Un Incontro Inaspettato con un Bambino Sconosciuto

Isabella non aveva mai odiato suo patrigno, ma non lo aveva mai accettato. Che razza di padre poteva essere? Non aveva mai avuto un padre, e questo “Zio Ferdinando che mangia l’orso” non era certo un padre. Però, per amore di sua madre, fin da quando lo conobbe cercò di trattenere dentro di sé la sua avversione.
Non era più una bambina: aveva undici anni e sapeva che a sua madre mancava una famiglia, mancava qualcuno che si preoccupasse di lei. Ebbene, lui, sebbene silenzioso, non era male. Ma restava estraneo. Isabella sembrava quasi invisibile per lui. Tuttavia non beveva, come faceva il padre di sua amica Zaira, cugina lontana che stava quasi come una sorella.

Ferdinando, per sua parte, non sembrava nemmeno rendersi conto che la sua donna aveva una figlia cresciuta. Accettò la sua esistenza come un fatto inevitabile, concentrato invece a costruire un piano per il futuro, sperando che Giulia, sua moglie, gli desse presto un figlio, o forse due.
Si sposarono in fretta, quasi in segreto. Cambiarono due piccole abitazioni in una più grande a Firenze, dove Isabella ebbe finalmente una stanza tutta sua. Tra loro sorse uno strano “pace asciutta”, al posto di una genuina amicizia. Dopo la scuola, Isabella si rifugiava nella sua stanza per evitare il patrigno, che comunque non faceva mistero di non cercare un rapporto fraterno.

Quando Giulia iniziò a sentirsi male al mattino e a soffrire di capogiri, tutti si rallegrarono: una gravidanza! Isabella sognava un fratellino, e Ferdinando un figlio. Ma accadde il peggio: non una nuova vita si sviluppò, ma una brutta malattia che si insinuò come un nemico invisibile nel cervello di Giulia. Isabella, orfana all’età di undici anni, fu costretta a trovare un posto nell’istituto.

Ancora non capiva quale futuro avesse davanti, schiacciata dal dolore, quando ascoltò sconvolta la madre di Zaira singhiozzare in cucina dopo il funerale, come a scusarsi con Ferdinando:
– Sarei voluta prendermi cura di lei, dopotutto Giulia era mia cugina, non certo una sconosciuta. Ma Zaira esce di casa almeno una volta a settimana: non reggo più. Mia figlia non è nemmeno in grado di badare a se stessa. Non posso. Non abbiamo più parenti.
Isabella non aveva inteso spiare, ma comprese subito che l’assistente sociale aveva parlato dell’istituto, e Ferdinando aveva ottenuto un breve tempo per cercare altri familiari di Giulia.

– Isabella, dobbiamo parlare – esordì Ferdinando un mattino, incerto.
– Non temete, lo so già: devo andare all’istituto.
– No, pensavo ad altro. Se non ti dispiace, vorrei chiederti di essere mia figlia ufficialmente. Non posso perderla in quel posto. Non voglio. Forse posso farcela, per Giulia, per voi due.
Lei non aveva mai visto un uomo adulto piangere, soprattutto non Ferdinando, che aveva tenuto il dolore dentro nel giorno del funerale. Si avvicinò, lo abbracciò e lo consolò come un bimbo.

Tutto riuscì. Per i primi sei mesi non sapeva chi si sosteneva chi, ma col tempo si sistemò. Impararono a vivere insieme, a cucinare non solo zuppe di barbabietola, a parlare. Ferdinando restava schivo, ma lei ci si abituò. Provò gratitudine, e anche rispetto: lui era onesto, non esitò mai a difenderla per strada, ad accontentarla con gesti piccoli: un gelato dopo il lavoro, o due biglietti per lo spettacolo al cinema con Zaira.

