La tua famiglia

Gianna diedà un’ultima occhiata alla sua cascina, davanti a San Martino. Tutto a posto, i nappini alle bimbe sistemati, il viso di Federico pulito. Maria Chiara era seduta sul divano, ben pettinata. Luca l’aveva chiamata ieri, diceva che s’era svegliato in tempo, sì, s’era svegliato e aveva deciso di tornare, ma non da solo, eh no, con una sorpresa.
L’aveva visto correre come una pazza dopo l’ufficio postale, che c’era solo là che riusciva a telefonare. Due mesi che non tornava da casa. Aveva detto che per guadagnare un euro doveva andare via, trovare un lavoro a Firenze.
E Gianna, allora, si fece sentire:
“Ma che senso ha questa famiglia, Luca? Tu in città e noi qui, a cucinare, a battere le pizze, ma che ne dici?”
“Che ti fai prendere la testa così, come se fossimo soli al mondo? Hai visto che dobbiamo cambiare il tetto, le ragazze vanno a scuola, e qui non c’è nemmeno un lavoro!”
“Lo so, lo so, ma non mi va, Luca. E forse dovremmo pensarci insieme.”
Lui le si allontanò:
“Gianna, ma sei pazza? Così io pago meno, mangiamo meno! Se ci andiamo tutti, spendiamo tanto per un appartamento, dài, sì che spendiamo!”
Gianna sapeva che lui aveva ragione. Ci volevano soldi, non c’era senso andare via tutti. Lì, a San Martino, lei aveva la sarta che faceva gli abiti alle bimbe, il forno per le focacce, e casa sua. Non era facile. Si sforzò di non pensarci.
Un mese dopo arrivò il primo trasferimento. Gianna si mise il suo abitino migliore, andò in ufficio postale. A volte quelle donne, le donne del paese, mormoravano. Dicevano che Luca l’aveva abbandonata, ci aveva mollato con le figlie e i ragazzi. Così, tipo, chi poteva difendersi? Portò a prendere i soldi quando mezza San Martino veniva per pensioni, sì, sì, perché tutti stavano lì.
E visto? Tutti guardarono e invidiarono. Niente male, eh? Gianna si divertì pure.
E allora ieri sera, Luca chiamò. Che sorpresa aveva? Ma che importa? L’importante è che era lui. L’aveva sentito la mancanza. Aveva pure spazzolato il camino, messo in ordine la stanza per quelle ore suoi, tipo, chi potrebbe mai parlarti quando i ragazzi sono là?
Maria Chiara la guardò con quel suo sguardo beffardo:
“Ma che ti va a giocare come una capra? Che ti torna il marito perduto!”
“Ma che dici, Maria Chiara! Luca è tuo figlio. Lui cerca, lui lavora.”
“Oh Gianna, che non sai nemmeno che Luca ha guadagnato davanti casa sua, davanti ai nostri occhi?”
Gianna sospirò. Sì, sì. Luca in paese aveva sempre quel posto da magazziniere, aprire e chiudere porte, niente di più. Era sempre stato così. Ma lui, da quando voleva cambiare vita…
“Maio, Luca!”
Gianna guardò il suo riflesso. Sì, sì, sembrava decente. Non voleva farsi prendere in giro. E i vicini, eh, che brontolavano, tipo tanto ci saranno lì.
Uscì e vide Luca e la sua sorpresa. La sorpresa camminava al suo braccio, alta circa un metro e sessanta, trucco pesante, capelli rossi lunghi.
Gianna si fermò. Il cuore che batteva forte, tipo, sentiva gli sguardi ovunque. Luca aprì il cancello, fece entrare la sua futura sposa ed entrò lui.
“Ciao, Gianna.”
La sconosciuta la fissò con disprezzo.
“Ciao, Luca. E questa cos’è, un’altra?”
Lui sorrise imbarazzato:
“Questa è Aurora… mi sposo con lei, sai.”
Gianna sentì un vuoto nello stomaco.
“E io, e i ragazzi, che fine facciamo?”
Lui si strinse nelle spalle:
“Gianna, non fare la fisarmonica in piazza, andiamo a parlare dentro.”
Lì, Maria Chiara spuntò dal portone.
“Non c’è più niente da dire. Che torni pure, ma fuori si va.”
Luca si voltò sorpreso:
“Mamma, sei tipo… non mi fai entrare in casa mia?”
“Nemmeno lui! Mai più!”
Fu un siparietto al venticinque. I vicini mormorarono:
“Brava, Chiara! Via quel figlio di t’.
Luca rimase fermo lì in mezzo al cortile, come se l’avessero piantato. Aurora lo scosse:
“Luca, dài, ma non si può vendere casa tua? L’hai detto che era tua!”
Gianna quasi perse l’equilibrio. Sì, casa sua. L’aveva donata Luca prima del matrimonio, tipo, fu il regalo sposa di Maria Chiara. Casa grande, solida. Lo zio di Luca l’aveva rimessa a posto prima di morire.
Luca si girò, prese Aurora per mano e si ritirò. Aurora barcollava sui tacchi, ma si sforzava.
Gianna rimase lì, sul letto, con le ragazze che le saltavano addosso.
“Mamma, non piangere.”
Pensò che il mondo le crollava addosso. Che mai niente sarebbe potuto andare peggio di così.

