Non aprire mai

Nina Petrovna era diventata Nina Lombardi, una vedova pallida con gli occhi carichi di ombre. Si appoggiava al davanzale di Palazzo Neri, nel cuore di Roma, fissando il giardiniere, il vecchio Marcello, che spazzava via le ultime foglie dorate di ottobre. La pioggia incessante batteva sui sampietrini, e il suo cuore sembrava fatto della stessa grigia malinconia.

«Mamma, di nuovo alla finestra?» entrò Ginevra, sua figlia, una donna di quasi quarant’anni con i capelli nerissimi legati in una coda stanca. «Vuoi un caffè?»

«Sì, grazie» rispose Nina, senza voltarsi. «Ginevra… hai sentito quel rumore nella dispensa? Ieri sera e anche stamattina.»

Ginevra corrugò la fronte, posò la moka sul fuoco.

«Sarà un topo. O le tubature, questo palazzo è antico come il Colosseo. Tutto scricchiola.»

«No, non è un topo. I topi zampettano, questo è un *bussare*. Come se qualcuno… volesse uscire.» Si voltò di scatto. «Dai, andiamo a controllare.»

«Mamma, ieri abbiamo già guardato! Ci sono solo le conserve, gli attrezzi di papà, la roba vecchia. È lo stress dopo l’ospedale.»

Nina respirò a fondo. Il mese prima, un infarto. Ora Ginevra le ronzava come un’ape, si era trasferita da lei lasciando il marito, aveva preso permesso al lavoro. E Nina si sentiva un peso.

«Tornatene a casa tua, sto bene. E poi, Roberto si annoia.»

«Roberto sopravviverà. Se ti succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai.» Versò l’acqua bollente nella tazzina. «Bevi, prima che si freddi.»

Si sedettero. Ecco, di nuovo. *Bussare*. Uno, due, tre. Pausa. Uno, due, tre.

«Lo senti?» Nina le afferrò il polso. «Ecco, ricomincia.»

Ginevra si irrigidì. Il rumore si ripeté.

«Andiamo.»

La dispensa era un antro stretto dietro la cucina, zeppo di scatole e bottiglie polverose. Ginevra accese la luce.

«Vedi? Niente.»

«E quello cos’è?» Nina indicò una scatoletta di legno scuro con borchie di ottone, posata su uno scaffale.

Ginevra si avvicinò. Non l’aveva mai vista. Sul coperchio, incisioni che sembravano rune antiche.

«Da dove viene?»

«Non lo so. Strano…» Nina allungò la mano, ma Ginevra la bloccò.

«Non toccarla. Magari l’hanno lasciata i vicini. Chiediamo a Marcello.»

Uscirono, ma Nina non smise di guardarsi alle spalle. Il bussare era cessato, proprio come ieri.

Quella sera, Ginevra chiamò il marito.

«Roberto, qui è un delirio. Mamma dice che c’è qualcosa nella dispensa. Abbiamo trovato una scatola strana.»

«Sarà un effetto del post-infarto» disse lui. «A volte la mente gioca brutti scherzi.»

«Non sono scherzi. L’ho sentito anch’io. E la scatola c’è davvero.»

«Non l’avete aperta, vero?»

«No. Mamma non vuole. È… inquietante.»

«Fate bene. Non si sa mai.»

La mattina, Nina si svegliò di soprassalto. *Bussare*. Più forte, più insistente. Afferrò la vestaglia, scivolò in cucina. Ginevra russava ancora.

Il rumore aumentò. Nina avvicinò l’orecchio alla porta della dispensa.

«Chi c’è?» sussurrò.

Silenzio. Poi… *BAM*. Un colpo secco.

Nina sobbalzò. Il cuore le martellava. Corse a svegliare Ginevra.

«È qui! Mi ha risposto!»

Dopo colazione, trovarono Marcello nel cortile.

«Avete messo una scatola nella nostra dispensa?»

«Scatola?» Il vecchio impallidì. «Dite quella di legno, con le scritte?»

«Sì! La conoscete?»

Marcello si segnò. «Era della signora Maria delle Rose, al quarto piano. Tre anni fa, morendo, mi disse di seppellirla. Disse che dentro c’era qualcosa… che non doveva uscire.»

«E voi?»

«L’ho portata al cimitero. L’ho sotterrata accanto a lei. Profondo. Ma ora è tornata.»

Ginevra rise nervosa. «Le scatole non camminano!»

«Questa sì. La signora Maria parlava con i morti. Poi qualcosa andò storto. Rinchiuse quella *cosa* nella scatola. Se l’aprite…»

Tornate a casa, la scatola era sparita.

«Impossibile!» Ginevra frugò ovunque.

Ma la scatola riapparve. Sul comodino. Sul tavolo. Ovunque. Finché una notte…

«Mamma, basta. Chiamiamo un prete.»

Don Filippo ascoltò, grave.

«Non dovete aprirla. Ma neanche tenerla. Va distrutta. Bruciata.»

Marcello accese un falò nel cortile. Nina tratteneva la scatola. *Era calda*.

«Fate presto» supplicò.

La gettò tra le fiamme. Un urlo. Un sibilo che gelò il sangue. Don Filippo pregava.

Alla fine, solo cenere.

Quella notte, per la prima volta, silenzio.

«Torno da Roberto» disse Ginevra il mattino dopo.

«Grazie, cara.»

«E niente più scatole misteriose, eh?»

Nina promise.

Ma un mese dopo, nella cantina, trovò una piccola scatolina d’ebano. Sul coperchio, una scritta:

*Non aprirmi.*

Era leggera. Dentro, qualcosa rotolò.

Nina la osservò a lungo. Poi sorrise.

«Vediamo un po’…»

E girò la chiavetta.

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