La felicità è arrivata in nero

Oggi guardavo il traffico dalla finestra. I bus frenavano cigolando, i pedoni correvano ai loro impegni, mentre io rimuginavo sulla lettera arrivata ieri. Quella busta nera con il bordo dorato giaceva sul tavolo della cucina da un giorno intero, ma non riuscivo ancora ad aprirla.

“Ma, perché sei lì come una statua?” Daniele irruppe in casa come un turbine, lanciando la borsa in un angolo. “Ti sei messa a pensierare? Andiamo, ho una fame da lupo.”

“Ci sono le polpette in frigo” sospirai, senza distogliermi dal vetro. “Scaldale nel microonde.”

Mio figlio si fermò, osservandomi con attenzione. Qualcosa nella mia postura lo allarmò. “Che succede? Sembri… strana.”

“Nulla di grave. Solo una lettera. Non so se aprirla.”

“Da chi?”

“Dal notaio. Di Milano.”

Daniele aggrottò le sopracciglia. Le lettere dei notai di solito annunciavano debiti o beghe legali. “Cosa potrebbe contenere?”

“Non so. Forse la zia Claudia ha lasciato qualcosa. Viveva a Milano negli ultimi anni, aveva un bilocale. Ma non ci sentivamo da un decennio.”

Mi alzai, entrai in cucina. La busta pareva deridere la mia indecisione. “Apriamola?” propose Daniele, prendendola. “Sapere non può peggiorare le cose.”

“Potrebbero esserci debiti. O rogne.” protestai debolmente.

“E se invece fosse una fortuna?” Stava per strappare la busta quando lo fermai.

Aspettai. Zia Claudia era mia cugina. Cresciute insieme a Perugia, poi lei si trasferì a Milano dopo l’università. Sposata, ricercatrice, senza figli. Io rimasi a Perugia, diventai maestra d’asilo, persi mio marito giovane. L’ultimo incontro ai funerali di nonno: lei elegante signora milanese che ci guardava con sufficienza.

“Va bene, apri” cedetti. “Ma se son guai, averti avvertito.”

Daniele scartò la busta, estrasse dei fogli. Lesse e fischiettò. “Ma, la zia ti ha lasciato un bilocale a Milano. Quartere Magenta!”

“Cosa?” Stavo per far cadere la tazza. “Perché a me?”

“C’è pure un conto bancario…” Sfogliava pagine, gli occhi sgranati. “Una cifra importante.”

Caddi sulla sedia, le gambe molli. “Non è possibile. Perché proprio a me?”

“Qui c’è un biglietto di suo pugno.” Mi passò un foglietto.

*«Gabriella, se leggi queste righe, io non ci sono più. So che ci eravamo allontanate. Colpa mia, pensavo di avere tempo per recuperare. Il tempo invece sfugge. Voglio che il mio appartamento sia tuo. Sei stata sempre altruista. È l’ora di pensare a te stessa. Tua Claudia.»*

Rilessì più volte. Le lacrime scivolarono da sole. “È morta e io non ero al funerale…”

“Non potevi saperlo” mi strinse Daniele. “Forse voleva sparire in silenzio.”

“Ma gli altri parenti?”

“Evidentemente non se li meritavano.”

Riguardai quel “pensa a te stessa”. Quando l’avevo fatto? Mai. Genitori anziani, Daniele da crescere, lavoro senza sosta. Adesso lui ventottenne, indipendente.

“E adesso?” chiesi smarrita.

“Andiamo a Milano! Vedi l’appartamento e sistemi le carte.” Gli occhi di Daniele brillavano. “La tua vita può cambiare!”

“Cambiare come?”

“Trasferirti lì! Affittarlo! Vendere e comprarti qualcosa qui! Hai opzioni!”

Qualcosa in me si mise in moto. Ruote arrugginite che giravano. Per anni avevo vissuto d’inerzia. Ora sentivo futuro.

“Non so. Ho radici qui.”

“Ma hai cinquant’anni! Non è tardi.”

“E tu? Ti lascio solo?”

Daniele rise. “Sono grande, mamma. È ora che io viva e tu sia felice.”

Quella notte rimasi sveglia. Immaginai l’appartamento nel cuore di Milano. E la zia Claudia, malata e sola. Perché non aveva chiesto aiuto? Orgoglio? Vergogna?

Il giorno dopo, permesso al lavoro, andammo dal notaio. Un uomo garbato spiegò tutto. “L’appartamento è ben tenuto. Quarto piano, ascensore. Zona prestigiosa.”

“Perché proprio a me?”

“Claudia valutò a lungo. Disse: voglio che sia di chi ne ha bisogno e saprà esser felice. Ricordavi quel giorno che la difendesti dai bulli?”

Mi tornò in mente. Dieci anni, io col bastone contro i prepotenti. “Ricordo.”

“Lo custodì come un tesoro.”

In macchina rimasi in silenzio. “notaio”

“Che pensi?” chiese Daniele all’ingresso di casa.

“Di Claudia. Di come la vita intreccia fili lontani.”

“Andiamo a Milano?”

“Sì. Questo weekend.”

Milano ci accolse con caos e trambusto. Mi sentii smarrita tra grattacieli e folla. Ma la città iniziò ad affascinarmi.

L’appartamento superò ogni aspettativa: lumin
Gianna osservò più a lungo i fiocchi di neve danzare nel cortile, mentre un calore improvviso le gonfiava il petto al pensiero di quanto il coraggio di aprire quella busta nera avesse infine svelato un destino radioso.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

13 − one =

La felicità è arrivata in nero