Come Ninka progettò il suo matrimonio

Quel periodo che Ninella cercava marito. Nessuno in paese capiva perché alla ragazza andasse così male in amore. Era una brava ragazza, piena di qualità, intelligente, bella. E un buon lavoro pure: veterinaria in una grossa azienda agricola. Forse il problema era che Ninella non era del posto. E sia detto tra noi, Ninella era diversa dalle donne locali.

— Se Ninella abbassasse un po’ la cresta, guarda un po’, in casa comparirebbe un omino. Certo, i buoni non si trovano manco col lanternino ormai, ma almeno sarebbe un soffio maschile — esordì Egidia, stuzzicando la solita discussione tra le vecchine raccolte la sera sulle panche di pietra. Era sempre lei a iniziare a parlare dei pregi e difetti del paese. In paese sapeva le notizie prima che succedessero.

Ma aveva sempre un’antagonista: Semidea. Amiche dalla gioventù, litigavano da altrettanto tempo. Se Semidea diceva bianco, Egidia spumeggiando provava fosse nero.

Tutte si voltarono verso Semidea, aspettandosi la solita commedia. E non si fece attendere.
— Ma che novità son queste? Perché in casa ci sia puzza di calzini sporchi, bisogna calpestare sé stesse? Ma sentitela, donne! Non serve nulla da un uomo, deve solo spandere puzza per casa mentre la donna lavora. Puah, meglio camminare a testa alta!

Egidia arrossì perfino.
— Ma che vai blaterando, senza capire? A una donna serve vivere con un uomo! Perché ci sia un uomo in casa!
— No, spiegami tu, a cosa serve? Tu stessa dici che son rimasti solo i relitti! Perché serve? Per servirlo?

Egidia non reggendo saltò su.
— Sei una scema! E il bimbo va fatto, no?
— Scema tu! Fai un bimbo e poi devi portarti avanti tutta la vita questo sedicente uomo! Non è più facile andare in città, trovarne uno normale, bello, e farsi sto benedetto figlio? Senza dover sfamare a vita un fannullone ubriacone, vivendosi la vita con piacere?

Le vecchie sussultarono. Le discussioni più accese tra le due amiche nascevano sempre sulla moralità. Una volta litigarono così forte da non parlarsi per un mese. Neanche in piazza uscivano. Fu noia mortale per le altre. Il fatto è che Egidia aveva avuto un marito, sepolto da vent’anni, mentre Semidea ne ebbe tre, e adesso le faceva visita pure Vincenzino lo stagnaio, proponendo di unire le aie. A Semidea passavano i settanta, all’ex stagnaio quasi gli ottanta, ma niente.

Perciò le opinioni delle amiche su quel tema erano sempre opposte.
Ora tutto sarebbe finito in una scenata tremenda, se non fosse apparso l’oggetto della discussione.
— Buonasera, ragazze!

Ninella si fermò, sorridendo alle anziane.
— Buonasera, Ninella! Vieni dalla città?
— Dalla città, Caterina Semidea. Ho portato per caso le goccine per le pulci, ditemi chi ha i gatti che si grattano, passo e gliele metto.
— Oh, Ninella, ma ai gatti le pulci stanno bene!
— Ma che dice, Tiziana Egidia. Queste goccine… una volta e per sei mesi non scacciate il vostro peloso dal letto.

Fu allora che intervenne di nuovo Semidea. Guardando sprezzante l’amica, disse:
— Ninella, grazie, passa da me. Io, a differenza di certe menti arretrate che vivono nel secolo scorso, capisco quanto sia utile. E non dare retta a certe, non mi stupirei se si lavano ancora con la cenere.

E Semidea tremò tutta per le risate. Egidia arrossì invece dalla rabbia.
Ninella sorrideva. In sei anni di vita al paese s’era abituata: qui la vita privata non esiste, c’è solo quella pubblica. All’inizio ci soffriva, s’offendeva, poi capì… era del tutto normale. Doveva rattristarsi se non parlavano di lei: significava non esistere, essere un’ombra.

***

Ninella era arrivata lì per un richiamo del cuore. Ragazza di città, sin da piccola sognava misteriosamente di vivere in campagna, curare cavalli, mucche, ogni creatura. Diceva sempre che gli animali fossero le creature più devote e buone. È che non sanno dire dove gli fa male.

Vide un annuncio: serviva una veterinaria in una nuova azienda agricola, con casa fornita. Non ci pensò un attimo. Chiamò, arrivò, restò. Rimise a posto la casa in due mesi. Dovette, è vero, chiedere qualche prestito ai genitori, ma restituì in fretta: lo stipendio era onesto.

I genitori vennero più volte, dissero che tutto era bello e buono, poi provarono a convincerla a tornare.
— Ninella, ma che c’è di bello qui? È un paese. Né svaghi, né cultura. Neanche un lampione di notte — si lamentava la madre.
Anche il padre guardava torvo. Sebbene, se la madre avesse detto che era perfetto, lui l’avrebbe appoggiata uguale.

Ninella rideva soltanto.
— Aspettate! Prenderò anche un porcellino! Vi rifornirò di carne fresca!
Loro, perplessi, scuotevano la testa.

***

Ninella mantenne la promessa. Ora aveva un porcellino, galline, tacchini. I genitori, capendo che non potevano dissuaderla, si rassegnarono e presero ad amare le loro visite in campagna.

Ma una cosa rattristava davvero Ninella. Come tutte, pure lei voleva sposarsi. Poi capì che in fondo non voleva sposarsi, solo che così si doveva. Magari un bimbo… a trentadue anni si poteva averlo. Anche la mamma tornava sempre sull’argomento.
— Se stessi in città saresti già sposata da un pezzo!

Così Ninella decise di sposarsi. Mancava solo il minimo: trovare uno sposo.
Provò prima coi locali. Prendi Pasqualino il trattorista. La guardava da un bel po’. Non era un candidato? Sano, bello. Una volta gli ricambiò lo sguardo. Quella sera Pasqualino bussava già alla
E poi, sorridendo ancora dei ricordi di quel giorno in cui il maialino aveva fatto giustizia, Ninella chiuse la porta della sua casa di campagna sapendosi finalmente libera e completa come il sole calante sui campi.

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