La suocera licenziata

Maria Luisa Rossi guardava fuori dal finestrino dell’autobus, osservando le strade che ormai conosceva a memoria. Ogni mattina lo stesso percorso verso il lavoro, le stesse fermate, gli stessi volti dei passeggeri. Solo che oggi era diverso. Oggi sarebbe stata l’ultima volta.

Nella borsetta teneva la lettera di dimissioni volontarie. Una formula standard, nulla di speciale. Ma dietro quelle parole si nascondeva una storia che Maria Luisa ancora faticava a credere.

L’autobus si fermò davanti al centro commerciale dove si trovava l’ufficio dell’azienda di suo figlio. Quella stessa azienda dove aveva lavorato come contabile per quattro anni. Quella stessa azienda che Luca aveva fondato subito dopo l’università con il suo sostegno.

“Mamma, sei sicura?” aveva chiesto Luca la sera prima, quando gli aveva mostrato la lettera. “Forse potresti pensarci ancora un po’.”

“Sono sicura, tesoro” aveva risposto. “Sarà meglio per tutti.”

Ma ora, salendo le scale verso l’ufficio, Maria Luisa sentiva il cuore stringersi. Quattro anni di vita, quattro anni di lavoro, quattro anni di orgoglio per i successi di suo figlio che restavano alle spalle.

Tutto era cominciato il giorno in cui Luca aveva portato a casa Ginevra. Una ragazza bella, intelligente, con una laurea in economia. Maria Luisa l’aveva subito amata, felice che il figlio avesse trovato una compagna di vita meritevole.

“Mamma, ti presento Ginevra” aveva detto Luca raggiante di felicità. “La mia fidanzata.”

“Piacere, Maria Luisa” aveva detto Ginevra porgendole la mano. “Luca mi ha parlato tanto di te.”

Si erano sposati un anno dopo. Un matrimonio semplice ma sentito. Maria Luisa aveva preparato lei stessa il pranzo nuziale, decorato la sala, lavorato come un’ape. Voleva che fosse un giorno indimenticabile per i giovani sposi.

Dopo le nozze, Ginevra si era trasferita da loro. L’appartamento era piccolo, due camere, ma c’era spazio per tutti. Maria Luisa aveva sempre sognato una famiglia numerosa, una casa piena di risate di bambini.

“Mamma, e se Ginevra venisse a lavorare con noi?” aveva proposto Luca una sera a cena. “Ha studiato economia, potrebbe aiutarci a far crescere l’azienda.”

“Certo” aveva risposto Maria Luisa. “Più teste pensano meglio di una.”

Ginevra aveva iniziato come responsabile vendite. Energica, determinata, si era ambientata rapidamente portando ottimi risultati. L’azienda cresceva, arrivavano nuovi clienti, i profitti aumentavano.

“Maria Luisa, possiamo parlare?” le aveva chiesto Ginevra un giorno entrando nell’ufficio contabilità.

“Certo, cara. Che c’è?”

“Stavo pensando, forse dovremmo modernizzare il reparto contabile? Passare a programmi aggiornati, automatizzare i processi.”

Maria Luisa aveva annuito. Sapeva che i vecchi metodi ormai erano obsoleti.

“Hai ragione, Ginevra. Ma alla mia età imparare nuovi software è difficile. Le mani non sono più quelle di una volta, la memoria vacilla.”

“Non preoccuparti” aveva sorriso Ginevra. “Ti aiuterò io. Affronteremo tutto insieme.”

E infatti Ginevra l’aveva aiutata. Le mostrava, spiegava, ripeteva con pazienza. Maria Luisa faceva del suo meglio, ma la tecnologia era complicata.

Anche Luca la sosteneva, la lodava per l’impegno. Intanto l’azienda continuava a crescere. Nuovi dipendenti, uffici più grandi, documenti che aumentavano.

“Mamma, come va con il lavoro?” chiedeva spesso Luca. “Non è troppo faticoso?”

“Me la cavo, figliolo. Anche se, a dir la verità, non è facile.”

Maria Luisa era davvero stanca. Prima gestiva da sola la contabilità di una piccola azienda, ora i documenti erano aumentati a dismisura. Doveva restare fino a tardi, portare il lavoro a casa.