Zaira, spesso, si fermava a dormire la sera, e la nonna passava a controllare bollette o forniture. I dolori si placarono. Ferdinando andò alle riunioni scolastiche, lasciò parte dello stipendio in comune senza mai chiedere conto. Isabella cercò di non deluderlo. Tuttavia non lo chiamò mai padre, né a voce né di nascosto: sapeva di essere per lui una figlia strana, frutto di una relazione sbagliata.

Non fu lei a capirlo, ma voci gentili le spiarono che era una sola, un orfana senza voce. Quando compì quattordici anni, Ferdinando si decise a un nuovo colloquio difficile. Ora chiedeva il suo parere su un aspetto nella sua vita: aveva iniziato una relazione con una donna e avrebbe avuto un figlio.
– Mi trasferirei da lei, ma non puoi restare sola. I servizi sociali non ci lasceranno tranquilli. Non ci sono abbastanza stanze per noi due: ha solo una cameretta in un appartamento di servizio. Ma se la porto qui, che ne dici: potremmo stare insieme?
Esternamente si riuscì. Livia gironzolava in casa come una gallina importante, coccolando la sua gravidanza. Ferdinando era più allegro, e Isabella tentò di mitigare ogni conflitto. Il suo periodo adolescenziale non arrivò mai, forse perché fu subito costretta a crescere con la morte della madre. Invece Livia…

Isabella attribuiva molte cose alla sua gravidanza, ma non rivelò a Ferdinando quando la sua donna sorrideva a stento ogni volta che lui usciva, o quando sembrava mostrare al mondo intero che lei, e non Isabella, era padrona di casa. Era un bambino estraneo, una figlia sgradita.

Nonostante il silenzio di Isabella, Livia cominciò a esprimere in modo diretto il suo fastidio. Ogni sua parola di fastidio aperta su quella figlia straniera arrivò al padre. Questo ostacolo di Isabella con il loro passato gli diventò sempre più insopportabile.

Di nuovo il vecchio trucco: sparire dietro le quinte. Ferdinando restò all’oscuro a lungo, ma quando nacque il loro figlio, Stefano, iniziò a capire che a Isabella non stava bene. Livia parve cantare forte a Ferdinando che una figlia non sua aveva conquistato il posto solo per errore. Che, a breve, non sarebbe stata più minorenne e quindi la casa le avrebbe pagato l’indennità, e che quindi non aveva motivo di restare. Che anzi, ora il loro piccolo era loro, e non dovevano occuparsi di una straniera.

A Ferdinando non piaceva nemmeno parlare, figurarsi discutere con Livia, ma incrociò un pugno sul tavolo e disse: Basta. Non voglio mai più sentire qualcosa del genere.
E chiamò Isabella per andare a visitare Giulia. Pulirono l’humus, ti dipinsero la ringhiera, cambiarono i fiori. Si sedettero in silenzio, e di nuovo si strinsero come in quei primi mesi duri pieni di dolore.

– Non preoccuparti, Isabella: tutto si aggiusterà. Sopporta. Presto Stefano andrà a scuola, Livia tornerà al lavoro, non avrà tempo per cianfrusaglioni.
Ma Livia prese un’altra strada. Con la scusa che a Stefano mancava l’immunità lo vietò di ricevere Zaira. Da tempo impedì anche alla madre di Zaira di farle visita. Prese in mano tutti i soldi comuni. Isabella non aveva più accesso ai fondi famigliari: doveva chiedere perfino per il necessario, su cui le ragazze erano imbarazzate a parlare apertamente.

Non si lamentò con Ferdinando, non voleva causare discussioni. All’idea che lui sembrasse più felice, e che vedesse nuovamente brillare i suoi occhi per suo figlio, riuscì a sopportare. Gli piaceva lui, suo patrigno, ma non le era mai importato di come lei fosse trattata.

Un giorno Ferdinando capì distrattamente che Isabella non mangiava a scuola. Studiava in nonza, si allenava a sparo, e spesso finiva la giornata con lo stomaco vuoto. Non aveva nemmeno soldi per un panino, da quando lui aveva trasferito quei fondi da una busta tranquilla al portafoglio di Livia, o meglio, al suo conto in banca.

