“Non è mio figlio” disse il miliardario, voce di ghiaccio nel vestibolo di marmo. “Prendi le tue cose e vattene. Entrambi.” Indicò la porta. La moglie strinse al petto il neonato, occhi velati di pianto. Se solo avesse saputo…
Fuori, una bufera specchio della tempesta in casa. Eleonora rimase immobile, nocche bianche mentre schiacciava il piccolo Oliviero al suo cuore. Il marito, Gregorio Biancomore, magnate e capo della famiglia, la fissava con un furore mai visto in dieci anni di matrimonio.
“Gregorio, ti prego,” sussurrò Eleonora, voce tremula. “Non sai cosa dici.”
“So perfettamente cosa dico,” sparò lui. “Quel bambino… non è mio. Ho fatto il test del DNA la settimana scorsa. Risultati chiari.”
L’accusa fece più male di uno schiaffo. A Eleonora cedettero quasi le ginocchia.
“Hai fatto un test… senza dirmelo?”
“Dovevo. Non mi somiglia. Non ha nulla di mio. E non potevo più ignorare le chiacchiere.”
“Chiacchiere? Gregorio, è un neonato! È tuo figlio! Te lo giuro su tutto.”
Ma Gregorio aveva già deciso.
“Le tue cose saranno mandate a casa di tuo padre. Non tornare qui. Mai.”
Eleonora restò immobile un istante, sperando fosse un altro dei suoi capricci, passato per l’indomani. Ma il gelo nella sua voce non lasciò dubbi. Si voltò e uscì, tacchi risuonanti sul marmo mentre i tuoni scuotevano la villa.
Cresciuta con poco, Eleonora era entrata nel privilegio sposando Gregorio. Elegante, riservata, acuta – tutto ciò che i giornali celebravano e la società invidiava. Ora, ogni cosa svanita.
Mentre la limousine li portava, lei e Oliviero, verso la cascina paterna in Puglia, la sua mente rincorreva ombre. Era stata fedele. Aveva amato Gregorio, sostenuto lui quando i mercati crollavano, quando la stampa lo demoliva, perfino davanti al rifiuto di sua madre. Ora, cacciata come un’estranea.
Suo padre, Martino Claremont, aprì la porta, occhi sgranati per la sorpresa.
“Eleonora? Che è successo?”
Sprofondò tra le sue braccia. “Dice che Oliviero non è suo… Ci ha cacciati.”
La mascella di Martino si serrò. “Entra, figlia mia.”
Nei giorni seguenti, Eleonora navigò la nuova realtà. La casa piccola, la sua stanza quasi immutata. Oliviero, ignaro, balbettava e giocava, regalandole barlumi di pace tra i tormenti.
Ma un tarlo la rodiva: il test del DNA. Come poteva essere sbagliato?
Disperata, raggiunse il laboratorio dove Gregorio aveva fatto il test. Anche lei aveva contatti – eatti favori da riscuotere. La scoperta le gelò il sangue.
Il test era stato manipolato.
Intanto, Gregorio vagava solo nella villa, assediato dal silenzio. Si ripeteva d’aver fatto il giusto – non allevare il figlio di un altro. Ma il rimorso lo divorava. Evitava la stanza di Oliviero, finché la curiosità vinse. Entrò. La culla vuota, il peluche di giraffa, le scarpine minuscole sullo scaffale. Qualcosa in lui si incrinò.
Sua madre, la Contessa Agata, non aiutava.
“Te l’avevo detto, Gregorio,” disse, sorseggiando tè. “Quella Claremont non era all’altezza.”
Ma persino lei fu colta alla sprovvista dal suo silenzio.
Passarono giorni. Poi una settimana.
E arrivò una lettera.
Senza mittente. Solo un foglio e una foto.
Le mani di Gregorio tremavano mentre leggeva.
“Gregorio,
Ti sei sbagliato. E come.
Volevi le prove? Eccole. Ho trovato gli originali. Il test è stato alterato. E questa foto che ho trovato nello studio di tua madre… Tu sai cosa significa.
— Eleonora.”
Lui non è mio figlio
