Disputo

Isabella rilesse una volta l’email e cliccò su “invia”. Bene, adesso poteva andare a prendere un caffè. Si appoggiò comodamente alla sedia, rimase un momento in silenzio, chiuse la posta, si alzò e uscì dall’ufficio.

Nella sala comune, Alina era seduta al tavolo, soffiandosi il naso. Isabella non aveva mai amato i problemi altrui. Probabilmente si era presa un rimprovero per gli errori. Accese il bollitore, prese dalla mensola la sua tazza, vi versò due cucchiai di caffè in polvere e aspettò che l’acqua bollisse.

Alina emise un singhiozzo e si voltò verso la finestra.
“Che ti è successo? Il capo non ha accettato la traduzione? Ti sei messa in errore?” chiese Isabella.
“E te che ne sai?”
“Non è cattivo voler aiutare.”
“Non serve.”
“Allora perché piangi?”

Isabella ricordò di aver visto recentemente Alina salire in macchina con una bella auto sportiva, il suo sguardo di trionfo mentre guardava coloro che stavano sull’ingresso dell’ufficio. Ora l’uomo se n’era andato senza salutare, e Alina piangeva per sogni infranti.

L’acqua bollì. Isabella versò il vapore nella tazza, si sedette di fronte a lei e le allungò un pacchetto di fazzolettini.
“Non lasciarti vedere da tutti, sarà solo pettegolezzi. E con quell’aborto non perdere tempo.”
“Da dove esci…?” Alina la guardò con gli occhi gonfi.
“Beh, ti metteva il cuore in fiamme, prometteva montagne d’oro, ma ora non risponde al telefono, e tu sei incinta. Antico come il mondo.” Isabella sogghignò.

“O vorresti tenerlo? Pensaci. Partorisce, di notte tradurre per non morire di fame, poi in asilo e al lavoro. Ti daranno le ferie, non ti prenderanno in giro. Scoprirai di essere pazza e andrai a insegnare, puoi fare le ripetizioni per sopravvivere.
Poi ti sposerai con un ingegnere, sperando che ti renda felice. Avrai un altro figlio, e ti toccherà girare come una pazza, svegliarti poco, andare in classe stanca. Presto si annoierà del tuo aspetto, ti tradirà, e andrà via, come lui. Deciderà che ci sono ragazze più giovani e libere, e gli alimenti sono solo un prezzo basso per la libertà. Tu finirai a lavorare due posti per mantenere due figli…”
“Basta! Non sai niente!” la interruppe Alina.
“Cosa posso non sapere? Sono cresciuta così. Ti ho solo disegnato la vita.”

“Sei cattiva!” sibilò Alina e uscì, lasciando sul tavolo fazzolettini strappati e bagnati.

Isabella bevve il caffè. Un’altra sciocca caduta nelle reti d’amore. Forse non era giusto. Forse lei guadagnerà il contrario? L’uomo dell’auto tornerà da lei, la sposerà… Si chiama o è già sposato, ha cercato di meglio.

“Isabella, cerca Don Giuliano,” entrò Elena, la segretaria.
“Vengo.” Isabella finì il caffè, lavò la tazza, la mise in lavandino e si diresse verso il capo.

“Allora, vai via? Bene. Il tuo posto sarà accolto da possibilità più grandi. Scrivi la domanda. Farò in modo che la pagheranno in fretta. Non devi neppure fare l’ultimo mese. In bocca al lupo…”

Isabella era sempre considerata ambiziosa. Gli invidiosi dicevano che aveva più offerte, che i suoi testi stavano bene. Sapeva mettere in riga gli uomini alti o i dirigenti arroganti. Si diceva che fosse fredda, calcolatrice. Si parlava di lei, da assurdo a banale. Che un uomo l’avesse lasciata, che si fosse rifiutata d’amare, che si tenesse tutti i maschi a distanza. Solo lei sapeva che non era vero. La decisione era maturata anni prima, dopo quella litigata dei genitori.

***

Negli ultimi tempi i genitori litigavano quasi ogni sera. La madre trovava sempre un motivo. Indipendentemente da cosa iniziava, finiva sempre con accuse che papà guadagnava poco, che non le aveva dato vita, che era un fallito.

Un tempo papà aveva provato a fare il commerciante, ma il socio lo aveva tradito e lo aveva lasciato in pace. Non si era ubriacato, era diventato professore di matematica in un istituto tecnico. Era stimato, ma alla madre non bastava, voleva più soldi. Comparava con gli altri uomini, chiedeva lui di cercare altro lavoro più pagante. Ma lui non voleva tornare in quel mondo.

Per punzecchiarlo, madre aveva preso un part-time e finiva sempre tardi. Un giorno tornò a casa a notte fonda. Isabella stava dormendo e si svegliò da un rumore. La madre aveva rovesciato qualcosa in ingresso, si sentiva gridare.

“In silenzio! Hai svegliato tutto. Sapevi che orari sono? Non dire che sei stata a lavoro…” disse il padre.
La madre rispose sconnessa.

“Sei ubriaca? Pensavi solo a te stessa. Isabella è una ragazza matura, capisce.”
“Lasciami. Sono stanca.”

