passare a programmi più avanzati, automatizzare i processi.”
Avevo annuito. Sapevo che i vecchi metodi ormai non bastavano più.
“Hai ragione, ma alla mia età imparare questi sistemi è difficile. La memoria non è più quella di una volta.”
“Non preoccuparsi,” aveva sorriso. “La aiuterò io.”
E infatti Lucia mi ha aiutato. Mi spiegava, ripeteva con pazienza. Io mi impegnavo, ma la tecnologia mi sfuggiva di mano.
Anche Marco mi sosteneva, mi incoraggiava. Ma l’azienda intanto cresceva sempre più. Nuovi dipendenti, più documenti, più lavoro.
“Mamma, ce la fai?” mi chiedeva a volte. “Non è troppo pesante?”
“Ce la faccio, Marco. Anche se a volte mi sento stanca.”
Ed era vero. Prima gestivo da sola la contabilità di una piccola azienda, ora i documenti erano triplicati. Restavo fino a tardi, portavo i conti a casa.
“Potremmo assumere un altro contabile,” aveva suggerito Marco.
“A che pro?” aveva interrotto Lucia. “La signora Bianchi è esperta, ci vuole solo tempo per adattarsi.”
Ma Lucia aveva iniziato a criticare il mio lavoro. Rapporti in ritardo, errori nei calcoli, moduli compilati male.
“Signora Bianchi, deve essere più attenta,” diceva. “La reputazione dell’azienda dipende da noi.”
“Scusami, Lucia. Farò più attenzione.”
E ci provavo. Controllavo ogni numero, lavoravo fino a notte. Ma gli errori capitavano lo stesso. L’età non perdona.
“Marco, dobbiamo parlare,” aveva detto Lucia una sera, credendo che non sentissi.
“Di cosa?”
“Di tua madre. Non riesce a stare al passo. Errori, ritardi… influiscono su tutto.”
“Lucia, esageri. Mamma lavora con dedizione.”
“Dedizione sì, ma inefficienza. Marco, è business. Non possiamo permetterci dipendenti improduttivi, nemmeno se sono famiglia.”
Quelle parole mi hanno gelato il sangue. “Improduttiva”. Ecco come mi vedeva ora la ragazza che avevo amato come una figlia.
Il giorno dopo, Marco è entrato in ufficio con lo sguardo colpevole.
“Mamma, devo parlarti.”
“Dimmi.”
“L’azienda sta cambiando… Forse è meglio se… prendi una pausa?”
“Vuoi che mi dimetta.”
“Non è colpa di Lucia.”
“Lo so. Il problema sono io. Sono vecchia e lenta.”
“Non è così! Il mondo va veloce, anche per noi giovani è dura.”
Mi sono alzata, guardando dalla finestra. La gente correva, ognuno con il suo posto nel mondo. Io invece non servivo più a niente.
“Va bene, Marco. Scriverò le dimissioni.”
“Mamma, non è un licenziamento…”
“Lo so. Fai ciò che è giusto per l’azienda.”
A cena, Lucia era particolarmente affettuosa.
“Signora Bianchi, ho cucinato la pasta al forno che piace a voi.”
“Grazie, cara.”
“Marco mi ha detto delle dimissioni. È una scelta saggia. Avrà tempo per sé, per i suoi hobby.”
“Forse.”
“E magari per i nipoti? Stiamo pensando di avere un figlio presto.”
I nipoti. Li avevo sognati, ma ora sembrava solo un altro lavoro non retribuito.
Il giorno dopo ho incontrato la nuova contabile, una ragazza giovane, sveglia. Come ero io tanti anni fa.
“Mi chiamo Elena,” ha detto. “Marco mi ha detto che mi introdurrà lei.”
Ho passato tutto il giorno a spiegarle il lavoro. Prendeva appunti, imparava in fretta. La gioventù è spietata.
A pranzo, tutto era finito. Ho messo le mie cose in una scatola: la foto del party aziendale, la tazza con scritto “Miglior contabile”, il calendario che Marco mi aveva regalato.
“Signora Bianchi, grazie per tutto,” ha detto Elena. “Marco mi ha detto che senza di lei l’azienda non esisterebbe.”
“Sì, ho aiutato mio figlio all’inizio.”
“Dovrebbe essere orgogliosa.”
Orgogliosa? Forse. L’azienda è un successo. Ma il prezzo sono state le mie dimissioni.
Marco mi ha accompagnato alla fermata.
“Mamma, non te la prendere, eh?”
“Non mi lamento. Hai fatto la scelta giusta.”
“Ma so che ti fa male.”
“Fa male, ma non per colpa tua. Fa male il tempo che passa.”
Sull’autobus, ho guardato Marco che si allontanava. A casa, silenzio. Ho chiamato zia Rosina, al paese.
“Nina, che succede? Hai la voce stanca.”
“È finito tutto, zia. Non servo più a niente.”
“Vieni da me. Parleremo.”
Domani partirò. Forse lì troverò risposte, o forse imparerò a vivere per me stessa. A sessant’anni, non è troppo tardi.
*Oggi ho capito che il mondo va avanti, con o di noi. Ma la dignità non ha età.*