Non aprire mai

Nina Romano stava alla finestra, con la mano appoggiata al vetro, mentre guardava il custode Gianni spazzare via le ultime foglie gialle. Ottobre era stato piovoso, e anche dentro di lei c’era la stessa grigia umidità.

“Mamma, di nuovo alla finestra?” entrò nella stanza Beatrice, la figlia, ormai quasi quarantenne. “Vuoi un caffè?”

“Sì, grazie,” rispose Nina senza voltarsi. “Bea, hai sentito quel rumore nel ripostiglio? Ieri sera l’ho sentito, e stamattina di nuovo.”

Beatrice aggrottò le sopracciglia, mise la moka sul fuoco.

“Sarà un topo. O le tubature vecchie. Mamma, non ti fissare, questo palazzo è degli anni Sessanta, ogni tanto scricchiola tutto.”

“No, non è un topo. I topi fanno un altro rumore, questo è un bussare. Come se qualcuno fosse dentro.” Nina si voltò verso di lei. “Dai, andiamo a controllare?”

“Mamma, ieri l’abbiamo già guardato! Ci sono le nostre cose vecchie, gli attrezzi di papà, i barattoli di sottaceti. Nient’altro. Sei ancora nervosa dopo l’ospedale.”

Nina sospirò profondo. Un mese prima l’avevano ricoverata per il cuore, e ora Bea le stava addosso come una chioccia, terrorizzata a lasciarla sola. Si era trasferita da lei, aveva preso ferie dal lavoro. E Nina si sentiva un peso.

“Bea, torna a casa tua. Sto bene, davvero. E poi, Marco ti aspetta.”

“Marco può aspettare. Ma se ti succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai.” Bea versò l’acqua bollente nella moka, le portò la tazzina. “Bevi, è caldo.”

Si sedettero in cucina, e di nuovo arrivò quel bussare. Distinto, ritmico: uno, due, tre, pausa, e ancora uno, due, tre.

“Lo senti?” Nina afferrò la manica della figlia. “Ecco, ha ricominciato.”

Bea si concentrò, ascoltò. Il rumore si ripeté.

“Andiamo a vedere,” disse decisa, alzandosi.

Il ripostiglio era uno stanzino buio dietro la cucina, pieno di cianfrusaglie. Bea accese la luce, si guardò intorno. Scaffali con barattoli, scatoloni, la cassetta degli attrezzi di papà. Tutto al suo posto.

“Vedi? Non c’è nessuno,” disse alla madre.

“E quello cos’è?” Nina indicò uno scaffale in fondo, dove c’era una scatolina mai vista prima.

Bea si avvicinò. Era antica, di legno scuro, con angoli di ottone. Sul coperchio c’erano incisioni che sembravano scritte sconosciute.

“Da dove viene?” si stupì Bea. “Non la ricordo.”

“Neanch’io. Strano…” Nina allungò la mano, ma Bea la fermò.

“Non toccarla. Magari l’hanno messa lì i vicini, o l’amministratore. Chiediamo a Gianni, lui sa tutto del palazzo.”

Uscirono dal ripostiglio, ma Nina continuava a voltarsi. Qualcosa la turbava. E il bussare era cessato non appena erano entrate.

Quella sera Bea chiamò il marito.

“Marco, come va? Resterò ancora un paio di giorni, la mamma è agitata. Dice che nel ripostiglio qualcuno bussa. Abbiamo trovato una scatolina strana.”

“Portala da un dottore?” propose lui. “Dopo un infarto a volte si sentono cose, allucinazioni.”

“Non sono allucinazioni. Il rumore l’ho sentito anche io. E la scatolina esiste, l’ho vista. Domani chiedo a Gianni.”

“Bea… non l’avete aperta, vero?”

“No, la mamma ha detto di non toccarla. E poi fa paura. Bella, ma inquietante.”

