L’Amore È Svaporato.

**L’AMORE È PASSATO**

«Perché sei così silenziosa e pensierosa stasera?» chiese Vincenzo alla moglie, seduto al tavolo della cucina in una tarda serata.

La moglie, Ginevra, gli porse in silenzio la cena riscaldata.

«Anche oggi torni tardi?» mormorò lei, con voce bassa.

«Ho dovuto fare lavoro straordinario… Alla fine del trimestre ci daranno il bonus.»

Vincenzo, un impiegato di banca di trentacinque anni, aitante e dall’aspetto giovanile, era appena rientrato. A casa lo aspettavano la moglie e le tre figlie: di sei anni, quattro e la più piccola appena nata. Da tempo, ormai due anni, non aveva più voglia di tornare. Si fermava in ufficio, vagava per le strade di Roma… e solo a notte fonda rientrava nell’appartamento. Ne aveva abbastanza delle urla delle bambine, del caos, dei pannolini, delle tutine… del pianto notturno e di Ginevra, sempre presa dai figli, trasandata: avvolta in un vecchio accappatoio, con i capelli raccolti in una coda, silenziosa e con cerchi scuri sotto gli occhi.

Quando sette anni prima aveva sposato quella splendorosa donna piena di vita, sua collega, avrebbe mai immaginato che il matrimonio gli sarebbe diventato un peso simile? No, i primi anni erano stati felici: era nata la prima figlia. Lui cercava di aiutarla in casa, di lasciarle del tempo libero nei weekend per andare dal parrucchiere, per la manicure, la pedicure… Passò un anno, e Ginevra rimase di nuovo incinta. Avevano deciso di avere subito due figli, per “sbrigarsi” e poi basta. La seconda era stata una bambina irrequieta: fino ai sei mesi piangeva tutta la notte, e lui arrivava a lavoro con gli occhi rossi e gonfi. Passati quei mesi, finalmente le cose si calmarono. Iscritte all’asilo, la moglie tornò al lavoro… e allora, l’ennesima sorpresa: un altro figlio in arrivo.

Lui si era opposto, ma lei aveva versato lacrime di coccodrillo, montando una scenata. Aveva resistito: «Dove lo mettiamo un altro bambino?» cercava di convincerla. «Queste sono ancora piccole… Oggi ci sono metodi chirurgici, interventi rapidi. Paghiamolo e basta.»

Ma Ginevra era rimasta irremovibile. Alla fine, aveva ceduto. Sperava che fosse un maschio.

La gravidanza fu difficile, lei passò mesi tra visite e ricoveri. E lui, con le due bambine, rimase solo: l’asilo, le passeggiate, il bucato, le pulizie… Nessuno che potesse aiutarlo: i suoi genitori vivevano lontanissimo, a Bolzano, e sua madre era anziana e malata.

Anche il terzo figlio era inquieto: piangeva di notte, si calmava solo tra le braccia di Ginevra, che non lo lasciava mai.

A poco a poco, Vincenzo capì che non voleva più tornare a casa.

«Cos’ho visto in questi sette anni? Il primo anno andavamo ancora al cinema, ai caffè, alle mostre… persino in vacanza al mare. E poi? Bambini, pianti, pannolini, tutine…» gli ronzava in testa.

Non la desiderava più, l’intimità con lei non lo attirava… Cercava di rientrare tardi, quando le figlie erano già a letto… Non sopportava nemmeno di guardarla. Le dispiaceva per lei: in cosa si era trasformata, quella che un tempo era una bellezza? Ma ancor più gli dispiaceva per sé stesso: doveva fare qualcosa. Non poteva continuare così.

A lavoro, i colleghi si vantavano dei viaggi, delle vacanze alle Maldive, e tutti gli chiedevano quando avrebbe portato la famiglia al mare, visto che il suo stipendio non era male. Lui evitava di rispondere: a chi poteva dire che lui avrebbe voluto scappare, anche solo per qualche giorno, o meglio, per mesi?

«Vincenzo, sono di nuovo incinta» sussurrò Ginevra, lasciandosi cadere lentamente sulla sedia.

L’uomo rimase immobile, il cucchiaio di minestra sospeso a mezz’aria.

«Ma sei impazzita? Non ricordo nemmeno l’ultima volta che abbiamo fatto l’amore!» urlò.

«Sono già tre mesi, non si può più fare niente…» proseguì lei con un filo di voce.

«Sei fuori di testa! Basta, ne ho abbastanza! Questa non è vita, è un incubo! Guardati, in cosa ti sei ridotta? Quand’è stata l’ultima volta dal parrucchiere? Avevi detto che prendevi le precauzioni!!! Sembri una mummia… Non ti voglio più vedere. Io me ne vado. Resta pure qui con i bambini e fai quello che ti pare!»

«Dove vai? E noi?» chiese Ginevra piano, mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia.

«Tengo la macchina e vado da mia madre. Non posso più vederti!» continuò a gridare Vincenzo.

Si alzò di scatto dal tavolo e si avviò deciso verso la porta d’ingresso.

«Non l’avrei mai immaginato neanche nei peggiori incubi. Non è vita, è una condanna» urlò, uscendo in fretta dall’appartamento.

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