Amore Svelato Troppo Tardi

Torno a sfogliare le pagine del mio diario, ripensando alla storia di Giulia. Ecco come l’ho rielaborata per le nostre terre.

Giulia Lombardi riordinava scatoloni quando ritrovò una foto scolastica. Quarant’anni prima, sorrideva accanto a Michele, la cui mano sulle sue spalle tremava leggera. Ricordava le proprie mani tremanti quando lui, arrossendo, le chiese: “Tesoro mio, me lo concedi? Solo un ricordo…” Annuì senza parole, il cuore in tumulto. Per mesi Michele l’aveva accompagnata a casa a Bergamo, portando lo zaino, aiutandola in matematica. Lei fingeva indifferenza.

Ora, dopo la morte del marito Vittore, Giulia misurava il tempo sprecato. Vittore le aveva dato trentacinque anni, figli meravigliosi. Ma quel ragazzo timido le bruciava ancora dentro. “Mamma, ti serve aiuto?” chiese la figlia Laura entrando. “Sto solo riguardando vecchie foto. Guarda com’ero giovane.” Laura osservò l’immagine: “E lui? Non mi pare papà…” “Un compagno,” rispose Giulia. “Che sguardo innamorato! Fu un flirt?” Giulia si voltò verso la pioggia d’ottobre. “Solo amici. Lui entrò al Politecnico, io alla facoltà di Medicina a Milano. Strade diverse.”

Dopo la scuola si videro poche volte. A casa, bevevano tè in cucina. Sua madre Elisabetta lo apprezzava: “Un bravo ragazzo, laborioso. E ti guarda come una madonna.” “Siamo amici,” sbuffava Giulia. “A quell’età io ero già sposata!” L’ultima volta che venne, in agosto, Giulia era sommersa da libri di anatomia. “Ti disturbo?” “Entra.” Sedeva rigido: “Tesoro mio, sposiamoci. Ti amo dalla quinta elementare. Lavorerò, aspetterò che ti laurei.” Giulia sentì urlarle il cuore ‘sì’, ma qualcosa la frenò. “Non rispondere ora,” sussurrò lui.

Partì per Milano senza dargli risposta. Al ritorno, Laura le disse che Michele frequentava la compagna Silvia Rossi. Giulia sospirò. Aveva poi conosciuto Vittore, studente di Legge: insistente, fiori, teatro. Si sposarono al terzo anno. Matrimonio sontuoso in Brianza, dote di ventimila euro. “Mamma, amavi papà?” chiese Laura. “Certo,” rispose Giulia. Era vero, ma diverso. Vittore, dirigente aziendale, ottimo padre. Lei lavorò al Policlinico.

Incontrò Michele in città: capelli grigi, quelle stesse occhiate malinconiche. Saluti frettolosi, notizie sui figli: tre bambini, casa popolare a Monza. L’ultimo incontro fu in ospedale. Vittore era in cardiologia, Michele nella sala accanto. “Giulia? Che ci fai qui?” “Mio marito… e tu?” “Stanchezza, un po’ di pressione.” Un silenzio imbarazzato. Poi lui: “Ricordi la proposta? Fui sciocco. Avrei dovuto solo dirti ‘ti amo’. Forse…” “Non pensarci ora.” “Ci penso sempre. Come sarebbe stata la nostra vita?” “Hai bei figli.” “Bravi bimbi. Ma non è mai stato… giusto.” La fissò: “Ho amato solo te.” Giulia sentì mancarle le gambe. Anche lei. Davvero solo lui. “Michele, io…” “Dottor Bianchi! Prime visite!” gridò un’infermiera. “Vai da tuo marito,” disse lui mentre se ne andava curvo.

Vittore guarì. Michele morì un mese dopo. Secondo infarto. Al funerale, Giulia vide Silvia disperata. Senza lacrime. “Sei pallida,” disse Vittore a casa. “Solo stanca,” mentì lei. Piangeva poi nel cuscino: mai confessato. Mai detto che cercava il suo volto passando davanti alla fabbrica Zeta, che conservava ogni loro foto.

Ora, fra le cose di Vittore morto sei mesi prima, Giulia pensava ancora a ciò. “Mamma, vieni a cena?” “Arrivo.” Prese la foto del diploma, la strinse. “Perdonami, Michele. Ti ho amato sempre. Non feci in tempo.”

Fuori, l’autunno spariva. Silvia era vedova come lei. I figli di Michele studiavano all’università a Roma, ignari della compagna di classe della mamma che custodì un segreto per una vita.

Giulia posò la foto sulla cassettiera, accanto al ritratto di Vittore. Dovevano stare insieme. Furono entrambi la sua storia. Vittore il presente vissuto, Michele il futuro mai nato. “Mamma, vieni?” gridò Laura. “Arrivo, cara.” Uscì. La foto rimase. Negli occhi del giovane Michele ardeva quell’amore che attraversò la sua esistenza senza mai udire risposta.

Mi capita di rileggere queste pagine e rifletto: il rimpianto più amaro non è perderli, ma trattenere le parole quando ancora puoi donarle. La vita è un soffio; vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, senza nascondere il cuore. L’onestà verso ciò che si prova è il dono più grande, a noi stessi prima che agli altri.

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