Ha scelto il lavoro, non me

“Ha scelto il lavoro, non me”

— Tu… tu… Non credo alle mie orecchie! È assurdo! Il tuo maledetto lavoro, le tue chiamate urgenti, i tuoi viaggi continui! — Anna sbatté la tazza sul tavolo, schizzando caffè ovunque. I cocci si sparsero sul pavimento come coriandoli di Natale.

— Basta fare scenate! — Enzo non alzò nemmeno la voce, e questo la faceva infuriare ancora di più. Le tremavano le mani, mentre lui restava impalato. — Non posso annullare questo viaggio, capiscilo. Dipende la promozione.

— La promozione?! — tossì per la rabbia. — È sempre stato così! Ti ricordi quando hai mancato il diploma di Cecilia? O il mio compleanno, anche se te l’avevo ricordato una settimana prima? E ora questa cosa! Michele ha l’operazione tra due giorni, e tu devi correre a… a Milano!

— A Milano, sì — corresse lui automaticamente, mordendosi subito la lingua.

— Fa lo stesso! Potresti anche andare su Marte! — Anna agitò le braccia come un mulino a vento. — Non sarai qui quando tuo figlio avrà l’anestesia! Quando avrà paura, quando io starò in ansia per lui! E tutto per un foglio di carta firmato!

Enzo sospirò e si passò una mano sul viso. Occhiaie, barba incolta, ma lo sguardo ostinato come sempre.

— È un’operazione di routine, non capisci? Solo le tonsille, non è un tumore al cervello!

— E se qualcosa va storto?! — affondò le unghie nei palmi. — Cosa facciamo allora?!

— Non succederà niente. Ho parlato con il medico io stesso.

— Ma se succede?! — la voce le salì di un ottavo.

— Smettila! — scattò lui. — Se capita un’emergenza, prendo il primo volo! Come quando Cecilia ha avuto l’appendicite, ricordi?

— Sì, ricordo! — rise amara. — Sei arrivato otto ore dopo, quando i medici erano già andati a casa! Che eroe!

Enzo scrollò la testa.

— Non sono Superman, Anna. Lavoro come un mulo per darvi tutto. Hai già dimenticato quanto mi tormentavi per comprare casa nuova? “Vogliamo trasferirci, i vicini fanno rumore, il cortile è sporco…”

— Preferirei vivere in un buco! — urlò lei. — Ma con un marito e un padre presente, non uno che vediamo solo la domenica dopo pranzo!

Enzo si lasciò cadere sulla sedia con tutto il suo peso.

— Abbiamo fatto un accordo, no? Tu a casa, con i bambini, io in ufficio a portare soldi. Cosa è cambiato?

Anna stava per rispondere, ma la porta d’ingresso si aprì di colpo. Le voci dei bambini riempirono il corridoio, gli zaini caddero a terra.

— Parliamo dopo, — borbottò lei, forzando un sorriso innaturale mentre usciva dalla cucina.

Quella sera, dopo aver messo a letto i bambini, Anna fissava il telefono senza vedere. Vent’anni di matrimonio, eppure tutto sembrava ridotto a numeri: stipendi, bollette, sacrifici.

Enzo entrò in cucina e si sedette davanti a lei.

— Caffè? — chiese Anna senza guardarlo.

— Sì. Anna, dobbiamo parlare.

— Di cosa? — accese il bollitore. — È tutto chiaro. Parti dopodomani. Io e Michele andremo in ospedale da soli.

— Ascolta, — le mise le mani sulle spalle. — Lo so che è difficile. Ma è importante per me.

— Più di noi? — Anna si girò, e nei suoi occhi vide solo stanchezza.

— Faccio tutto per voi, — sussurrò lui.

— No, Enzo. Lo fai per te. Per il tuo orgoglio. I bambini e io siamo secondi da anni.

— Non è vero.

