Beatrice Rossi tremava nello studio della dirigente, le dita che afferravano documenti accartocciati. “Dottoressa Bianchi, la imploro! Non mi licenzi! Ho due figli, il mutuo sulla casa!” La voce le si spezzava. “Correggerò ogni cosa, lo giuro!”
“Signora Rossi, ha falsificato la laurea in Scienze dell’Educazione. Una frode gravissima…”
“Stavo per finire gli studi! Sul mio onore!” Beatrice l’interruppe, lacrime amare solcandole il volto. “Mi mancava solo un anno alla discussione della tesi! Mi conceda un’opportunità!”
La preside della Scuola Elementare “Giovanni Pascoli” osservò la giovane maestra con compassione. In tre anni, Beatrice si era conquistata l’affetto degli alunni e la stima dei genitori. Ma la legge era legge.
“Bene. Ha trenta giorni per presentare un diploma autentico. Altrimenti…”
“Grazie! Mille grazie!” Beatrice si precipitò verso l’uscio, poi si voltò di scatto. “Ma come ha scoperto…?”
“Un controllo del Provveditorato sugli attestati del personale. Una discrepanza casuale.”
Nell’atrio, Beatrice s’imbatté in Bruno Ricci, il professore di educazione fisica. Alto, capelli argentei sui cinquantacinque anni, la trattenne gentilmente per un gomito.
“Cosa accade, signora Rossi? Sembra un fantasma.”
“Bruno, è la fine!” singhiozzò lei. “Mi licenziano!”
“Ma per quale motivo?”
Esitò. Confessare la vergogna? Bruno era un uomo integerrimo, stimato, con vent’anni d’insegnamento alle spalle.
“Un problema coi documenti,” mormorò evasiva.
“Posso aiutarla? Qual è l’inconveniente?”
Lei alzò gli occhi lucidi. Bruno le era sempre stato vicino, quasi paterno: caramelle per i bambini, domande affettuose. Dopo il divorzio, quel sostegno maschile le mancava terribilmente.
“La laurea… Ho guai con la laurea.”
“L’ha smarrita?”
“Sì,” mentì Beatrice, aggrappata a quell’esile verità. “Nel trasloco. E le pratiche per il duplicato sono interminabili, una burocrazia infernale.”
Bruno si grattò il mento pensoso.
“Dove studiava? In quale anno si laureò?”
“All’Università di Roma,” rispose senza batter ciglio. In realtà, aveva completato solo tre anni prima di sposarsi, di partorire Matteo e Sofia, abbandonando tutto.
“Senta, conosco qualcuno nell’archivio di quell’ateneo. Simone Bianco. Forse può accelerare il duplicato. Il nome da studentessa era…? Da sposata o nubile?”
Beatrice sentì la sabbia mobile della menzogna risucchiarla.
“Nubile. Beatrice Michelangela Rossi.”
“Bene, parlerò con Simone. Siamo amici dai tempi dell’università.”
“Bruno… è troppo gentile,” sussurrò lei. “Non so come ringraziarla.”
“Ma figuriamoci! Siamo colleghi. Ci si aiuta.”
A casa, Beatrice vagava per la cucina come una fiera in gabbia. Matteo, sette anni, faceva i compiti. Sofia, cinque, giocava con le bambole in un angolo.
“Mamma, perché piangi?” chiese il bambino sollevando lo sguardo.
“Nulla, tesoro. Solo stanchezza.”
“Papà torna?”
“No, Matteo. Papà vive altrove, ricordi?”
Guardò i figli e sentì il cuore restringersi. Per loro aveva falsificato la laurea. Le serviva uno stipendio decente. E la scuola offriva vantaggi, garanzie.
L’indomani, Bruno l’avvicinò in corridoio.
“Signora Rossi, ho parlato con Simone. Ha controllato gli archivi.”
Il cuore di Beatrice sobbalzò.
“E…?”
“Curioso. Il suo nome non risulta tra i laureati. Forse sbaglia l’anno? O la facoltà esatta?”
Il pavimento sembrò aprirsi. Doveva inventare qualcosa.
“Sa, Bruno, devo confondere… Dopo il divorzio, stress e vuoti di memoria. Forse era un altro ateneo? Ci penserò.”
“Certo, non si angusti. La mente, sotto choc, tradisce. È naturale.”
Il suo sguardo premuroso acuì la vergogna. Bruno era vedovo da tre anni, la moglie stroncata da un male crudele. Senza figli. Dicevano che il lutto l’avesse piegato, che per consolarsi fosse partito da solo in Sardegna.
“Bruno, posso offrirle un pranzo? Per sdebitarmi?”
“Signora Rossi, non è necessario!”
“La prego. Si preoccupa tanto per me… E io ignoro quasi tutto di lei, oltre l’educazione fisica.”
Bruno esitò.
“Almeno alla mensa scolastica. Le polpette sono squisite.”
A pranzo, la conversazione fluì. Bruno amava pescare, divorava romanzi storici, coltivava pomodori nel suo orto a Tivoli. Viveva solo, cucinava.
“E lei come fa? Con i bambini… dev’essere arduo.”
“Mi arrangio,” sospirò Beatrice. “Matteo aiuta con Sofia. È maturo.”
“L’ex marito versa gli alimenti?”
“Sì, ma non sempre. A volte è senza lavoro, o ha scuse.”
Bruno aggrottò la fronte.
“Vergognoso. Abbandonare i figli e scansare il dovere.”
“Così è la vita.”
“Signora Rossi, mi permette di chiederle come procede? Vedo la tens
E così, mentre le note del valzer li avvolgevano come nebbia dorata, Olimpia capì che anche le bugie più intricate possono trasformarsi in fili d’oro se tessuti con sincerità ed un cuore che sa perdonare.