— Non toccare la mia bambola! — strillò Beatrice, strappando dalle mani della sorella maggiore la porcellana dai riccioli dorati. — Mamma! Alessia ruba i miei giocattoli!
— Ma smettila, piccola avara! — borbottò l’ottantenne Alessia, lasciando comunque la bambola. — Come se fossi l’ultima principessa di casa Savoia!
— Ragazze, che baccano fin dal mattino! — Elena uscì dalla cucina asciugandosi le mani nel grembiule. — Alessia, lascia in pace tua sorella. Hai già i tuoi giochi.
— Sono tutti vecchi, mentre i suoi sono nuovi! — sbuffò Alessia. — È ingiusto!
— Perché sono la più piccola — rispose Beatrice soddisfatta, stringendo la bambola. — Lo dice anche la mamma.
Alessia serrò i denti tacendo. Già, mamma diceva così. E anche la nonna. E zia Lidia. Tutti ripetevano: “Beatrice è piccola, bisogna assecondarla”, “Beatrice è delicata, va protetta”, “Beatrice è così carina”.
E Alessia? Alessia era grande, forte, doveva capire. Sempre capire e cedere.
— Venite a colazione — sospirò la madre. — Chiama tua sorella.
A scuola, Alessia cercava di dimenticare le
Quando Sofia batté le manine gridando “Basta brontolare, ziette!” le due donne scoppiarono a ridere, e in quello scroscio di risate liberatorie ogni rimasto rancore si sciolse come neve al sole romano.