“C’è sempre qualcosa a cui mancare…
Ricordo dove lavori. Sei… – il padre disse una parola dura.
“E allora? Se pagano, addirittura la letto. Guadagnati da te, io rimango a casa. Non puoi? Taci allora. Sei un fallito, niente. Ti ricordi lorsque promesse? Che non avrei mai avuto bisogno. Hai detto che mi avresti dato tutto. E dove è quel braccio forte? Su, dài. Anche lui se ne va. Ed ecco chi sono, ma davvero… Invece di aiutarti, ti rovina.”

“Domani ne parliamo. Per carità.”
“Niente. Fino a che tutti sappiano chi sei. Credi in te, da chi ti serve? Va’ via. L’uomo via, la donna in pace.” La voce ubriaca della madre echeggiò per casa, ma si spense. Isabella sentì lo schiaffo, poi i gridi e l’espulsione.

“Va’ via, non ho bisogno di te. Chi si occuperà di me…?”

Le sue gambe, nascoste sotto la coperta, sentirono il freddo del corridoio. Aveva ascoltato abbastanza per non dover sentire. Ascoltò ancora un po’, tornò in stanza, si mise sotto le coperte.

I genitori litigavano spesso, ma non così… Là, Isabella capì che madre aveva un altro uomo. La mattina dopo, padre non c’era. La madre sembrava ammalata, non guardò nemmeno sua figlia.
“Dove è papà?” chiese Isabella.
“Nella sua stanza.”

Nei giorni dopo, la madre continuò a tornare tardi. Isabella guardava dalla finestra, vide l’auto che si fermava all’entrata, madre scendeva, aspettava che l’auto partisse e correva a letto finta dormiente.

Il giorno dopo le chiese:
“Vi state separando? C’è un altro? L’ho visto…”
“Sei una ragazza. Spero di non dirti mai niente.”

Isabella non capiva, non voleva capire. Papà era buono, non beveva, da ragazza andavano a scivolare in slitta e a volare corvi. E se beveva, era allegro e gentile. Non era lui migliore? E disse che non voleva comprendere la madre, che voleva stare con padre. Andò all’istituto.

“La mamma ha ragione. Sono un fallito. Non ho potuto farla felice, forse lui è meglio. Ci si riesce. Quindi puoi venire da me, abito dal cugino di tuo padre. Ha due camere, due figli, io sto in cucina. Non posso prenderti con me. Aspetta.”

Allora Isabella decise che non avrebbe mai contato su chiunque, né su quel braccio solido. L’amore non esiste, se passava con tanta facilità. Loro guadagna di più. Solo così. Sua figlia non vedrà mai litigi, né accuse. Mai.

Smise di badare alle assenze della madre. Dopo il liceo fece un corso serale, insegnò all’istituto e tradusse testi. Spesso faceva le ripetizioni.

I genitori si separarono e madre andò da un altro uomo. Padre si sistemò anch’egli con una donna, diceva di aver affittato una stanza. Divenne pulito, tranquillo. Isabella lo invitò, ma lui rifiutò, non voleva disturbarla.

Con il padre manteneva amicizia, lo chiamava, visitava. Con la madre no, c’era rancore. Isabella non perdonò il tradimento, e la madre si offese che figlia schierata con marito. Così proseguì la vita. Isabella tradusse e insegnò.

Per quanto riguarda l’amore… Aveva avuto qualcuno. Ma sapeva che l’amore non era solo passioni, ma anche case e comodità. Era ripugnante.

Un giorno c’era una mostra con aziende straniere. La invitarono. Le piacque. La chiamarono a Milano. Chiese tempo. Oggi prese la decisione.

***
Dopo il lavoro decise di visitare il padre.
“Papà, vado a Milano. L’appartamento è libero. Promettimi che se avrai bisogno, me lo farai sapere. Promesso?”
“C’è niente. Non andrò a nessuna parte. Forse la mamma venderà l’immobile. Ho tranquillità. Richiamami.”
“Lo farò, te lo prometto.”
“Non ti sposerai?”
“Non adesso. Se ti sposerò, verrai alla cerimonia.”
“Bene. Mangiamo? Maria ha fatto una zuppa?”
“Maria? Di nuovo?” Isabella rise al padre. “Okay, non arrossire. Sono felice per te.”
“Passa da mamma. Non sei ancora con lei?”
“Okay, papà, devo andare. Prepariamo le valigie. Verrò a salutarti. Lo farò. Ti abbraccio.”
Isabella l’abbracciò, baciandolo sulla tempia. Era alta quanto lui.

Evitò di parlare finché poté, ma tornò a salutare la madre. Tra di loro c’era freddo.

La vide arrivare, lentamente con due sporte, guardando i piedi. Isabella la voleva raggiungere, ma da casa uscì un uomo.
“Non ti dare! Ancora che bevete… Quando trova lavoro, mascalzone!”
Isabella si voltò e se ne andò. Telefonerà più tardi. Ricordò la lite. Bene o male, madre stava cercando un braccio forte, ma aveva trovato peggio. Forse anche lui le aveva promesso tutto. Il rancore non si tolse, ma neanche compassione.

Se non fosse stata quella lite, Isabella si sarebbe innamorata come Alina, sposata, avrebbe avuto figli. La sua vita sarebbe stata diversa. Nessun Milano, né carriera… Nulla. Ora aveva tutto.

I genitori sono sempre così, occupati dei loro problemi che non vedono i figli, pensano che non capiscano niente. E loro ascoltano, ricordano ogni parola lanciata per rabbia, e costruiscono la vita di conseguenza, o per opposizione, tralasciando il semplice下乡的幸福。

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

twenty − 6 =

Disputo