**1 Settembre**
Mi sono svegliato alle cinque, come sempre. Non importa che sia in pensione da tre anni: l’abitudine di quarant’anni di lavoro in fabbrica non la perdi tanto facilmente. Ho acceso il bollitore piano, per non svegliare mia moglie, Carlotta, e ho guardato fuori dalla finestra. Era ancora buio, ma sapevo che l’alba non avrebbe tardato.
Oggi era un giorno speciale. Oggi è il primo giorno di scuola della mia nipotina, Beatrice, che inizia la prima elementare. Ero più nervoso io che lei. Per una settimana intera ho controllato il suo grembiule, il suo zaino, contato i quaderni. Carlotta scuoteva la testa e diceva che stavo impazzendo.
— Ma cosa ti prende? — borbottava lei. — Nostro figlio è andato a scuola da solo, ed è sopravvissuto.
— Io voglio essere il primo — rispondevo. — Il primo ad aspettarla davanti alla scuola, il primo a farle gli auguri.
Carlotta non capiva. Per lei era solo un capriccio, ma io sapevo bene perché lo facevo. Ricordavo ancora quando, trent’anni fa, avevo accompagnato nostro figlio, Matteo, al suo primo giorno di scuola. Allora lavoravo due turni al giorno e tornavo a casa a notte fonda. Fu sua nonna, la madre di Carlotta, ad accompagnarlo. Io ero rimasto fuori dal cancello della fabbrica, con le lacrime agli occhi.
— Non piangere — mi aveva detto la vicina, Teresa. — Quando tuo figlio sarà grande e avrà dei nipoti, potrai rifarti.
Ecco, adesso era quel momento.
Il caffè era pronto, forte e profumato. L’ho versato nella mia tazza preferita, quella con i fiorellini, e mi sono seduto. Sul davanzale c’erano tre mazzolini di fiori: uno l’avevo comprato al mercato, un altro l’avevo raccolto nel giardino e il terzo me l’aveva portato Carlotta la sera prima. Aveva fatto la timida, dicendo che erano sciocchezze, ma li aveva portati comunque.
— Tre mazzi sono troppi — le avevo detto.
— E se la maestra non fosse sola? — aveva risposto lei. — Non si sa mai.
Alle sette ero già sotto la doccia. Mi sono vestito con la mia camicia migliore, quella azzurra a quadri bianchi, che tengo per le occasioni speciali. Mi sono pettinato e ho messo un po’ di colonia. Nello specchio mi guardava un uomo elegante, con gli occhi pieni di attesa.
— Ma dove vai, a un appuntamento? — si era svegliata Carlotta.
— Voglio essere presentabile per la nipotina — ho risposto.
— Sei sempre presentabile — ha borbottato lei nel cuscino.
Alle sette e mezza ha chiamato Matteo.
— Papà, stiamo partendo. Bea è nervosa, non ha dormito tutta la notte.
— Io non ho chiuso occhio — gli ho confessato. — Vado a scuola, la aspetto lì.
— Papà, la cerimonia è alle nove.
— So. Ma voglio essere il primo.
Matteo ha sospirato. Ormai era abituato alle mie stranezze. Da quando era nata Beatrice, ero ringiovanito di dieci anni: l’accompagnavo all’asilo, la portavo sulle giostre, acquistavo ogni giocattolo che vedevo. Matteo e sua moglie ridacchiavano sempre.
— Va bene, papà. Non prenderti freddo, fuori è fresco.
Ho preso i mazzi di fiori, messo in tasca le caramelle per Bea e sono uscito. La scuola era a quindici minuti, ma non avevo fretta. Volevo godermi il mattino, l’attesa.
Davanti al portone c’era già un’altra persona con un mazzo di fiori. Mi sono rattristato: non ero il primo. Ma avvicinandomi, ho riconosciuto la mia vicina di casa, la signora Maria.
— Anche lei per la cerimonia? — le ho chiesto.
