Nessuno attendeva Tonino in questo mondo. Ma arrivò. Annunciò la sua presenza con un grido potente, reclamando cibo, attenzioni, cure. E la mamma… la mamma scappò, barcollando per la debolezza, appena due giorni dopo il parto. Sparì senza lasciare tracce, senza provare il minimo legame con quel fagottino umano, senza volersi caricare il peso della sua vita. Lei aveva solo diciannove anni: l’unica persona cara, la nonna, era morta un anno prima. Poi c’era stato un ragazzo che prometteva mari e monti, ma l’aveva piantata. Tutti l’avevano abbandonata! I genitori da piccola, ribaltandosi in macchina, e la nonna, che tanto amava la sua nipotina, anche lei l’aveva lasciata da poco… Il padre era cresciuto in orfanotrofio, e la mamma aveva due sorelle, ma vivevano in Germania da anni col loro padre, suo nonno, e non c’era mai stato alcun contatto.
Una storia assurda, intrisa di rancori, rabbia, beghe familiari… All’inizio non le interessava, poi, quando la nonna peggiorò e finì all’ospedale, non ebbe proprio più tempo per storie.
Quell’anno avrebbe dovuto diplomarsi all’istituto professionale. I compagni di classe stavano scrivendo le tesi, e lei… Beh, pace. Sarebbe riuscita a cavarsela da sola, ma completamente sola! Un figlio era difficile. Pesantissimo! Quasi impossibile. E già lei faticava tanto, perché nessuno lo capiva? Così lasciò il suo piccolino, forse qualcuno lo avrebbe aiutato. Come una volta per suo padre. Intanto loro continuavano a venire, a dire cose, ma chi fossero o perché, rimaneva un mistero. E al diavolo… Quando avesse ripreso un po’ di forze, in qualche modo sarebbe andata avanti…
Ma Tonino non poteva aspettare la mamma. La voleva adesso, subito! Poggiare la guancia al suo petto, nutrirsi del suo latte, sentire il battito del suo cuore…
Privo di quel calore materno, si sentiva terrorizzato e solo. Piangeva, voleva sua madre. E invece lo sollevavano sempre mani diverse, estranee. Lo nutrivano con latte artificiale che non era il latte materno, e così il pancino minuscolo era
E così può accadere…
Nessuno aspettava Mattia in questo mondo. Ma lui arrivò. Si presentò con un grido forte, reclamando cibo, attenzioni, cure. E la mamma… la mamma fuggì, barcollando per la debolezza, appena due giorni dopo il parto. Sparì senza lasciare traccia, senza sentire nessun legame con quel piccolo fagotto e senza volersi prendere la responsabilità per la sua vita. Aveva solo diciannove anni, e l’unica persona cara, la nonna, era morta un anno prima. Poi c’era stato un ragazzo che aveva promesso tanto, ma che l’aveva abbandonata. Tutti l’avevano abbandonata! I genitori da bambina, ribaltandosi in auto, e la nonna, che la adorava, anche lei se n’era andata… Il papà era cresciuto in orfanotrofio, e la mamma aveva delle sorelle, ma vivono in Italia da anni col loro padre, il nonno di lei, senza nessun contatto.
Una storia assurda, piena di rancore, rabbia, qualche disputa… All’inizio non le interessava, poi, quando la nonna peggiorò ed entrò in ospedale, non ebbe più tempo per le storie.
Quell’anno avrebbe dovuto finire il liceo tecnico, i compagni adesso scrivevano la tesi, mentre lei… Beh, niente, niente. Se la sarebbe cavata da sola, ma proprio da sola! Un figlio invece era pesante. Molto pesante! Quasi impossibile. E a lei la vita era già così dura, perché non lo capivano? Perciò lasciò il suo piccolino, forse qualcuno l’avrebbe aiutato. Come una volta col papà. Ma vengono sempre, dicono qualcosa, chi sono? perché? Non si sa. E pazienza… Quando si sentirà un po’ più forte, andrà avanti…
Ma Mattia non aveva bisogno della mamma dopo. Le serviva ora, subito! Appoggiare la guancia al petto di mamma, nutrirsi del suo latte nel calore materno, sentire il cuore di lei battere…
Ma quel calore mancava, perciò aveva paura e si sentiva solo. Piangeva, voleva la sua mamma. E invece erano mani diverse, mani straniere, a prenderlo. Lo nutrivano con latte, ma non era il latte di mamma, così la sua pancia piccina faceva sempre male. Il sonno era inquieto, in attesa… Perché anche nel sonno agitato, il bimbo avrebbe riconosciuto la voce di sua madre. Ma le voci erano tutte sconosciute.
Il piccolo Mattia sapeva aspettare. Aspettò le mani materne, il tepore del suo corpo, il sapore del suo latte, e forse pregò i suoi dei dell’infanzia con ogni suo piccolo respiro, perfino col ruschellare del suo minuscolo nasino.
E gli dei lo ascoltarono. La primaria dell’ospedale, una donna dolce dal cuore buono, non giudicava la giovane madre, ma non poteva rassegnarsi all’idea che un così piccolo e dolce angioletto restasse senza mamma.
Usò tutte le sue conoscenze, scoprì tutto sulla mamma di Mattia, trovò l’indirizzo del nonno materno e bisnonno di Mattia nella lontana Italia, lo contattò e parlò a lungo in videochiamata. Gli raccontò della giovane nipote infelice e sola, senza aiuto in questo mondo, e del bambino minuscolo, che ancora non aveva cominciato a vivere ma era già rifiutato.
Il nonno non poteva viaggiare così lontano, ma arrivarono entrambe le zie, le sorelle della mamma. La mamma malata di Mattia giaceva a casa. Le spasimava e bruciava il petto, non riusciva più a tirare il latte quasi per nulla, la febbre salì. Impiegò tanto per capire cosa succedesse, chi fossero quelle persone e cosa volessero. Il medico dell’ambulanza riportò la giovane madre nell’ospedale, dove le infermiere con gentilezza ma fermezza, noncuranti dei singhiozzi e delle proteste, tirarono il latte rimasto dal suo petto, abbassarono la febbre e le portarono Mattia. Lui la fissò coi suoi occhietti, arricciò il nasino e fece boccacce. Lo riconobbe? Certo che sì. Lo prese in braccio. E non lo avrebbe più lasciato.
Poi lei fu dimessa e le due zie, chiacchierone e decise, li portarono a casa con loro. Lì era comparso un lettino, un comodino si era riempito di pannolini e vestitini minuscoli… Le zie le parlavano, la nutrivano con familiari maccheroni al formaggio, che chiamavano pasta. Ma non importava come chiamassero le cose, importava che non era più sola. Importava che c’era qualcuno che le chiedeva:
– Come stai? Hai mangiato? Bevuto? Bevi più tè col latte, così ne farai di più. Dormi un po’? Stavi sveglia con Mattia tutta la notte…
Pensate sia la storia del bambino Mattia, o della sua mamma, giovane e smarrita? No, no. È la storia della primaria e di tutte le persone che sentono, che non fanno solo il loro lavoro, ma un po’ di più. E con quel ‘un po’ di più’ salvano vite, intrecciano destini e regalano felicità. Quel ‘un po’ di più’ divenne felicità per il piccolino e la sua mamma. Se tutti facessimo ‘un po’ di più’, oltre il nostro dovere, non passando indifferenti davanti alla sofferenza altrui, immaginate quanto migliore sarebbe il mondo?
Mattia si abbandonò nell’abbraccio materno finalmente tranquilla, il piccolo corpo soffuso di pace nel calore di quel contatto desiderato.
E accade così…
