Il suocero arriva con una valigia

La primavera riluceva tra le pieghe del lume di un’imbrunire romano, accarezzando i muri freschi di calce. Laura stava azzimando il ragù, la sua attenzione divisa tra le quotidianezza e il ticchettio silenzioso del marito che si vestiva, Marco, imbarazzato come un soldato in disordine. Il suo atteggiamento burbero l’aveva turbata tutta la sera, e quel momento di cottura l’aveva risvegliato un’ora buona prima del solito.

“Marco, hai visto il cravattone verde che ti ho stirato ieri?”
“L’ho messo nel …”
“…cassetto destro, sì sì,” lo interruppe lei, aggiustandosi il grembiulino a pois, “non ti preoccupare, ci penso io.”

La colazione trascorse in un’atmosfera familiare, Marco sgranocchiava bocconcini di pane tostato e gira pagina a un giornale, strappando commenti sussurrati. Laura lo guardava mangiare, stupita del proprio silenzio. Voleva chiedergli che cosa lo attanaglia, ma si rammaricò: se c’era veramente qualcosa di grave, aveva modo di parlarne.
“Grazie per la cena, cara,” disse lui, posando rumorosamente la tazza. “Ascolta, c’è una cosa… Mio padre arriva stanotte. Per qualche settimana, magari.”

Laura si congelò, l’acqua calda del caffellatte che le gocciolava dal naso. Vittorio Solari, il suo suocero? Quello che a nozze aveva urlato “Quella non sa cucinare le lasagne come si deve!” e aveva inondato via della Conciliazione di lacrime per “nonni traditi”? Lo stesso che aveva smesso di inviare auguri di Natale?

“Stanotte?” riuscì a sussurrare.
“Passo a prenderlo dal lavoro,” si scusò Marco, evitando il suo sguardo. “Hanno litigato con l’ex moglie. Devo accompagnarla fuori per una settimana.”

“Una settimana?” Laura mise giù la tazza e si alzò in piedi. “Ma Marco, ricordi com’era con me?”

“L’ha detto lui stesso, è cambiato,” rispose, in toni incerti. “Dopo la caduta febbrile… be’, ho potuto rivederlo diverso. Non potevo non accontentarlo.”

“Avresti dovuto parlarne prima,” sbottò Laura, raccogliendo le stoviglie con mani tremanti. “Ho un progetto importante e non ho tempo per nuovi orsi bruni in fame.”

“Scusa,” la abbracciò, il cuore che gli scoppiava per la pena. “Ho paura di come reagirai, lo so.”

“In fondo hai ragione, cara,” mormorò lei, liberandosi dolcemente. “Vai, non farlo aspettare. Stasera ne parleremo.”

La giornata parve dissolversi come un sogno in una stanza blu e oro. Laura cercò di concentrarsi sui file aperti, ma i pensieri di Vittorio Solari la inseguivano. Un colonnello in pensione, abituato a comandare, abituato a regnare. I pettegolezzi di Marco suggerivano che con la seconda moglie, Chiara, il rapporto fosse diventato uno scherzo per il Gattopardo. Qualcosa “fracturava” tra loro.

Al tramonto, Laura pulì ogni angolo della casa, fece un cambio di lenzuola nella stanza degli ospiti, e mise sulla tavola un vassoio di paste al forno. “Faccia a faccia col fato,” sorrise, cercando coraggio tra i fornelli.

Alle 19 precise suonò il citofono. Laura respirò a fondo, il cuore che batteva come una danza folle. Aprirebbe la porta.

C’era Marco, ma dietro l’aroma della sua pelle era Vittorio Solari, un uomo alto con un cappotto militare, una vecchia valigia di pelle in mano, con un’aria talmente strana da farmi distinguere un villain da una piazza.

“Notte, Laura,” disse lui, con voce bassa come un lamento. “Grazie per accogliere un vecchio soldato.”