La maestra di Isabella lo ammonì duramente:
– Dovrebbe parlare con sua figlia, Ferdinando. Non è sana così! Presto cadrà per fame. E non abbiamo certo bisogno di un’altra situazione da prendere in carico.
Quando lui comprese che aveva sbagliato, dando troppo credito a sua moglie, si scavò dentro e rimproverò Isabella dell’aver taciuto.
– Perdonami, figlia, sei troppo testarda. E tu perché non hai detto niente? Hai dimenticato che ti tengo una banca separata, per le tue spese e per le tue compenze? Non le tocheremo. Hai tante di quelle cose da pensare: studio, e chissà il matrimonio. Ti aprirò un conto con la carta, e ci metterò i soldi direttamente dallo stipendio. Okay?
Isabella non capì davvero quelle parole sui soldi, sui conti. Gli unica frase che le rimbombò nella testa fu: FIGLIA. Non era una estranea davvero, lui si preoccupava per lei. Non per Livia, né per Stefano, ma per lei.

Oh, che minchia che fece Livia quando notò che c’erano meno soldi nei conti. Vuole mettere i fondi di Isabella in comune, o urla come se i soldi evaporassero, nonostante la sua economia. Come se non dovesse vestire e nutrire quest’estranea a forza. E adesso lui glieli fa dare direttamente?
Sono partite le discussioni. Una settimana di vacanze? Lei vuole, lui mantiene l’idea di partire. Lei vuole mare, lui non capisce perché no. Così scorrevano quegli anni. Isabella era tormentata di essere la causa di dispute, ma si illudeva che lei e Zaira, una volta diplomata, avrebbero lavorato e preso un appartamento condiviso. Ma nemmeno la avrebbe lasciato fare il padre di Zaira, in costante fuga da casa con sbornie settimanali.

Ma i sogni furono destinati a non realizzarsi. Zaira si sposò poco dopo le verifiche finali, praticamente con il primo incontro, insofferente a casa. Isabella cambiò il piano: studiare in una scuola con mensa sarebbe diventato il suo obiettivo. Ferdinando capiva bene il suo disagio, ma non appoggiava il piano. Fece progetti per un prestito, ma Livia oppose resistenza, insistendo su un assegno in contanti.
– C’è un compenso che le spetta da questa casa? Eppure si è cresciuta su ogni comfort!

La soluzione fu inaspettata. Ferdinando ereditò un appartamento spazioso in una città vicina. Là c’era un istituto di servizio dove Isabella aveva sempre sognato di iscriversi, ma aveva ritenuto troppo costoso. Decise di trasferirgli i fondi e consegnò a lei il controllo del conto con abbastanza soldi per tutta la sua formazione. Insieme andarono a sistemarsi, a seguire le pratiche, ma anche lui aveva un motivo: Livia stava uscendo di testa dopo l’eredità. E lui aveva bisogno di una pausa.

Andò da tutti vicini nel palazzo. Un edificio piccolo, di tre piani, in un bellissimo quartiere. Chiese di non trascurare Isabella, di aiutarla. Ecco, Ferdinando che evitava perfino gli acquisti a causa dei negozianti!

– Che fortuna hai con tuo padre, ragazza – commentarono le vicine nel cortile.
– Lo so. È un padre fantastico – sorrise Isabella.

Ogni nozze ha il momento emozionante. Il ballo fra padre e figlia fu il suo.
Ferdinando mise a dura prova tutta la cerimonia quel giorno. La sposa non evadeva senza di lui, ma la macchina si bloccò in autostrada: un dono scelto come regalo. Il padre arrivò, ma con un ritardo che tenne i commensali in tensione. Ma arrivò, in tempo.

Un uomo timido riuscì a far tutto per sua figlia.

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