“Fate bene. Chissà cosa c’è dentro…”

Al mattino, Nina si svegliò per il bussare. Più forte, più insistente. Come se pretendesse attenzione. Si infilò la vestaglia, andò in cucina. Bea dormiva ancora sul divano in salotto.

Il rumore cresceva. Nina si avvicinò alla porta del ripostiglio, appoggiò l’orecchio. Veniva da lì, dallo scaffale in fondo.

“Chi c’è?” bisbigliò.

Il bussare si fermò. Silenzio. Poi un colpo solo, fortissimo.

Nina sobbalzò, il cuore le batteva all’impazzata. Corse a svegliare la figlia.

“Bea! Svelta, svegliati!”

“Cosa c’è, mamma?” Bea balzò su, spaventata.

“Lì… nel ripostiglio… mi ha risposto!”

“Cosa?”

“Ho chiesto chi c’era, e ha bussato una volta. Come se rispondesse!”

Bea si strofinò gli occhi, guardò l’orologio. Le sei e mezzo.

“Mamma, sei sicura?”

“Assolutamente. Bea, chiamiamo qualcuno. Un idraulico, o forse… un prete.”

“Un prete?” Bea la fissò. “Mamma, non sei mai stata religiosa.”

“Ora comincio a crederci. C’è qualcosa in questo mondo che non capiamo.”

Dopo colazione scesero in cortile a cercare Gianni. Il vecchio custode spazzava davanti al portone, fischiettando.

“Gianni,” lo chiamò Bea. “Un momento?”

“Certo, signorina Beatrice. Che succede?”

“Sai niente di una scatolina nel nostro ripostiglio? L’abbiamo trovata ieri, ma non sappiamo da dove viene.”

Gianni smise di spazzare, le guardò serio.

“Una scatolina? Quale?”

“Antica, di legno, con dei simboli,” spiegò Nina.

Il volto del custode si fece pallido. Appoggiò la scopa.

“Oh, questo non è un buon segno… Non è un buon segno. Non l’avete aperta?”

“No,” disse Bea. “La conosci?”

“La conosco. Era di Maria Teresa, quella del quarto piano. La ricordate?”

Nina annuì. Maria Teresa era morta tre anni prima, una zitella che aveva vissuto sola, una tipa strana che tutti temevano.

“Ebbene,” continuò Gianni, “quando stava per morire, mi disse: non dare la scatola a nessuno, non aprirla e seppelliscila. Disse che dentro c’era qualcosa che non doveva uscire.”

“E tu cosa hai fatto?” chiese Bea.

“Cosa potevo fare? L’ho portata al cimitero, l’ho seppellita vicino alla sua tomba. Profondo, con una pietra sopra. Ma evidentemente è tornata indietro…”

Le due donne si scambiarono un’occhiata.

“Gianni, ma che sciocchezze,” sbuffò Bea. “Le scatole non camminano da sole.”

“Non so come sia finita da voi,” scosse la testa il vecchio. “Ma se Maria Teresa diceva la verità, guai ad aprirla. Mi raccontò che da giovane faceva sedute spiritiche, chiamava i morti. Poi qualcosa andò storto. Qualcosa di malvagio entrò in casa sua. Lo rinchiuse in quella scatola, con serrature speciali. Disse che se qualcuno l’avesse aperta, avrebbe liberato qualcosa che doveva restare prigioniero.”

“Sono superstizioni,” disse Bea, ma la voce le tremava.

“Forse. Ma non apritela. Capito? Non fatelo mai.”

Tornate su, le due donne guardarono la scatola nel ripostiglio. Era al suo posto, ma a Nina sembrò spostata. O era un’ombra?

“Bea, e se la buttassimoNina allungò la mano verso il lucchetto, il cuore le batteva forte, ma prima che potesse girarlo, la scatolina si aprì da sola, rivelando solo un vecchio specchio rotto che riflesse per un istante un paio di occhi scuri e affamati prima di sbriciolarsi in polvere.

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