**Diario di Matteo**
Fin dal primo momento, Matteo odiò zio Gabriele. Non solo non gli era simpatico, ma proprio lo detestava.
Quella sera, la mamma, nervosa, si torceva le mani mentre diceva al figlio di otto anni:
— Matteo, ti presento zio Gabriele. Lavoriamo insieme e ora abbiamo deciso di vivere insieme.
Matteo aggrottò le sopracciglia, confuso. Cosa significava? Che quell’estraneo sarebbe rimasto a vivere con loro?
— E papà? — sbottò, guardando male la mamma e lanciando un’occhiata a zio Gabriele, immobile sulla porta.
— Matteo, non cominciare! — La voce della mamma si fece più tesa, persino agitata.
— Papà tornerà! Tornerà di sicuro! Non abbiamo bisogno di te! — urlò Matteo allo sconosciuto, con le lacrime che gli rigavano il viso. Poi corse in camera sua e si buttò sul letto.
— Matteo, tesoro. Quante volte te l’ho detto? Tuo padre ci ha lasciati. Ha abbandonato me e te. Non tornerà più. Mai. — La mamma si sedette accanto a lui, accarezzandogli i capelli e le spalle, parlando con dolcezza. Ma Matteo rimase voltato verso il muro, rifiutandosi di ascoltare.
Non le credeva. Papà prima spariva per settimane con il suo camion, ma tornava sempre. Allegro, con regali per lui e la mamma. Appena varcava il cancello, gridava: “Ehi! Guarda chi è tornato!” e Matteo si lanciava tra le sue braccia, felice: “Papà! Papà! Che mi hai portato?”
Ma l’ultima volta che era partito, aveva parlato a lungo con la mamma in cucina. Lei singhiozzava, lui diceva: “Maria, basta scene, lo sapevi che avevo un’altra famiglia. Devo pensarci.” Matteo aveva solo sei anni, non capiva perché la mamma piangesse. Papà parlava di loro, della loro famiglia, no? Non poteva esisterne un’altra.
Si addormentò, ma al risveglio, papà non c’era più. “Quando torna?” chiese alla mamma, che quel mattino era stranamente silenziosa. Non volle crederle quando gli spiegò che papà non sarebbe tornato. Che aveva un’altra moglie, altri figli. Che non li voleva più.
Matteo si arrabbiò tantissimo con lei. Urlò, piangeva, diceva che mentiva, che papà lo amava e sarebbe tornato. Aveva aspettato tanto, invano. E adesso, ecco zio Gabriele.
La mamma uscì. Matteo sentì zio Gabriele dire in cucina:
— Maria, avremmo dovuto prepararlo.
— Non importa. Si abituerà. Andrà tutto bene. — rispose lei, secca.
A colazione, zio Gabriele era seduto con loro. Lodava la frittata fatta col lardo come fosse un piatto straordinario. La mamma sorrideva, versandogli il tè caldo.
— Matteo, vuoi che ti accompagni a scuola? Ti faccio guidare un po’ la macchina. — propose zio Gabriele.
— Ci vado da solo. — borbottò Matteo.
Anche papà lo faceva sedere al volante del suo camion, spento, e gli piaceva girare il volante, toccare leve e pulsanti, immaginando di viInfine, mentre zio Gabriele lo stringeva forte dopo averlo salvato dal fiume, Matteo capì che non era più solo e sussurrò: “Grazie, papà”.






