Il marito avaro

In una minuscola borgata di montagna, lontana quanto si può essere dal trambusto mondano, sorge un villaggio addormentato sui pendii lombardi. Casa per casa, quelle abitazioni a due piani sono lì da sempre, sparse qua e là come gettate in fretta in mezzo agli abeti. La luce degli anni Sessanta filtra lenta, quasi con lo stesso ritmo di un gocciole che cade, e non importa quanto il paese cambi, la famiglia Bellini sembra viva in un quadro incorniciato.

Autore della scena: Luca Bellini, il maestro d’arte che, anziché dipingere, si dedica a far durare una pasta alla carbonara per settimane. Alto, ascetico, coi baffetti sempre arruffati, sembra l’ultimo fautore dell’Austerità Medievale, solo vestito in foggia operaia. Sul lavoro, dove commanda la fabbrica di stoffe delle Apuane, tutti lo rispettano – non perché sia amabile, ma perché sputa ordini come se fossero monete d’oro. A casa, però…

Ah, a casa, Luca è il vero Re di Miseria. Un giorno, l’amico Giulio, beone alle prime armi, gli disse: «Luca, perché non riesci mai a sorridere? Così ti prendi la rana in bocca!». Risultato? Un silenzio che durò una settimana, mentre in giro si mormorava: «Sembra che risparmi anche il sorriso».

La moglie, Sofia Bellini, un tempo era una ballerina di sashimi al mercato del pesce. Adesso invece cammina come se i suoi passi fossero stimati in contanti: silenziosi e contati. Lavora come contabile in uno studio, calcolando quote tanto precise quanto le sue emozioni. La loro unica figlia, Chiara, nella sua maturodi anni dodici, ha capito da tempo che qui le regole non sono scritte sui libri, ma incise negli occhi del padre.

«Una forchettata per te, due per lui, decidi Chiara…» tuona Luca ogni sera, mostrando i fagioli in un vassoio come se fossero gioielli. I vicini, che hanno letto la favola di Pulcinella, sanno che i Bellini non possiedono nemmeno uno zerbino in salotto – però dietro a cassettone imbottito con chiave a muro, si sospetta nasconda ogni avanzo del mondo.

Un pomeriggio, Chiara trova un gattino ghiotto di solitudine e decide di portarselo a casa. Luca, con l’occhio pescatoriano, esclama: «E questo chi lo paga? Compro pesce per mangiare, non per godere su un micio!». Il gattino, battezzato Micio, viene cacciato in strada con una scena da dramma shakespeariano. Sofia guarda il tutto in silenzio, mentre i lati del cuore iniziano a sfilacciarsi.

Una sera, Sofia tenta di rompere il ghiaccio: «Luca, forse si esagera? Chiara non ha i pantaloni adatti per la scuola…». Luca, con voce da domatore, ribatte: «Così imparerà a risparmiare». Il risultato? Una manata che fa sobbalzare tutto il tavolo e un cuore che usa dolore al posto dei cuori.

Gli anni passano, Chiara cresce in un mondo dove anche respiro ha prezzo, e quando inizia l’università, il suo unico sollievo è un libro gratuito letto al bar. «Perché non esci con gli amici?» le chiede una compagna di stanza. «Costa» risponde lei, con il linguaggio della madre.

Fino a quando, non negli anni più freddi, entra nella sua vita Camilla, una ragazza che sa dell’arte non solo del risparmio. «Chiara, hai mai mangiato un gelato in centro?» le chiede, con occhi di bellezza. Lei, una volta, avrebbe scosso la testa. Quella volta, invece, annuì. Cinque euro in un momento, mille emozioni in cambio.

Ma quando sposano, Luca non riesce a capire perché Camilla voglia piastrelle colorate in bagno o un balcone con chiodi di garza. «La semplicità è virtù» insiste lui, un uomo dalla voce di acne stilizzata. Camilla, però, quel linguaggio non lo conosce. «Luca, abbiamo denaro per farci una vita!» gli ricorda una sera, dopo ore di discussioni.

Lui, con piglio di un uomo che non ha mai visto il mare al di fuori di una fotografia, replica: «Non vorrai mica comprare il sole?». Camilla, però, quel mare l’ha visto, e lo vuole per sé. Una sera, lo stacca di forza, dicendo: «Tutti i tesori che ho accumulato in vita non ti rendono felice. Li hai solo usati per pesarmi».

E così, un gatto, un viaggio, e una stanza vuota rimasta a raccontare una lezione di economia non scritta sui libri. Il resto? Curiosate, forse nella prossima favola, quando parlerò del padre che capisce, o forse no.

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