— Sì che lo è. Sai cosa mi ha detto Michele ieri? “Almeno l’operazione è mentre papà è in viaggio, così non si preoccupa per il lavoro”. Undici anni, e già si adatta a te.

Enzo non rispose.

— Cecilia mi ha chiesto se sarai alla sua laurea. Non perché vuole che tu ci sia, ma perché teme che sarai “troppo occupato”.

— Cercherò di esserci.

— “Cercherò”. Sempre così. — Anna versò il caffè, amaro come il suo umore. — Sai quando ho capito che avevi scelto il lavoro? Quando ho avuto l’aborto. Dieci anni fa. Sei arrivato due giorni dopo, quando ero già a casa.

— Ero in Cina per un accordo.

— Appunto. Tu eri in Cina. Io a piangere un figlio perduto.

— Non me ne hai mai parlato.

— A cosa sarebbe servito? Ti sospiri di scusa, poi ricominci come prima.

Enzo si strinse la fronte tra le dita.

— Forse dovresti parlare con qualcuno. Uno psicologo.

— Il problema sono io, vero? Non il marito assente, ma la moglie che non sorride abbastanza?

— Non intendevo quello. Ma esageri.

— Esagero?! — ridacchiò. — Dimmi, quando sei venuto all’ultima riunione scolastica? Sai chi è il professore di Michele? Sai cosa studia Cecilia per la tesi?

Silenzio.

— Hai perso la nostra vita, Enzo. E continui a perderla.

Lui bevve un sorso e fece una smorfia. Troppo amaro, come sempre quando lei era arrabbiata.

— Potrei prendere ferie d’estate. Andiamo via insieme.

— Cecilia va in vacanza con gli amici a Napoli, — rispose Anna. — E Michele ha il campo di calcio.

— Avresti potuto dirmelo prima di organizzare!

— Te l’ho detto. Due volte. Hai risposto: “Organizzate, poi vediamo”.

Lui si strofinò gli occhi. — Scusa. Non ricordo.

— Sai qual è la cosa più triste? — guardò oltre di lui. — Che sto capendo che sto meglio senza di te. Quando sei qui, aspetto che tu sia davvero con noi, non solo di corpo. E rimango delusa.

— Cosa vuoi che faccia? Che rinunci alla promozione?

— Voglio che i bambini abbiano un padre. Che io abbia un marito, non un coinquilino che paga l’affitto.

— Non posso mollare tutto a cinquant’anni.

— Nessuno lo chiede. Trova un equilibrio.

— Ci provo! — abbassò subito la voce. — Ma devi capire, con il mio ruolo…

— Sempre la stessa storia. Intanto i bambini crescono senza di te.

Tacquero. Fuori, il rumore delle macchine; dentro, solo il ticchettio dell’orologio.

— Non posso annullare il viaggio, — disse lui alla fine. — Ma posso rimandarlo di un giorno per portare Michele in ospedale.

— Hai già i biglietti.

— Li cambio. E chiamerò ogni ora finché non sarà tutto finito.

Anna sorrise senza gioia.

— Pensi che basti?

— No. Ma è l’inizio. Non voglio perdervi, Anna. Davvero.

— Forse ci hai già persi, — mormorò lei. — E non so se si possa riparare.

***

L’ospedale era pieno di voci e rumori. Anna sedeva su una sedia di plastica, nervosa. Michele era in sala operatoria da un’ora, anche se il medico aveva detto quaranta minuti.

Accanto a lei, Cecilia fissava il telefono, ma ogni tanto guardava la porta con ansia.

— Dov’è papà? — chiese a un tratto.

— In viaggio, lo sai.

— Sì, ma aveva promesso di chiamare.

Anna guardò l’orologio. — Avrà una riunione.

— Come semprePassarono ancora due ore prima che il medico uscisse con un sorriso, annunciando che tutto era andato bene, ma quando Anna chiamò Enzo per dirlo, la sua voce riempì solo il vuoto di un altro silenzio.

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