— Il nipotino inizia la prima — ha annuito. — E tu?
— La nipotina. Beatrice.
Ci siamo messi a parlare dei nipoti, della scuola, di quanto il tempo corra veloce. Maria era stata un’infermiera, ora in pensione.
— Sa — mi ha confidato —, ho sempre sognato di accompagnare un nipote a scuola. Mia figlia si è sposata tardi, credevo di non fare in tempo a diventare nonna.
— Io invece — ho risposto — non ho potuto accompagnare mio figlio. Lavoravo troppo. Ora mi rifaccio.
Poco a poco, la scuola si è riempita di nonni eleganti, con i fiori in mano. Li guardavo e pensavo che tutti avevano una storia diversa, un motivo per essere lì.
È arrivata anche la signora Lucia, che vive nel palazzo accanto. Cresceva la nipote da sola, dopo che sua figlia era morta in un incidente. La bambina, Sofia, era timida e insicura. Lucia temeva che la scuola sarebbe stata dura per lei.
— Come sta Sofia? — le ho chiesto.
— È preoccupata — ha risposto. — Dice che gli altri rideranno del suo vestito. Ma è un vestito bellissimo, l’ho cucito io.
— I bambini sono buoni, non saranno cattivi — l’ha consolata Maria. — L’importante è che Sofia si senta sicura.
È arrivato anche un nonno con un enorme mazzo di gladioli. Non lo conoscevo, ma si è presentato: si chiamava Giovanni, e la nipote, Viola, era adottata.
— È una bambina intelligente — diceva orgoglioso. — Sa già leggere e contare fino a cento. Però è timida.
— Si abituerà — ho detto. — I bambini fanno amicizia in fretta.
Verso le nove sono arrivati i genitori con i bambini. Ho visto Matteo con sua moglie e Beatrice. La piccola aveva il grembiule bianco, la gonna blu e i fiocchi tra i capelli. Lo zaino nuovo, con un disegno colorato.
— Nonno! — ha gridato Bea, correndomi incontro.
— Bellissima! — l’ho abbracciata. — Come va? Sei emozionata?
— Un po’. Perché sei venuto così presto?
— Volevo essere il primo a vederti — le ho sorriso.
Bea mi ha stretto la mano. Era sempre più legata a me che ai suoi genitori, che lavoravano tanto. Io la viziavo, le leggevo le favole, le insegnavo a fare i biscotti.
— Grazie, papà — ha detto Matteo. — Bea era agitata, ma ora è più tranquilla.
Anche sua moglie, Elena, mi ha ringraziato. Lavorava in banca e spesso tornava tardi, così io mi occupavo di Bea.
— Nonno, guarda che zaino bello! — mi ha mostrato la nipotina.
— Magnifico! Cosa c’è dentro?
— Quaderni, penne, colori. E la mamma ci ha messo anche i biscotti.
Ho tirato fuori le caramelle e gliele ho sussurrate in mano.
— Questo è per farti coraggio.
— Papà, non viziarla — ha detto Elena, ma Matteo l’ha fermata.
— Lascia stare, oggi è un giorno speciale.
Nel cortile c’era molta gente. I bambini si radunavano, i maestri controllavano i fogli. Ho visto la maestra, una ragazza giovane, la signora Francesca, che sembrava nervosa. Era il suo primo anno d’insegnamento.
— Guarda com’è giovane — ha bisbigliato Maria.
— Sì — ho annuito. — Ma è brava. L’ho conosciuta alla riunione.
La cerimonia è iniziata. Il preside ha fatto un discorso, i bambini più grandi hanno recitato una poesia. I piccoli ascoltavano a bocca aperta, emozionati.
Io non staccMentre Bea entrava in classe sorridendomi, ho capito che ogni attesa, ogni mattina presto, ogni giorno trascorso insieme era un regalo che la vita mi stava restituendo.