Settimana dopo, in paese arrivò un macinone. Un uomo e un avvocato scesero fuori. Il tipo fisso disse:
“Signora Gianna Conti?”
“Sì…”
“Dobbiamo liberare casa. Diamo dieci minuti.”
Gianna fissava il foglio:
“Come, casa mia? Lei non ci può neanche toccare!”
“Ma che dica, signora, è di proprietà Conti, lui l’ha venduta. Eccole qua le firme.”
I vicini iniziarono a gridare:
“Ma lui ci vuole buttare fuori?”
“Sparite, maledetti!”
L’avvocato mormorò che era legale, che loro erano solo intermediari. Ma il sindaco arrivò e richiamò l’ordine. Fu deciso che Gianna poteva restare fino al processo.
A casa, Maria Chiara singhiozzava con le valeriane. I ragazzi erano al suo fianco. Federico guardava afar lontano, le gemelle piangevano. Non capivano, ma sapevano che stavano per perdere casa.
E allora, un’amica, la signora Isabella, disse:
“Vieni da me, Gianna. Ho tre stanze. Ci siamo benissimo.”
I vicini aiutarono a spostare le cose. Niente di più.
Passò un anno.
“Guarda, Gianna, le ragazze come sono cresciute!”
Le figlie mostravano i diplomi. Isabella e Maria Chiara li esaminavano impazienti. Le due diventarono inseparabili, chiacchieravano per ore, andavano a paese insieme.
Maria Chiara si inginocchiò:
“Perdona, Gianna, non avevamo capito. Se vuoi, me ne vado.”
Gianna la strinse forte:
“Come ti viene in mente? Che fai, vai via? Siamo una famiglia.”
Pianse, abbracciò tutti.
Gianna non guardava mai verso casa vecchia. Un ricco acquirente l’aveva comprata.
Ma un giorno Federico corse:
“Mamma, c’è papà!”
Luca era lì, col borsone.
“Che ci fai qui?”
“Per voi, Gianna. Pensavo di tornare.”
Gianna lo fissò fredda:
“Ma che scusa? Hai fame?”
Lui arrossì.
“Sì, dài, mangiamo. Non l’ho fatto sul treno.”
“Ah, sì, che preoccupazione per i suoi figli.”
“Ma tu non mi hai mai aspettato, eh?”
“E dove sono i regali per le figlie?”
“Ma i soldi, Gianna. Avevo rischi.”
I vicini sibilavano:
“Così lo spedisce, quel bastardo.”
Luca si è voltato. Gianna lo affrontò con un forcone.
“Corri, eh, Luca!”
E lui corse davanti al cortile, ma con quel borsone in mano.
“E dài!” gli fecero i vicini.
Gianna tornò con un sorriso.
“Entriamo a mangiare, eh? Ho preparato la torta.”
Chiuse la porta.
Stavano bene, insieme. Non avevano bisogno di lui.

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