Sono arrivati mentre dormivamo

Erano venuti mentre dormivamo.

Valentina si svegliò per un suono che non riuscì subito a identificare. Uno scricchiolio silenzioso del parquet nel corridoio, come se qualcuno si muovesse in punta di piedi. Tese l’orecchio, il cuore le batteva più forte. Accanto a lei, il marito, Nicola, russava placidamente, senza scomporsi.

— Nico… — sussurrò, dandogli una leggera spinta. — Nico, senti?

— Mmm? Cosa c’è? — borbottò lui, senza aprire gli occhi.

— C’è qualcuno in casa.

Nicola sbarrò un occhio, guardò le cifre luminose della sveglia.

— Valentina, sono le due e mezza di notte. Ti sei sognata.

— Non è un sogno! Ho sentito dei passi!

Lui sospirò, ma ascoltò. E infatti, da qualche parte nell’appartamento, si udivano rumori appena percettibili. Scricchiolii, fruscii, un lieve ticchettio.

— Sarà il gatto — cercò di rassicurarla. — Fuffi è sempre in giro di notte.

— Quale gatto, Nico? Fuffi è morto tre anni fa, te lo sei scordato?

Nicola si svegliò del tutto. I suoni si facevano più distinti. Qualcuno si muoveva sicuro per casa, come se conoscesse alla perfezione ogni mobile.

— Forse è Sofia? — ipotizzò Valentina. — Ha le chiavi.

— A quest’ora? Ma dormirà, domani ha lavoro.

La figlia viveva da sola, nel quartiere vicino, e ogni tanto passava dai genitori, soprattutto dopo un litigio col fidanzato. Però di solito avvisava.

I rumori si avvicinavano alla camera. Valentina strinse la mano del marito.

— Nico… e se fossero ladri?

— Zitta — lui si alzò piano, cercò le pantofole. — Vado a vedere.

— Non andare! E se hanno un coltello?

— Valentina, quali ladri? Abbiamo il portiere notte e giorno, citofono, serratura blindata. E poi, qui non c’è nulla da rubare.

Si avvicinò alla porta, poggiò l’orecchio al legno. Dall’altro lato, una voce femminile canticchiava una melodia. Conosciuta.

— Valentina — la chiamò a bassa voce. — Vieni qui.

Lei corse a piedi nudi, ascoltò.

— È la… è la ninna nanna della mamma — sussurrò Valentina, con la voce che le tremava. — Quella che mi cantava da piccola.

Nicola aggrottò la fronte. La suocera era morta dieci anni prima, ma ricordava bene quel motivetto senza parole che lei fischiettava mentre faceva le faccende.

— Non è possibile.

— Nico… e se fosse un fantasma? — Valentina gli afferrò la manica del pigiama. — Se fosse mamma venuta a trovarci?

— Valentina, non dire sciocchezze. I fantasmi non esistono.

Ma anche lui sentì un brivido lungo la schiena. La melodia si faceva più chiara, e si aggiunse un altro rumore: un tintinnio, come di stoviglie spostate in cucina.

— Proprio come faceva lei — sussurrò Valentina. — Ti ricordi quando non riusciva a dormire e andava in cucina? Accendeva il bollitore, preparava le tazze…

Nicola lo ricordava. Anna soffriva d’insonnia, soprattutto negli ultimi anni. Capitava che si alzasse alle tre di notte per pulire o cucinare, canticchiando sempre quella canzone.

— Ho paura — confessò Valentina.

— Dai. Andiamo a vedere.

Girò la maniglia con decisione, sbirciò nel corridoio. Silenzio. Solo un lieve bagliore proveniva dalla cucina, come se la luce del piano cottura fosse accesa.

Si avviarono lentamente, tenendosi per mano. Sulla soglia, Nicola si fermò e guardò dentro.

La cucina era vuota. Sul tavolo, due tazze, accanto i cucchiaini e la zuccheriera. Il bollitore borbottava sul fuoco, il vapore usciva dal beccuccio.

— Ma io non l’ho acceso stanotte — disse Valentina confusa. — Sicuro.

— Neanche io.

Rimasero sulla porta, incerti. Il bollitore ebollì e si spense. Nella quiete improvvisa, solo il loro respiro affannoso.

— Forse abbiamo sonnambulismo? — suggerì Nicola. — Ci siamo alzati e abbiamo preparato tutto?

— In due? Insieme? Ma non è possibile.

Valentina entrò, toccò una tazza. Era calda. Qualcuno l’aveva presa poco prima.

— Guarda — indicò il davanzale. — Il geranio è fiorito.

Nel vaso, una pianta rinsecchita da oltre un anno, che Valentina aveva deciso di buttare. Ma ora, fiori rosa vivaci la decoravano, freschi e rigogliosi.

— Mamma adorava i gerani — sussurrò. — Diceva che portano pace alla casa.

— Valentina, forse dovremmo andare da un dottore — propose lui, cauto. — Queste cose non succedono.

— Quali cose? Vedi anche tu: il bollitore, le tazze, i fiori. Non sono apparsi dal nulla.

Si sedette, fissò pensosa il tè preparato.

— Sai, mamma diceva sempre che sarebbe tornata, dopo morta, per controllarci. Te lo ricordi? Scherzava: «Vi apparirò di notte, vedrò se state bene».

— Sì. Ma erano battute, Valentina.

— E se non lo fossero?

Nicola le prese la mano.

— Anche se fosse, perché temerla? Era tua madre. Ci voleva bene.

Lei annuì, un po’ più tranquilla.

— Sì. E si preoccupava sempre, voleva sapere se ci mancava qualcosa.

Rimasero in silenzio, guardando la tavola apparecchiata. La paura si dissolse, sostituita da una strana calma. Come se qualcuno li osservasse con affetto.

— Ti ricordi quando si arrabbiò per la nostra lite sulla casa al mare? — riprese Valentina. — Ci supplicò di far pace.

— E non ci parlò per tre giorni, finché non ci abbracciammo davanti a lei.

— E quanto fu felice quando Sofia annunciò il fidanzamento. Le cucì il vestito da sposa, perle incluse.

— Era bellissimo.

I ricordi erano dolci. Anna era una donna straordinaria: saggia, paziente, sempre pronta ad aiutare. Dopo la sua morte, in casa era mancato qualcosa di essenziale.

— Facciamo questo tè — propose Valentina. — Se qualcuno l’ha preparato per noi…

— Facciamolo.

Versarono l’acqua bollente, aggiunsero zucchero. Aroma di menta, proprio come faceva Anna.

— La metteva sempre — disse Valentina. — Diceva che calmava i nervi e conciliava il sonno.

— Sì.

Bevvero in silenzio, ognuno perso nei pensieri. Fuori, l’alba si avvicinava, la cucina si faceva più accogliente.

— Credo che sia davvero venuta — disse infine Valentina. — Per vedere come stiamo.

— Forse — concordò lui. — O forse ci manca tanto.

— Tanto.

Si avvicinò alla finestra, sfiorò i fiori.

— Che belli. Come se qualcuno li avesse curati.

— Chiamiamo Sofia domani? — propose Nicola. — È tanto che non viene.

— Sì. E preparo il minestrone della mamma, con la sua ricetta. Sofia lo adorava.

— E la crostata. Quella alle mele.

— Tiriamo fuE quella notte, mentre dormivano abbracciati, il profumo della pianta di geranio si diffuse per tutta la casa, portando con sé un ultimo, dolce sussurro d’amore che nessuno udì, ma che tutti sentirono nel cuore.

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