“Benvenuto, Vittorio,” rispose lei, fingendo un sorriso che non era suo. “Entri pure. La cena è quasi pronta.”

La cena fu dietro un velo di silenzio, Marco che raccontava tutto su lavoro, il viaggio in auto, un gattino nero che era entrato per sbaglio a casa. Vittorio guardava e sorrise, Laura tagliava pane e silenzio, guardando di sottecchi.

“Molto buono, cara,” commentò lui. “Hai sempre cotto bene?”

“Signore,” Laura esitò, “ho imparato con gli anni.”

“Mia moglie Celeste, riposo in pace, ne faceva meraviglie,” lui sospirò. “Chiara invece, be’… diceva che era un’arte non da signora.”

Laura scambiò sguardi con Marco, che alzò le spalle. “Ti mostro la stanza,” disse lei, al termine della cena. “C’è anche la stanza doccia con tv.”

Vittorio si guardò intorno, sistemò la valigia accanto al letto. “Carina questa stanza,” disse, accarezzando con delicatezza il materasso. “Come il portafoglio di un soldato.”

La mattina successiva, Laura si svegliò alle 6 per il rumore di un frigorifero aperto. Marco dormiva. Procedette piano, un asciugamano stretto sulle spalle.

Era Vittorio in cucina, un uccellino intento a preparare il suo cibo. Scioperavano caffè e pane, sorrise senza guardare.

“Scusa, non volevo svegliarti,” disse lui. “E’ un’abitudine d’armata.”

“E’ tutto bene,” sussurrò lei, aprendo il frigo. “Preparo il suo caffè, va bene?”

“No, non è necessario,” lui rise. “Gliela lascio tranquilla. Vado a correre un po’ al parco.”

Al tramonto lei chiamò la sua amica Rosa. “Sei strabiliata? Vittorio è qui. Ma è strano… è gentile, sorridente, anzi! Anche lava i piatti da solo!”

“Scherzi?” chiese Rosa, ridendo forte. “Chi è quel mostro brutale che aveva gridato in chiesa l’altra volta ‘Devi rispettare la famiglia Solari!’? Ricordi che ciò che aveva mandato a registrazione il matrimonio?”

“Lo so, ma si è comportato con tale onore…”

“Digli di stare attenta, sorella. I marcuzzi sono peggio delle macchine. Potrebbe essere solo un finto gentile.”

La sera, Marco tornò tardi e Laura fu costretta a restare sola con Vittorio. Lui l’aiutò a tagliare i pomodori per la pasta, con mani che non tremavano.

“Posso dirle qualcosa?” disse lui, dopo un po’.
“Certo,” rispose lei, con voce tremante.

“Scusi per tutto il male che ho fatto. Per i commenti, per l’abbandono. Non ho coraggio.”

Laura lo guardò, come un albero vecchio che si ribalta al vento. “Perché adesso, Vittorio?”

“Un anno fa,” lui sorrise, cupo, “ero in coma. Mia suocera Chiara, be’… ha cominciato a parlare di separazione. Che ‘con lui eravamo tutti in pace, ma con un nonno morto…’ Quelle parole mi sono centrate come un pugno. Mi sono svegliato. E’ rimasta sola. Marco non la voleva più, e io non volevo essere solo in un letto di pietra.”

Laura lo guardò con occhi umidi. “Per il bene del suo cuore.”

“Sì,” disse lui, “e perché quell’uomo non è più lui. E’ un mostro.”

Più tardi, Marco tornò e li trovò a chiacchierare. “Che succede?” chiese, titubante.

“Tutto bene, figlio mio,” disse Vittorio, abbracciandolo. “La tua moglie è meravigliosa.”

I giorni passarono. Vittorio si svegliò sempre alle 6, faceva ginnastica, si preparava una colazione, e scompariva nel parco. A casa, riparava rubinetti, aggiustava scaffali, e si mischiava con i gatti. I loro due figli, un cane strabuzzo di occhi che si chiamava Tucco, lo seguivano ovunque.

