La felicità è arrivata in nero

Seduta alla finestra, osservavo il viavai della strada. Gli autobus frenavano con lo stesso stridore, i pedestri correvano ai loro impegni, mentre io continuavo a rimuginare sulla lettera arrivata ieri. La busta nera con il bordo dorato giaceva sul tavolo della cucina da un giorno intero, eppure non trovavo il coraggio di aprirla.

“Mamma, perché sei lì impalata?” Davide irruppe in casa come un tornado, lanciando lo zaino in un angolo. “Di nuovo triste? Meglio pranzare, ho una fame da lupo.”

“Mangia pure,” sospirai senza staccare lo sguardo dalla strada. “Ci sono le polpette in frigo, scaldale nel microonde.”

Mio figlio si fermò a metà stanza, osservandomi con attenzione. C’era qualcosa di troppo rigido nella mia postura.

“Che succede?” Si avvicinò. “Sembri… strana.”

“Nulla di serio,” mi girai verso di lui. “È solo arrivata una lettera. Sto decidendo se aprirla.”

“Quale lettera? Da chi?”

“Da un notaio. Di Milano.”

Davide aggrottò la fronte. Le lettere dei notai raramente portavano buone notizie: debiti, cause, altri guai.

“E cosa potrebbe esserci?” chiese con cautela.

“Non so. Forse zia Claudia ha lasciato qualcosa. Viveva a Milano negli ultimi anni, aveva un bilocale. Ma non ci sentivamo da dieci anni.”

Mi alzai, andai in cucina. La busta era ancora lì, quasi a deridere la mia indecisione.

“Mamma, apriamola?” Davide la prese in mano. “Cosa c’è di peggio nel sapere?”

“Peggio potrebbe essere molto,” borbottai. “Debiti, obblighi… Non voglio problemi.”

“E se fosse una buona notizia?” Stava già per strappare la busta, ma lo fermai con un gesto.

“Aspetta. Lasciami pensare.”

Ma cosa c’era da pensare? Zia Claudia era mia cugina, cresciute nello stesso cortile ma strade separate. Lei partì per Milano dopo il diploma, si sposò, lavorò in un istituto di ricerca. Senza figli, vedova da anni. Io rimasi nel mio paesino in Lombardia, misi al mondo Davide, diventai vedova giovane e lavorai come maestra d’asino.

L’ultima volta ci vedemmo al funerale del nonno, dieci anni prima. L’avevo trovata estranea, una signora milanese in cappotto elegante che ci guardava con sufficienza.

“Va bene, apri,” cedetti. “Ma se è brutta notizia, te l’avevo detto.”

Davide scardinò la busta, estraendo fogli di carta. Lesse le prime righe e fischiò.

“Mamma, qui dice che zia Claudia ti ha lasciato un appartamento a Milano.”

“Cosa?” Stavo per far cadere la tazza del tè. “Che appartamento?”

“Un bilocale, vicino a Parco Sempione. E c’è un conto bancario…” Sfogliava le pagine, gli occhi sgranati. “Mamma, è una somma considerevole.”

Caddi sulla sedia, le gambe improvvisamente molli.

“Non è possibile. Non ci sentivamo da anni. Perché proprio a me?”

“C’è un biglietto scritto a mano da lei.” Davide mi porse un foglietto.

«Giusy, se leggi questa lettera, io non ci sono più. So che ci siamo allontanate, e la colpa è stata soprattutto mia. Pensavo di avere ancora tempo per recuperare i rapporti con chi mi era caro. Ma il tempo finisce all’improvviso. Voglio che il mio appartamento sia tuo. Sei sempre stata buona, hai vissuto per gli altri. Ora pensa anche a te. La tua Claudia.»

Rileggevo il biglietto incredula. Le lacrime scivolarono senza controllo.

“Com’è possibile?” sussurrai. “È morta e io non lo sapevo né ho partecipato…”

“Mamma, come potevi saperlo?” Davide mi abbracciò. “Forse non voleva essere importunata.”

“Ma perché proprio a me? Aveva parenti più stretti.”

“Evidentemente non così cari. O ti conosceva meglio di quanto tu cred
Seduta nel tepore del mio salotto romano, con Michele che sorseggiava un caffè accanto a me, realizzai che la felicità non è mai un caso, ma una scelta coraggiosa che si rinnova ogni giorno.

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