“Potremmo assumere un altro contabile?” proponeva Luca.

“Perché spendere soldi inutili?” obiettava Ginevra. “Maria Luisa è esperta, ce la farà. Ha solo bisogno di tempo per adattarsi.”

Intanto Ginevra cominciava a criticare il suo lavoro. Ritardi nella consegna dei rapporti, errori nei calcoli, documenti non conformi alle nuove normative.

“Maria Luisa, deve stare più attenta” diceva. “La reputazione dell’azienda dipende dal nostro lavoro.”

“Scusami, Ginevra. Farò più attenzione.”

Maria Luisa ci provava davvero. Ricontrollava ogni cifra, lavorava fino a notte. Ma qualche errore sfuggiva comunque. L’età si faceva sentire.

“Luca, abbiamo bisogno di parlare” aveva detto Ginevra al marito quando credeva Maria Luisa non sentisse.

“Di cosa?”

“Di tua madre. Non riesce a gestire il carico di lavoro. Errori continui, ritardi. Sta compromettendo tutto.”

“Ginevra, non esagerare. Mamma lavora con dedizione.”

“Con dedizione, ma senza efficienza. Luca, è un’azienda, non un affare di famiglia. Non possiamo permetterci dipendenti inefficienti, anche se sono parenti.”

Maria Luisa aveva sentito e sentiva gelarsi il sangue. Dipendente inefficiente. Così la chiamava ora la nuora che aveva amato come una figlia.

“Mamma, come va in ufficio?” le aveva chiesto Luca il giorno dopo.

“Bene, figliolo. Perché?”

“Così, mi interessava. Se hai bisogno di aiuto, dimmelo.”

Maria Luisa aveva annuito, ma non aveva chiesto aiuto. Capiva che Ginevra aveva ragione. Il lavoro era troppo, e lei non ce la faceva più.

Dall’agenzia delle entrate arrivavano richiami. Ginevra sottolineava che erano tutti per errori contabili.

“Maria Luisa, ci hanno multato” le aveva annunciato una mattina. “Hai sbagliato ancora i calcoli delle tasse.”

“Ma li ho controllati più volte…”

“Non abbastanza bene. È la terza multa questo mese.”

Luca era sempre più cupo quando guardava i rapporti. E Ginevra ormai non nascondeva più il suo malcontento.

“Luca, stiamo perdendo soldi” diceva. “Multe, sanzioni, clienti insoddisfatti per i ritardi. Non può continuare così.”

“Cosa suggerisci?”

“Assumere un contabile professionista. Giovane, dinamico, che conosca le nuove normative.”

“E mamma?”

“Mamma può occuparsi della casa. Alla sua età è normale.”

Maria Luisa era seduta nel suo ufficio e pensava a come era cambiata la vita. Prima si sentiva utile, importante. L’azienda era stata la sua creatura tanto quanto di Luca. Ora era solo un peso.

“Mamma, posso entrare?” Luca era sulla soglia con un’espressione colpevole.

“Certo, figliolo. Siediti.”

Si era seduto di fronte a lei e aveva taciuto a lungo.

“Mamma, dobbiamo parlare.”

“Ti ascolto.”

“Vedi, la situazione è complicata. L’azienda cresce, le regole sono più severe. Forse dovresti pensare a… a prenderti una pausa?”

Maria Luisa aveva sorriso tristemente.

“Vuoi dire licenziarmi?”

“Non licenziarti, solo… fermarti un po’. Hai lavorato tanto, ti meriti di riposare.”

“Luca, parlami chiaro. Ginevra pensa che non sia più capace.”

Il figlio aveva abbassato lo sguardo.

“Mamma, non è colpa di Ginevra. La contabilità richiede professionalità. E tu… sai com’è…”

“Lo so. Sono vecchia e incompetente.”

“No! Non è vero. Solo che tutto cambia troppo in fretta oggi, anche i giovani faticano a stare al passo.”

Maria Luisa si era alzata e si era affacciata alla finestra. Sotto di lei la vita scorreMaria Luisa guardò per l’ultima volta la foto appesa alla parete, quella della festa di Natale quando l’azienda era ancora piccola, e capì che a volte l’amore più grande è lasciare andare.

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