Una sera ascoltò lui e Marco in camera da letto.

“Perché prima non hai accettato Laura, papà?” chiese Marco, con voce tremante. “E’ sempre stata una brava moglie per me.”

“Per paura,” ammise Vittorio. “Paura che lei mi rubasse mio figlio. Che non saremmo stati una famiglia. Quelle porte mi erano chiuse, e ogni volta… ecco.”

Laura si inginocchiò a un angolo, con il cuore che le rimbombava. L’idea che lui fosse cambiato, a causa di un male o di uno specchio, le sembrò impossibile.

Un sabato tornò Rosa con suo fratello. Vide Vittorio che sistemava i piatti e sorrise, un segnale di meraviglia.

“Sì,” disse Laura, “e’ uno cambiato. Dov’era lui?”
“Non lo capisco,” Rosa disse, titubando. “Davvero, chi ti assicura che non cerchi la casa nella sua eredità?”

“Sta con noi perché vuole,” rispose Laura. “Ha una casa a Firenze, una pensione decorosa.”

Dopo due settimane, suonò il campanello. Aprì Laura e vide una donna in tailleur, truccata come una farfalla, Chiara.

“Dov’è?”
“Chiara,” disse Laura. “Entra.”

Vittorio ne uscì, si guardarono come due guerrieri. “Ciao, moglie,” disse Vittorio, con voce crudele. “Hai urlato per chi mi cercavi?”

“Volevo solo sentirti,” disse lei, con voce fredda. “Hai la testa, Vittorio? Ti sei dimenticato che ti amo?”

“Ah sì?” rispose lui, sarcastico. “E che mi hai ricercato per verificare i miei conti in banca, per controllare se la casa é in regola, per quel uccello che hai rubato?”

Chiara si bloccò. “Non è colpa mia, Vittorio. Ho paura per nostro figlio.”

“No, non è paura per nostro figlio. E’ per i soldi. Per il letto che hai rubato, per le fotografie che hai custodito dei tempi in cui ero ricco.”

“Non ti permetto di parlarmi così!” gridò lei.

“Certo che no,” disse lui, in modi calmi. “Perché non ti permetto più di parlarmi affatto. So tutto degli accordi. L’hai detto chiaro, a qualcuno, che ‘quel vecchio non vivrà a lungo.’ Hai provato a comprare la sua morte.”

Chiara impallidì. “E’ stato uno scherzo, Vittorio!”

“No. Parliamo chiaro. Io non sto più con te. Togliti l’anello, vai via, e lasciami morire in pace.”

Laura li osservò, mentre ciò che era male si disfaceva. Vittorio le diede un bicchiere di tè e la guardò con calore.

“Scusa, Laura. Spero di non averla sconvolta.”

“E’ tutto bene, Vittorio,” disse lei, sorridendo. “Un espresso?”

La sera Marco tornò, e Laura raccontò l’incidente. “E adesso? Tornerà da Chiara?”

“No,” disse Vittorio. “Ho paura di no. Sto invecchiando, anche se floreat. Ma per voi due vorrei dare più tempo, non troppo.”

“Resti pure,” disse Marco. “Siete il suocero che desidero.”

La settimana successiva, Vittorio sistemò i bagagli. La sera, in un abbraccio corale, Laura lo diede una caramella. “Grazie per questa visita, Vittorio. Non solo per voi, ma per me stessa.”

“State con l’amore, Laura,” disse lui, commosso. “E se un giorno, Marco e Laura potranno farmi nonno… mi sentirei come la Madonna.”

Qualche mese dopo, un telefono squillò. Era Marco, che sorrise.

“Cara? Papà ha chiamato. Dice che forse sono incinta. Vuole diventare nonno.”

Laura sorrise, il sogno che iniziava a prendere forma. Perché un uomo, con un vecchio cassetto di pelle, poteva trasformare le nuvole in stelle.

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